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Confcooperative e Legacoop criticano riforma Ipab
La Regione vorrebbe trasformare gli istituti di assistenza e beneficenza in aziende pubbliche di servizi alla persona
BOLOGNA (16 nov. 2004) - Confcooperative e Legacoop dell'Emilia Romagna danno un giudizio sostanzialmente negativo della riforma degli IPAB (Istituti pubblici di assistenza e beneficenza) che la Regione si appresta ad approvare definitivamente in questi giorni.
Il 17 novembre infatti, la Commissione Consigliare competente discuterà questo tema probabilmente per l'ultima volta.

Confcooperative e Legacoop dell'Emilia Romagna sottolineano che questa riforma, il cui iter è iniziato nel mese di maggio, prevede la trasformazione degli IPAB in aziende pubbliche di servizi e la loro fusione finalizzata a raggiungere elevate dimensioni, in grado, secondo la Regione, di garantire efficienza e qualità del servizio. Come se la grande dimensione fosse di per se' garanzia di buoni risultati.
Ma la cooperazione sociale vuole soprattutto mettere in evidenza che molti dei contenuti della riforma non sono coerenti con le scelte di indirizzo delle recenti leggi regionali e nazionali, che delegano la Regione a legiferare su questa materia. In queste leggi, infatti, non si trova alcun riferimento ai requisiti minimi, peraltro molto drastici, in base ai quali ogni IPAB è costretto a trasformarsi in Azienda pubblica di servizi; non si trova traccia dell'allargamento a quelle IPAB che svolgono servizi in forma indiretta, cioè affidandoli ad altri soggetti o sovvenzionando solamente il sistema generale dei servizi socio-assistenziali; non si trova nemmeno traccia della dimensione territoriale che si intende attribuire ad ogni nuova Azienda, vale a dire quella del distretto.
Secondo Confcooperative e Legacoop con questa riforma la Regione Emilia Romagna sembra voler costruire un soggetto locale che, oltre a possedere i capitali e gli strumenti di produzione dei servizi, eroga e gestisce i servizi stessi con metodi e strumenti quasi totalitari.
Si tratta di un disegno politico preciso, che rischia di 'cancellare' le altre iniziative già presenti sul territorio e gli altri attori che gestiscono i servizi socio-assistenziali in Emilia-Romagna. Un disegno, tra l'altro, assolutamente incoerente con la legge regionale 2/2003, che istituisce il sistema integrato dei servizi sociali a livello regionale, e con la legge nazionale del settore (328/2000), approvata dalle stesse forze politiche che governano la Regione. Leggi, queste, che teorizzano la promozione di un sistema nazionale e regionale basato sulla cooperazione di tante iniziative diverse e di tanti soggetti pubblici e privati non profit diversi.
Con la riforma delle IPAB la Regione vuole, invece, realizzare un sistema regionale di servizi sociali in cui il pubblico possiede, produce e gestisce direttamente i servizi e, in determinati settori, tutti i servizi, con buona pace degli altri soggetti che, nella migliore delle ipotesi potranno candidarsi a operare come terzisti nei servizi delle Aziende pubbliche, impiegati magari soltanto per abbassare i costi, magari con evidenti convenienze, ma con dubbi risultati sul piano della qualità.
Siamo convinti che nessuno consideri tutto ciò sinonimo di efficienza. Tanto meno la cooperazione sociale.