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FECONDAZIONE
Il falso duello tra laici e cattolici
di CLAUDIO MAGRIS
 

  dal Corriere - 20 maggio 2005


I quesiti impliciti nella legge 40 e di conseguenza nei referendum abrogativi la cui votazione è stata indetta per il 12 e 13 giugno sono già abbastanza complessi perché ci si possa permettere il lusso di complicarli ulteriormente con questioni inesistenti, quali ad esempio la pretesa contrapposizione, sui temi in gioco, fra cattolici, o comunque credenti, e laici. Come ho avuto occasione di scrivere ripetutamente sul Corriere negli ultimi trent’anni e come non mi stancherò di ripetere, tale equivoca contrapposizione si fonda sulla crassa ignoranza del significato del termine «laico».
Esso non indica affatto l’opposto di «cattolico» o di «credente» e non indica, di per sé, né un credente né un agnostico
né un ateo.
Laicità è un abito mentale, la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che può essere invece solo oggetto di una fede - a prescindere dal professarla o meno - e di distinguere le sfere di ambiti delle diverse competenze, ciò che spetta allo Stato e ciò che spetta alla Chiesa, ciò che compete alla legge e ciò che compete alla morale e così via.
La laicità non coincide con alcuna filosofia o ideologia, ma è l’attitudine critica ad articolare le proprie convinzioni secondo regole e principi logici che non possono essere condizionati, nella loro coerenza, da alcuna fede religiosa o politica, senza cadere in un pasticcio, sempre oscurantista come tutti i pasticci. In tal senso la cultura - anche una cultura cattolica - se è tale è sempre laica, così come la logica - quella di San Tommaso o di un pensatore ateo - non può non affidarsi a criteri di pura razionalità e così come la dimostrazione di un teorema, anche se fatta da un santo della Chiesa, deve obbedire soltanto alle leggi della matematica. Uno dei più grandi laici che ho conosciuto è stato Arturo Carlo Jemolo, cattolico fervente e religiosissimo e maestro di diritto e di libertà, il quale sapeva che il Vangelo può muovere l’animo a creare una società più giusta, ma non può tradursi direttamente in articoli di legge, come pretendono gli aberranti fondamentalisti d’ogni specie; coerentemente, Jemolo avversava la scuola privata, confessionale o no. De Gasperi e Fanfani erano entrambi credenti, ma il primo era un politico laico e il secondo no; tante volte politici anticlericali si sono rivelati faziosi e intolleranti come i sanfedisti e dunque niente affatto laici, perché laicità significa anzitutto tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, autoironia, demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri.
Sulla questione dell’aborto, ad esempio, le parole più alte e più chiare le ha dette un grande laico come Norberto Bobbio in una memorabile intervista rilasciata a Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera l’8 maggio 1981. In un discorso pacato e argomentato con la sua magistrale intelligenza logica, etica e giuridica, Bobbio sottolineava il diritto fondamentale del concepito, si stupiva che i laici lasciassero ad altri «il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere». Rispettoso della religione e della Chiesa ma estraneo a quest’ultima - ebbe infatti, per sua scelta, funerali civili - Bobbio non difendeva astrattamente la vita e ovviamente affermava il sacrosanto diritto di non voler avere figli e di non averne ossia di non concepire; riconosceva anche il diritto di disporre della propria vita e di rifiutarla: «Il suicida dispone della sua singola vita. Con l’aborto si dispone di una vita altrui».
A confondere le idee sull’aborto ha contribuito non poco - non in linea di principio, ma nella propaganda di fatto - la Chiesa, abbinandolo indebitamente e scorrettamente alla contraccezione (favorendo così implicitamente l’equivoco di chi lo considera un sia pur spinto metodo contraccettivo) e parlando retoricamente di «vita». Non è la vita che va incensata, perché è discutibile che essa meriti ossequio; quel che è certo è che devono essere rispettati i singoli viventi, che non hanno chiesto di nascere né meritato di morire.
Non so se venire al mondo sia un bene o no; so che si deve rispettare e tutelare chi è venuto al mondo. La vita di un uomo è una curva ininterrotta dal momento del concepimento a quello della morte, una curve che procede verso il potenziamento per poi declinare verso il progressivo impoverimento biologico e intellettuale; una parabola che è esposta alle aggressioni delle malattie, della denutrizione, della violenza, delle carenze affettive, e non conosce soluzioni di continuità. Fra un neonato e un uomo di vent’anni c’è più differenza di quanto ce ne sia tra il medesimo neonato e lui stesso al settimo mese di gestazione o fra questo settimo mese e il quarto e così via. Ciò che varia è il rapporto affettivo e sociale che gli altri instaurano con questo essere: si è ovviamente ben più legati a un figlio di 3 anni che a un infante nato da un’ora, si soffre diversamente per una persona cara a seconda che muoia nel pieno delle sue qualità e dei suoi rapporti con noi oppure in una stadio di età o di malattia che l’abbia da tempo esclusa da ogni relazione con noi. Ma la reazione sentimentale di un uomo non è il metro del diritto di un altro. Sono temi su cui, trent’anni fa, scrisse un memorabile articolo Pasolini.
Un laico - credente o no - dinanzi alla formulazione di una legge non deve essere condizionato da alcuna Chiesa, nè positivamente nè negativamente. Se la Chiesa cattolica impone nel terzo comandamento di santificare le feste, questa, per un credente o praticante, non è una ragione per imporre a sensi di legge di andare a Messa. Se la Chiesa nel quarto e nel settimo comandamento condanna l’omicidio e il furto, questa, per un ateo, non è una ragione per depennare giuridicamente il reato di omicidio o di furto. Il laico non si scandalizza se il cardinale Ruini o i democratici di sinistra suggeriscono di non votare a un referendum - come il primo ha fatto a proposito di quello del prossimo 12 giugno e i secondi hanno fatto a proposito del referendum del 15 giugno 2003 sull’articolo 18, perché entrambi hanno diritto di parlare e di venire ascoltati o tenuti in non cale, ma non hanno diritto di esercitare la minima pressione. Un laico si sarebbe augurato che il Tguno del 10 maggio scorso (ore 20), oltre a dedicare giustamente ampio spazio al Comitato del sì ai referendum, avesse almeno nominato il Comitato Scienza e vita, di orientamento opposto, e si augura che le argomentazioni di Angelo Vescovi, scienziato e biologo contrario alla manipolazione embrionale che ha ottenuto notevolissimi risultati in esperimenti con cellule staminali adulte vengano ascoltate, anche dai media, non meno (nè più) di quelle di rispettabili ma meno significativi prelati concordi con lui o di quelle di Carlo Alberto Redi, scienziato su posizioni antitetiche. E un laico si augura pure che, comunque la si pensi in merito alla liceità dell’aborto, nessuno lo consideri una giusta misura anticrimine, come ha fatto, in un peregrino articolo, l’illustre economista di Chicago Steven Levitt, secondo il quale l’aborto, eliminando bambini indesiderati, elimina future persone destinate a diventare, causa le loro carenze affettive, criminali. Come ha scritto sul Piccolo del 26 aprile Francesco Magris, sembra di leggere quel racconto di Philip Dick in cui s’immagina un mondo nel quale la polizia, grazie agli indovini, prevede i crimini futuri e punisce i loro futuri possibili autori prima che li abbiano commessi.
Anche lo tsunami, secondo questo modo di ragionare, ha eliminato, fra le sue vittime, probabilmente qualche possibile futuro delinquente come qualche possibile futuro genio. Ma non è così che ragiona la ragiona laica, vale a dire la ragione tout-court...
Claudio Magris