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Minkowski Eugene, Il tempo vissuto: fenomenologia e psicopatologia,
Einaudi, 1971, p. 90-93
L'ATTIVITA' E L'ATTESA
in Minkowski Eugene, Il tempo vissuto: fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, p. 90-93
Ma, contrariamente al dolore, "attesa e un fenomeno di ordine temporale. Essa contiene in sé dell'avvenire e questo avvenire è, come facilmente ci si può rendere conto, un avvenire immediato. Da questo punto di vista l'attesa si trova sullo stesso piano dell'attività. Ci sono però delle differenze. Nell'attività tendo verso l'avvenire, nell'attesa vivo il tempo in direzione opposta; in questo caso sento l'avvenire venire verso di me in maniera immediata con tutto il suo impeto. Inoltre l'attività contiene durata, essa è durata attiva, come dicevamo. Non così per l'attesa. Quest'ultima, per sua stessa natura, non è che un lampo, una sospensione istantanea della vita e solo in questo modo essa riesce ad integrarsi alla vita che, invece è attività per eccellenza. Nell'attesa, per quanto possa sembrare paradossale, io vivo l'istantaneità. L'attesa così ci avvicina molto più alla successione, quale l'abbiamo descritta nel primo capitolo, che alla durata vissuta. Nell'atte» sa non c'è durata, non c'è organizzazione nel tempo, ma ci sono come due elementi di tempo che si succedono che si succedono però in modo particolare, poiché il momento che è da venire è vissuto quasi da solo, nella sua marcia impetuosa verso di me, con esclusione del momento presente. Tutto l'accento cade sul momento B della successione, questo momento che assorbe per così dire tutto il divenire e lascia sussistere il momento A che lo precede solo sotto forma di semplice accenno. Sarebbe falso anche dire che nell'attesa io vivo il presente e l'avvenire immediato legati l'uno all'altro; in realtà in essa io vivo solo l'avvenire, che, come tale, tende a diventare presente. L'attesa ha dunque in comune con la successione il basarsi come quella su un limite vissuto tra due avvenimenti, ma ne differisce in quanto il momento a venire domina interamente la situazione e «l'essere due» ne risulta deformato. Comunque, come la successione vissuta, l'attesa non contiene in sé durata. Abbiamo parlato prima di attese prolungate. Senza volerne fare qui la genesi, possiamo tuttavia dire che queste attese sono più vicine all'attività che al fenomeno vitale dell'attesa. Per il fatto stesso che durano diventano attività; non può essere diversamente. Esse conservano però qualcosa dell'attesa primitiva, nel senso che non possono avere che un carattere «provvisorio» e devono necessariamente avere una fine, altrimenti comprometterebbero la nostra esistenza. Pensiamo al cane che si lascia morire di fame sulla tomba del padrone; facili al sentimentalismo, vi vediamo l'espressione di un'assoluta fedeltà; in realtà, come ha dimostrato Janet, il cane non fa che aspettare, non conoscendo le condotte di liquidazione che si impongono all'uomo, sotto forme diverse, di fronte alla morte.
Notiamo qui di sfuggita che se il pensiero, imbevuto del principio di simmetria, contrapponesse all'attività la passività, si ingannerebbe da un doppio punto di vista. Per prima cosa la vita contrappone all'attività non la passività ma l'attesa, e secondariamente, si può vivere così poco nella passività come nell'attesa, perché ogni fenomeno che dura si impregna per forza di cose di durata attiva. Così il quietismo, per quanto allettante, non è che una semplice immagine dello spirito; esso è irrealizzabile al massimo grado e in massima contraddizione con i dati immediati della vita.
Dovendo tradurre in immagine spaziale le differenze di ordine temporale tra l'attività e l'attesa, adotteremmo volentieri lo schema seguente che fa risaltare e la differenza di direzione nella quale è vissuto l'avvenire e i caratteri di durata e di istantaneità che si contrappongono nei due casi:
Parallelamente a questa differenza di ordine temporale, constatiamo una differenza di altro ordine. Nell'attesa esiste un restringimento dell'essere vivente, un «divenire più piccolo» che si contrappone all'espansione dell'attività. Nell'attesa l'essere si ripiega su se stesso, s'accartoccia, si direbbe tenti di esporre il minimo di sé agli urti dell'ambiente ostile e, nel farlo, si separa da questo ambiente, traccia i propri limiti in rapporto ad esso. Non occorre insistere ora più specificamente sul carattere dinamico, qualitativo e irrazionale di questa limitazione per restringimento nell'attesa; basta trasporre quanto si è detto prima a proposito dell'espansione.
Non mi dilungherò sulla questione dell'unione dell'attività e dell'attesa e dei nuovi dati sulla struttura dell'essere vivente nei suoi rapporti con l'ambiente che questa unione ci può fornire. In geometria, se una linea porta dal punto A al punto B, la stessa linea ci riporta da B ad A, senza nulla aggiungervi. Non è lo stesso nell'ambito dei fenomeni vitali. Se, nella direzione centrifuga l'essere vivente si separa dall'ambiente mediante la sua attività, nella direzione centripeta egli traccia i suoi limiti con l'attesa. Sono dunque probabilmente l'attività e l'attesa a determinare l'atteggiamento generale dell'individuo nel mondo. Quasi un tutto nell'attività che si dispiega nel mezzo vuoto, quasi un niente nell'attesa, ridotto alla mia più semplice espressione, come sotto la minaccia di venir inghiottito dal divenire ambiente, io sono quello che sono probabilmente per l'azione coniugata dell'attività e dell'attesa, sono cioè un essere limitato, vivente nel mondo, suscettibile di svolgervi la sua attività, suscettibile anche di sopportare gli urti che vengono dal di fuori. È altrettanto probabile che il passaggio dall'attesa all'attività, o inversamente, l'interruzione dell'attività ad opera dell'attesa, contribuiscano a far nascere in noi la nozione di una superficie attivo-sensitiva, sede dell'interazione dell'io e del mezzo ambiente immediato. '
Non vi insisto oltre. Soggetto principale di quest'opera essendo il tempo, qui ci interessa soprattutto il modo in cui si presentano i fenomeni vitali da questo punto di vista. In questo senso crediamo di averne parlato a sufficienza per poter proseguire le nostre ricerche sull'avvenire. D'altra parte ciò che si è detto a proposito dell'espansione e del restringimento basta a mettere in evidenza come, nei fenomeni vitali che studiamo, tempo e spazio, si confondano, per così dire, in una specie di solidarietà vissuta, solidarietà nella quale lo spazio si trova assimilato al tempo e non viceversa. In fisica il tempo impiegato nel percorrere un tragitto, può essere scomposto parallelamente ai tratti di spazio percorso. Nella vita al contrario, il nostro bersaglio è l'avvenire; è verso di esso che camminiamo, ma per far questo bisogna abbracciare spazio e sarà lo spazio a confondersi ora con il tempo e a condividere con questo i suoi caratteri essenziali. Abbiamo visto, studiando l'attività e l'attesa, come la nozione dell'immediato si manifestava in esse congiuntamente in rapporto al tempo e allo spazio, rendendo questi ultimi solidali tra di loro. Questo ci servirà da filo conduttore nelle nostre ulteriori ricerche.