www.segnalo.it - Politica dei servizi sociali - Saggi e Articoli

HOME PAGE

FORMAZIONE    

BIBLIOTECA / CINETECA   

POLITICHE / LEGGI    

TRACCE / SENTIERI

Fini: diseducativo spingere all’astensione
«Sono cattolico però difendo i miei tre "sì". Stiamo parlando della legge di uno Stato laico» «Partiti spregiudicati, hanno strumentalizzato il voto. Invece di discutere si è usata la clava»
 

  dal Corriere - 8 giugno 2005


ROMA - Da un’ora difende la sua scelta sui referendum, quella dei «tre sì e un no» che ha spiazzato il suo partito, riempito di meraviglia le gerarchie ecclesiali, sovvertito schemi ed equilibri politici. Da un’ora Gianfranco Fini spiega che «non c’è contraddizione tra il sostegno espresso in Parlamento alla legge 40 e la volontà di modificarla», che «una legge andava approvata per porre fine al far west», che «è falsa la tesi secondo cui se vincessero i sì torneremmo all’assenza di regole o peggio apriremmo la via all’eugenetica. In realtà le regole permangono, evitano pratiche come l’utero in affitto, o che ci siano altre nonne-mamme». Ma a un certo punto il leader di An devia su un tema soltanto all’apparenza laterale, perché si è sentito «al pari di tanti altri, vittima di attacchi. E denigrare posizioni diverse dalla propria con argomentazioni che prescindono dal merito, offende. Invece di discutere si è usata la clava. Proprio su un tema in cui i politici avrebbero dovuto fare un passo indietro, è accaduto il contrario. La furia degli opposti estremismi non ha risparmiato nemmeno il Pontefice, strumentalizzato dai pasdaran di entrambi gli schieramenti. I favorevoli al referendum lo hanno accusato insieme al cardinal Camillo Ruini di essere un capo-partito. I contrari sono arrivati - senza vergogna - a pubblicare dei volantini con su scritto "Benedetto chi si astiene"». Fini ricorda i giorni aspri dello scontro seguito alla sua presa di posizione, poi però torna ad affrontare il nodo della scelta referendaria, «anche perché non voglio alimentare una campagna di demonizzazione su un tema che divide il mondo della scienza, della cultura, che anima un dibattito persino nel mondo cattolico, che attraversa la coscienza del Paese. Io vorrei ragionare, altrimenti vien meno la credibilità della classe dirigente: si rischia di allargare il fossato tra la politica e i cittadini, che parlano in modo molto appropriato del problema. Quando Rocco Buttiglione e Marco Follini dicono di non voler cambiare la legge sull’aborto io ci credo, rispetto la loro posizione. Mentre se io annuncio di votare sì al quesito sulla ricerca, vengo tacciato di essere un seguace di Mengele. Mi chiedo perché. E allo stesso modo me lo chiedo, per esempio, quando i radicali annunciano di voler denunciare i preti che invitano all’astensione».
Non pensa fosse inevitabile, visto che questo clima si era già respirato in Parlamento durante l’esame della legge sulla procreazione assistita?
«È vero, ma in quest’ultimo periodo è stato come se l’Italia fosse tornata al 1948 o al 1974. Bisognava avvicinarsi in punta di piedi a così rilevanti questioni, sapendo di non avere né autorità morale nè scientifica, invece è parsa una delle tante campagne elettorali, col trionfo dell’invettiva, dell’insulto. Il Paese è molto più maturo e saggio, mentre la politica ha perso una buona occasione per dare una lezione di stile, per entrare in sintonia con quella parte della società che vuol capire».
Qual è stato il percorso che l’ha portata a cambiare opinione sulle legge 40?
«Ho affrontato una questione così complessa con tutta l’onestà intellettuale possibile, chiedendomi se la risposta data con la legge era la più idonea, se non fosse invece opportuno garantire una maggiore sintonia con le norme degli altri Paesi europei, e una maggiore coerenza con altre leggi nazionali. Faccio un primo esempio: in Italia è possibile l’espianto di organi da persone clinicamente morte, per salvare o migliorare la vita di altre persone. La legge 40 invece vieta che la scienza usi cellule staminali degli embrioni prodotti in sovrannumero - e dunque destinati alla distruzione - per tentare di salvare o migliorare altre vite affette da gravi patologie. Un’altra contraddizione: la Commissione nazionale di bioetica, all’unanimità, compresi quindi gli scienziati cattolici, ha espresso parere favorevole all’uso scientifico delle cellule staminali dei feti abortiti. Per cui sulle cellule dei feti abortiti si può dar corso a sperimentazioni, mentre sulle cellule staminali degli embrioni no. Sono domande a cui non riesco a trovare delle risposte logiche. Di qui la mia scelta».
I parlamentari di An ricordano però che proprio lei li aveva esortati a votare la legge.
«L’ho convintamente sostenuta, perché l’alternativa era l’assenza di ogni legge, il far west. Tuttavia, nel corso del dibattito, dissi anche che il provvedimento andava migliorato per evitare i referendum. Non trovai sostenitori. Ricordo che Giuliano Amato mi appoggiò, ma in quel clima di opposte tifoserie non fu possibile trovare un compromesso. Già allora ritenevo che certe parti della legge andassero rimodulate».
Il Foglio ha riesumato le sue lettere pubblicate sul Corriere , in cui si schierava a difesa della vita, sottolineando che lei era dunque parte di uno dei due schieramenti.
«A parte il fatto che le lettere sono antecedenti al dibattito in Parlamento sulla legge 40, è chiaro che non rinnego ciò che ho scritto. Ma il provvedimento approvato, a mio avviso molto restrittivo, pone un problema di coerenza legislativa con altre leggi dello Stato. A partire dalla legge che regola l’aborto. Il comitato che si oppone al referendum ha coniato lo slogan "sulla vita non si vota". Rispetto questa posizione, però mi chiedo: il principio della sacralità della vita è tutelato integralmente nella nostra legislazione? Come far finta di nulla dinnanzi alla legge 194 e alla possibilità di interrompere la gravidanza in certi casi? Ecco la contraddizione insanabile: se l’embrione è vita, non lo è ancor di più il feto?».
Teme che se non passasse il referendum sarebbe a rischio la 194?
«Nel fronte astensionista in tanti giurano che quella legge non si tocca. Credo a quanto dicono Buttiglione e Follini, ma se per davvero pensano che la 194 non va toccata, rispondano a questa semplice domanda: com’è possibile che due leggi stiano in così stridente contraddizione tra loro? La 194 consente l’aborto quando la salute fisica e psichica della donna è a grave e provato rischio. La legge 40 vieta invece la diagnosi dell’embrione prima dell’impianto, e così facendo espone la donna a rischio di un successivo aborto, se il feto è affetto da grave malattia genetica. Le donne sono le più convinte su questo punto: non si può chiedere loro di abortire perché una legge vieta attraverso una diagnosi pre-impianto di verificare se il feto è affetto da una grave malattia di tipo genetico. Se la campagna referendaria fosse stata più onesta intellettualmente, il nodo del rapporto tra la legge 40 e la 194 avrebbe dovuto essere il tema dominante. Perché c’è un’evidente contraddizione giuridica, c’è una legislazione schizofrenica. Chi tiene gli occhi chiusi dinnanzi a questa palese contraddizione è in una condizione di scarsa coerenza. Ma c’è una cosa che produce in me fastidio».
Quale?
«L’opportunismo e la spregiudicatezza di quanti hanno preso posizione quasi unicamente nella speranza di lucrarne un vantaggio politico. È indubbio, almeno ai miei occhi, che il trionfo del tatticismo c’è stato soprattutto tra coloro che invitano all’astensione, nella speranza di ricevere consensi dalle gerarchie cattoliche, per presenti o future manovre politiche più o meno centriste. E dico centriste, non democristiane, perché la Dc aveva ben altra prudenza e ben altra lungimiranza».
Si riferisce per caso a Francesco Rutelli?
«Io rispetto la posizione del presidente della Margherita. Ma quando un esponente politico che stimo, come il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, arriva a dire che la dichiarazione astensionista di Rutelli apre prospettive politiche inaudite... Come si può non stigmatizzare le manovre partitiche?».
Veramente anche di lei si dice che abbia voluto posizionarsi sul fronte laico.
«Nessuno si permetta, non ho partecipato al risiko di Palazzo».
Si rendeva almeno conto che le sue scelte avrebbero avuto ripercussioni politiche?
«Certo, se per politica si intende porsi il problema di un rapporto tra scienza e morale. Ma qui ormai la politica non c’entra nulla. Sono in atto manovre evidenti e strumentali di tipo partitico, atteggiamenti tattici. È una guerra di posizionamento».
A proposito di rapporti con la Chiesa, le sue relazioni con le gerarchie ecclesiali hanno subito dei contraccolpi?
«Io ho sempre avuto grande rispetto verso la Chiesa, nè intendo polemizzare con chi - nel nome dei valori in cui crede - cerca di indirizzare le coscienze dei cattolici. Ma nello stesso momento in cui esistono contraddizioni così palesi, o si segue l’insegnamento della Chiesa di vietare l’aborto e la pillola del giorno dopo, oppure si deve intervenire. E noi stiamo parlando della legge di uno Stato laico».
Benedetto XVI si è ripetutamente schierato a difesa della vita che nasce, contro chi vuol sopprimerla o manometterla. È stata l’ennesima, chiara allusione contro i referendum.
«Il Papa, con linearità e coerenza, svolge il suo ruolo. Ha il diritto-dovere di essere la guida morale dei cattolici, e io che sono cattolico sento il valore del suo insegnamento. Ma ci sarà un motivo se 88, tra scienziati e premi Nobel, dicono che la legge 40 rischia di impedire alla scienza - cui vanno posti dei paletti - di aiutare la qualità della vita? Se tutte le associazioni dei malati invitano il legislatore a entrare in sintonia con la normativa europea? E sia chiaro che difendo il ruolo della Chiesa da quanti, nostalgici di Porta Pia, la accusano di ingerenza nelle questioni della politica. La Chiesa adempie al suo magistero, il cittadino decide in base alla propria coscienza».
Considera una truffa l’astensione, e truffaldino chi la sponsorizza?
«Non ho dubbi sulla legittimità dell’astensione, opzione cui tanti hanno fatto ricorso in passato per altri referendum. Tuttavia sull’eterologa voterò no perché voglio che la mia motivata decisione non si confonda con l’ignavia di chi non ha opinione, o di chi non vota perché rinuncia a esercitare la cittadinanza attiva. Politicamente l’astensione è segno di debolezza, è finalizzata solo al mancato raggiungimento del quorum. Sarà pur legittima ma a mio avviso è diseducativa, favorisce la deresponsabilizzazione del cittadino, allarga il fossato tra il Palazzo e il Paese. Un conto è la Chiesa, che ha come obiettivo evitare la modifica della legge. Un altro sono i politici: e io mi chiedo come esponenti politici che dovrebbero avere a cuore la partecipazione motivata degli elettori, invitino all’astensione. Naturalmente ne comprendo le ragioni, visto che in qualche modo danno ascolto alla preghiera della Cei».
Se vincerà il fronte astensionista, lei verrà annoverato tra i perdenti. Se vincerà il fronte referendario, verrà accusato di aver contribuito alla sua vittoria. Ha calcolato questi rischi?
«A parte il fatto che non sono pessimista sul raggiungimento del quorum, stiamo parlando di referendum non di elezioni».
Sarà, ma con un documento la maggioranza dei parlamentari di An si è schierata a favore dell’astensione: lo considera un atto di sfiducia verso di lei?
«An si è mostrato un partito liberale in questa circostanza, lasciando libertà di coscienza. Sarebbe stato un errore legare la mia posizione personale al mio ruolo. Perciò non considero quel documento un atto di sfiducia. Naturalmente se chi lo ha preparato volesse considerarlo tale, dovrà motivarlo».
Pensa che la sua leadership sia minacciata? Che qualcuno miri al ricambio generazionale dentro An?
«Per la posizione che ho preso sui referendum, non credo. Poi, se ci sono altre motivazioni, sono pronto a confrontarmi».
Francesco Verderami