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Nota per la stampa
12 dicembre 2001

 

Istituzioni nonprofit In Italia: i risultati della prima rilevazione censuaria


Anno 1999


Vengono presentati nel volume i risultati definitivi ed analitici della prima rilevazione censuaria sulle istituzioni nonprofit attive nel 1999. Con questo lavoro l’Istat si è posto l’obiettivo di far emergere le reali dimensioni e le principali caratteristiche del nonprofit, settore rimasto finora in buona parte oscurato nelle statistiche ufficiali, nonostante la sua rilevanza per il funzionamento della società e dell’economia italiana.
Lo stimolo alla realizzazione della rilevazione censuaria è stato infatti alimentato dalla crescente domanda di informazioni strutturate riguardo un fenomeno che, nel corso dell’ultimo decennio, anche a seguito dell’adozione di importanti provvedimenti normativi, è stato più volte al centro dell’attenzione di decisori politici, studiosi, operatori del settore.
La definizione adottata nella rilevazione censuaria (tratta dal System of National Accounts) identifica le istituzioni nonprofit come "enti giuridici o sociali creati allo scopo di produrre beni e servizi, il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno finanziario per le unità che le costituiscono, controllano o finanziano".
Le istituzioni nonprofit attive nel 1999 sono 221.412, con entrate per 73.000 miliardi e uscite per 69.000 miliardi. Circa la metà di queste istituzioni è localizzata nell'Italia settentrionale, mentre i due terzi operano in misura prevalente nel settore della cultura, sport e ricreazione. Nel 55% dei casi si tratta di istituzioni "giovani", cioè nate nel corso dell’ultimo decennio. I lavoratori retribuiti all’interno delle istituzioni nonprofit ammontano a 630 mila. Le istituzioni nonprofit si avvalgono inoltre dell’opera di 3,2 milioni di volontari, 96 mila religiosi, 28 mila obiettori di coscienza.
L’universo delle istituzioni nonprofit italiane ha raggiunto, soprattutto in quest’ultimo decennio, una considerevole consistenza numerica, ma la composizione al suo interno, sia sotto il profilo istituzionale sia sotto quello economico, non è omogenea. In particolare, l’insieme più diffuso è quello delle associazioni, riconosciute e non, attive in via prevalente nel settore della cultura, sport e ricreazione, che ricorre in misura rilevante alla risorsa del volontariato.
Tuttavia, negli stessi anni, è cresciuto in modo significativo il numero di istituzioni nonprofit che dispongono di capacità economiche ed operative relativamente consistenti. Esse operano in prevalenza nei settori dell’assistenza sociale, dell’istruzione e ricerca e della sanità, assorbono il maggior numero di dipendenti e mobilitano il volume maggiore di risorse economiche.
Resta da sottolineare che il settore nonprofit può vantare, nel complesso, una rilevanza economica affatto trascurabile, soprattutto se messo a confronto con istituzioni pubbliche ed imprese for profit operanti in ambiti analoghi.

 

La diffusione sul territorio

La distribuzione territoriale delle istituzioni nonprofit si presenta abbastanza disomogenea: al Nord si concentra il 51,1% delle unità censite, nel Centro il 21,2%, mentre il 27,7% opera nel Mezzogiorno. Complessivamente, nel Paese sono attive 38,4 istituzioni ogni 10mila abitanti. Nel dettaglio regionale, la presenza relativa di unità è nettamente superiore in Trentino-Alto Adige (88,7 istituzioni per 10mila abitanti), Valle d’Aosta (69,2), Umbria (52,0) e Friuli-Venezia Giulia (51,6).
Le regioni meridionali presentano invece i rapporti più bassi: 29,5 istituzioni ogni 10mila abitanti in Puglia; 25,8 in Calabria; 21,0 in Basilicata; 19,7 in Campania. Soltanto la Sardegna raggiunge una densità di livello simile a quella riscontrata nelle regioni centrali (47,6). Nel Mezzogiorno, le istituzioni nonprofit sono anche mediamente più giovani: l’incidenza delle istituzioni costituitesi negli ultimi dieci anni è qui del 61,4%, contro il 52,0% del Nord e il 55,0% del Centro.

 

Le attività svolte

Circa i due terzi (63,4%) delle istituzioni nonprofit operano in via prevalente nel settore della cultura, sport e ricreazione. All’interno di tale settore, le attività sportive sono quelle svolte dal maggior numero di istituzioni (25,7%, pari a 56.955 unità), seguite dalle attività ricreative e di socializzazione (19,4%, 42.884 unità) e dalle attività culturali e artistiche (18,3%, 40.553 unità). Molto più contenuto il numero di istituzioni che svolge, in via prevalente, altre attività quali relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (7,1% pari a 15.651 unità), servizi di assistenza sociale (6,6%, 14.621 unità), altri servizi sanitari (3,7%, 8.234 unità), tutela dei diritti e attività politica (3,1%, 6.842 unità), attività di promozione e formazione religiosa (2,7%, 5.903 unità), istruzione primaria e secondaria (2,3%, 5.153 unità). Le altre attività previste nella classificazione vengono espletate, in via prevalente, ciascuna da meno del 2% delle istituzioni.

 

Diversificazione e specializzazione delle attività

Il 61,5% delle istituzioni nonprofit dichiara di operare in un solo settore di attività. Questa percentuale sale al 68,6% tra le istituzioni che svolgono attività di formazione e promozione religiosa, al 64,2% tra quelle attive nella cultura, sport e ricreazione, al 63,2% tra le istituzioni del settore sanitario. La diversificazione dei settori di attività riguarda complessivamente il 38,5% delle istituzioni. Le unità che svolgono 2 o 3 attività, pari al 30,5% delle istituzioni, sono più concentrate nei settori di attività prevalente rivolti alla tutela dell’ambiente (40,7%), allo sviluppo economico e coesione sociale (39,3%), alla cooperazione e solidarietà internazionale (38,2%). Infine, le istituzioni che presentano una maggiore diversificazione delle attività (più di 3) - che costituiscono l’8,0% a livello nazionale - risultano più frequentemente presenti nei settori di attività prevalente dedicati a filantropia e promozione del volontariato (23,1%), cooperazione e solidarietà internazionale (19,1%), sviluppo economico e coesione sociale (18,3%).
Inoltre, in 8 settori su 12 della classificazione adottata, quote consistenti delle indicazioni si riferiscono a classi di attività interne al settore nel quale l’istituzione opera in via prevalente. In altri termini, le istituzioni nonprofit tendono a diversificare le proprie attività in modo da continuare ad operare negli ambiti in cui la loro attività è già indirizzata in modo prevalente.
Questo tipo di referenzialità settoriale è molto pronunciata nelle istituzioni attive in via prevalente nel settore della cultura, sport e ricreazione. Infatti, nel 56,1% dei casi esse operano in via secondaria in campi appartenenti allo stesso settore di attività, rispetto ad una percentuale sul complesso delle istituzioni pari al 45,2%.

 

Le dimensioni economiche

Osservando le risorse, sia disponibili che impiegate, l’universo del nonprofit è in gran parte costituito da unità di piccole dimensioni. Nonostante la dimensione media di entrate e uscite superi i 300 milioni, oltre la metà delle istituzioni si attesta su cifre inferiori a 30 milioni per entrambi i valori di bilancio; quasi un terzo si colloca nella fascia di entrate (e uscite) tra 30 e 250 milioni e circa il 5% in quella tra 250 e 500 milioni di lire. Infine, meno di una istituzione su 10 ha entrate e uscite per importi uguali o superiori a 500 milioni. In tal modo il 9,0% delle istituzioni (quelle appartenenti alla classe di entrate superiore a 500 milioni) detiene l’88,3% dell’intero ammontare, mentre il restante 91,0% si divide appena l’11,7%.
E’ inoltre da sottolineare la relazione molto netta tra disponibilità di mezzi economici e tipologie di risorse umane impiegate: al crescere della classe di entrate aumenta il ricorso a lavoratori retribuiti. Infatti, opera con volontari soltanto il 36,2% delle istituzioni con entrate superiori a 500 milioni, a fronte dell’88,1% di quelle con entrate fino a 100 milioni. Le unità che impiegano dipendenti risultano invece relativamente più frequenti tra le istituzioni con importi di entrate più elevati: sono il 2,5% delle istituzioni con entrate fino a 100 milioni, il 45,6% di quelle con entrate tra 101 e 250 milioni, il 70,3% delle istituzioni con entrate tra 251 e 500 milioni, l’86,7% di quelle che superano i 500 milioni. Inoltre, tra le istituzioni con importi di entrate più elevati, il maggior ricorso ai dipendenti si accompagna anche ad un più elevato utilizzo di altre tipologie di risorse, non solo quelle retribuite: tra le istituzioni con entrate maggiori a 100 milioni, il 17,5% impiega lavoratori con contratto di collaborazione, l’8,8% religiosi, il 6,7% obiettori di coscienza ed il 5,2% lavoratori distaccati da altri enti; tra quelle con entrate fino a 100 milioni il 2,4% impiega collaboratori, il 3,7% religiosi, lo 0,9% obiettori di coscienza e lo 0,8% lavoratori distaccati da altri enti.
Differenze di rilievo si riscontrano poi nella distribuzione delle istituzioni nonprofit per classi di entrate e settore di attività prevalente. Importi di entrate (e, conseguentemente, di uscite) superiori a 250 milioni sono maggiormente presenti tra le istituzioni che operano in via principale nei settori altre attività (42,0%), relazioni sindacali e rappresentanza degli interessi (36,9%), istruzione e ricerca (35,9%), sviluppo economico e coesione sociale (33,1%), assistenza sociale (28,0%) e cooperazione e solidarietà internazionale (24,4%). Al contrario, la quota di istituzioni con importi di entrate inferiori a 250 milioni tende ad essere significativamente superiore a quella calcolata sul totale delle unità osservate (85,6%), nei settori di attività prevalente della cultura, sport e ricreazione (93,0%) e dell’ambiente (92,1%).

 

Profili economici interni al settore nonprofit

Per classificare le istituzioni nonprofit nei settori istituzionali sono stati individuati alcuni importanti profili economici interni al settore. In primo luogo, si sono distinte le istituzioni market, che finanziano i propri costi di produzione in misura prevalente mediante ricavi dalla vendita di beni e sevizi, da quelle non market, che invece coprono una quota maggioritaria dei propri costi mediante trasferimenti da altri soggetti, pubblici e privati. Un’altra distinzione è stata fatta separando le istituzioni a prevalente finanziamento pubblico da quelle a prevalente finanziamento privato. Infine, un ultimo criterio classificatorio concerne la destinazione dei beni e servizi prodotti: esso distingue le istituzioni mutualistiche, che rivolgono la propria offerta esclusivamente ai soci, da quelle di pubblica utilità, che la destinano ad utenti esterni.

Attività economica market e non market

Le istituzioni non di mercato costituiscono il 64,1% delle unità censite. Questa prevalenza numerica si mantiene in tutte le regioni e per tutti i periodi di costituzione; tuttavia viene fortemente ridimensionata in corrispondenza di alcune forme giuridiche e di alcuni settori di attività.
Infatti, il 91,6% delle cooperative sociali e il 42,2% delle istituzioni con forma giuridica non altrimenti classificata agiscono in prevalenza sul mercato, a fronte di una quota media pari al 35,9%. La quota di istituzioni operanti sul mercato scende al 35% circa tra le associazioni – riconosciute e non – e le fondazioni ed è ancora più contenuta per i comitati (14,5%).
Le istituzioni rivolte principalmente al mercato costituiscono la maggioranza (59,4%) di quelle attive prevalentemente nelle cosiddette attività non altrimenti specificate. Anche le istituzioni del settore della sanità operano in maggioranza sul mercato (50,1%), mentre la percentuale scende sotto il 50% nel caso delle istituzioni attive nell’istruzione e ricerca, nell’assistenza sociale e nello sviluppo economico e coesione sociale. Molto contenute sono, invece, le quote di istituzioni market che si dedicano ai settori della tutela dei diritti e attività politica (16,1%), delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (16,0%) e della promozione e formazione religiosa (1,1%).

Tipo di finanziamento prevalente

Le istituzioni nonprofit si sostengono nell’87,1% dei casi attraverso finanziamenti prevalentemente privati, mentre il restante 12,9% ha come fonte di finanziamento prevalente entrate di origine pubblica.
Rispetto alla forma giuridica delle istituzioni, la prevalenza del ricorso al finanziamento privato, rilevata a livello complessivo, è più accentuata per le associazioni non riconosciute: il 90,4% delle istituzioni nonprofit che ha assunto questa forma giuridica dichiara di finanziarsi con entrate prevalentemente private. Una situazione opposta si rileva per le cooperative sociali che, nel 58,8% dei casi, si finanziano con entrate prevalentemente pubbliche.
Anche riguardo al settore di attività prevalente, la maggior parte delle istituzioni di ciascun settore si finanzia ricorrendo principalmente a introiti di fonte privata. In particolare, quote di istituzioni a prevalente finanziamento privato si registrano nei settori della promozione e formazione religiosa (+10,1 punti percentuali rispetto alla quota nazionale), delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (+10,0), della tutela dei diritti e attività politica (+6,5), della filantropia e promozione del volontariato (+3,9) e della cultura, sport e ricreazione (+3,2). Al contrario, quote di istituzioni a prevalente finanziamento privato inferiori a quella generale, si rilevano per i settori della sanità (-27,0 punti percentuali rispetto alla quota nazionale), dell’assistenza sociale e dello sviluppo economico e coesione sociale (-13,5 in ambedue i casi), dell’ambiente (-12,9) e dell’istruzione e ricerca (-7,2).

Destinazione dei servizi

Il 67,3% delle istituzioni nonprofit sono di pubblica utilità e il 32,7% mutualistiche. Tuttavia, anche riguardo a questo aspetto le differenze sono rilevanti a seconda della localizzazione territoriale e delle caratteristiche strutturali e dimensionali delle unità rilevate.
In relazione alla forma giuridica, il 97,8% delle fondazioni, il 93,7% delle cooperative sociali, l’86,3% delle unità con altra forma giuridica e l’85,0% dei comitati offrono servizi di pubblica utilità. Al contrario, tra le associazioni non riconosciute e riconosciute sono relativamente più frequenti le istituzioni a carattere mutualistico (rispettivamente 36,0% e 32,1%).
Rispetto all’attività svolta in via prevalente, le istituzioni di tipo mutualistico sono relativamente più frequenti nei settori della cultura, sport e ricreazione (41,3%), delle altre attività (39,7%) e delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (30,7%), mentre quelle di pubblica utilità operano principalmente nella sanità (93,8%), nella cooperazione e solidarietà internazionale (92,9%) e nella filantropia e promozione del volontariato (90,7%).