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LA FORMAZIONE DEGLI AUSILIARI SOCIO-ASSISTENZIALI
PREFAZIONE
di Paolo Ferrario - Professore a contratto di Politica Sociale al Diploma Universitario in Servizio Sociale dell’Università di Venezia
Una riflessione attorno al tema della formazione degli ausiliari socio-assistenziali è utile per molti motivi. Da una parte contribuisce a produrre nuove competenze nel lavoro formativo. Dall’altra è un’occasione per ripensare alcuni aspetti cruciali dello sviluppo dei servizi sociali negli ultimi decenni.
Vi è, infatti, una stretta connessione fra le politiche dei servizi e l’ampliamento e la differenziazione dei ruoli professionali di coloro che vi operano.
Negli anni ’70, attraverso un efficace processo legislativo, viene costruita l’architettura di base del sistema pubblico di offerta dei servizi. Attraverso la costituzione delle regioni a statuto ordinario, l’ampliamento delle competenze comunali e la formazione della prima rete delle Unità Sanitarie Locali è stato possibile definire l’assetto istituzionale locale e delineare le caratteristiche di specifiche aree di intervento. Il contesto istituzionale si caratterizza nel seguente modo:
- alle Regioni spettano compiti di indirizzo, disciplina e coordinamento
- ai Comuni spetta un ruolo di gestione e organizzazione dei servizi sociali
- alle USL spetta un ruolo di gestione e organizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari
Fino a quel momento la presenza quantitativa delle professioni sociali era ancora debole: la figura più diffusa era quella dell’assistente sociale, che rappresentava una professione che potremmo definire “storica”; ancora pochi erano gli psicologi, per i quali non esisteva ancora la facoltà universitaria, come pure gli educatori, che agivano prevalentemente all’interno degli istituti per minori.
Nel periodo successivo, tuttavia, la situazione cambia. Con gli anni ’80 assistiamo ad un processo di estensione delle organizzazioni di servizio e, contemporaneamente, delle professioni sociali. Un ruolo significativo in tale direzione è stato svolto dalle leggi regionali di riordino dei servizi sociali, che hanno favorito lo sviluppo di strategie organizzative da parte dei vari soggetti gestori e programmatori. In proposito occorre ricordare gli aspetti più importanti della normativa della Regione Lombardia (LR 1/1986):
- sistematica definizione dei ruoli e funzioni degli enti locali ed in particolare della Provincia che, accanto ai due enti gestori più importanti (Comuni e USL), ha potuto contribuire al rafforzamento delle reti dei servizi
- elaborazione di standard strutturali e gestionali che hanno contribuito ad indurre gli enti gestori dei servizi ad avviare processi di miglioramento qualitativo anche attraverso la formazione
- stimolo a creare una cultura programmatoria nei sistemi operativi dei servizi sociali.
La storia professionale degli ausiliari socio assistenziali va collocata all’interno di questo scenario: in rapporto alla crescita dell’offerta organizzativa dei servizi, si rafforza anche la consapevolezza della necessità di investire sulla professionalizzazione di tale ruolo.
Non è stato e non è ancora un processo semplice. In particolare è da segnalare la contraddizione fra i fattori socio-culturali che determinano l’aumento della domanda delle professioni di aiuto e la sua regolazione legislativa.
Vi sono varie ragioni sociali, economiche e culturali che promuovono un rafforzamento della richiesta di tale professione. I mutamenti avvenuti nei ruoli familiari, con il passaggio dalla famiglia allargata a nuclei composti da un sempre minor numero di componenti, la riduzione delle reti di solidarietà e di vicinato, sia nelle grandi città sia nei piccoli comuni, il progressivo invecchiamento della popolazione, con la crescita dei cosiddetti “grandi anziani”, sono tutti fattori che ampliano la domanda di servizi sociali che soddisfino sia le esigenze della vita quotidiana che quelle di comunicazione.
Un altro elemento di rilievo è sicuramente costituito dall’ingresso nel mondo del lavoro delle donne. Tale fenomeno comporta necessariamente una riduzione del “lavoro di cura” che si realizzava all’interno dei contesti familiari e fra le diverse generazioni:
“il lavoro di cura emerge come un intreccio di notevole complessità tra gesti, comportamenti, atteggiamenti, emozioni, valori; si attua principalmente all’interno di una relazione duale (tra chi cura e chi è curato); si colloca in un contesto relazionale più ampio (la famiglia) e si inserisce nello specifico tessuto socio-culturale da cui trae connotazioni differenti” ([1])
A fronte di ciò permane una situazione di indeterminatezza normativa del ruolo di questa professione. Indicativo in tal senso sono anche le diverse denominazioni attribuite da parte delle regioni: addetto all’assistenza; assistente domiciliare e dei servizi tutelari; ausiliario socio-assistenziale; operatore socio-assistenziale dei servizi domiciliari e tutelari; operatore tecnico dell’assistenza.
Con gli anni ’90 il sistema dei servizi si arricchisce di nuovi soggetti che interagiscono con il settore pubblico. L’articolato mondo del privato-sociale (cooperative sociali, associazioni, fondazioni, volontariato organizzato) interviene come soggetto strategico nella politica dei servizi. Accanto alla gestione diretta da parte degli enti locali tende a crescere l’affidamento all’esterno dei servizi e questo processo comporta l’allargamento delle potenzialità occupazionali per gli ausiliari socio sanitari.
La successiva tavola ha l’obiettivo di rappresentare in modo sintetico la connessione fra le politiche dei servizi e lo sviluppo professionale.
PERIODO |
POLITICHE DEI SERVIZI |
SVILUPPO DELLA PROFESSIONE |
Anni ‘70 |
- legislazione statale
- assetto istituzionale pubblico
- estensione dell’offerta dei servizi
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- contesto pubblico per l’esercizio della professione
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Anni ‘80 |
- legislazioni regionali
- regolazione programmatoria e gestionale dei servizi sociali tramite le normative di riordino |
- individuazione della posizione funzionale nel contratto degli enti locali
- linee per il profilo professionale da parte del Ministero dell’interno
- profilo professionale da parte del Ministero della sanità
- attuazione di esperienze formative rivolte ad operatori già in servizio
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Anni ‘90 |
- rafforzamento di ruolo del settore del privato sociale (leggi sulle cooperative sociali e sulle organizzazioni di volontariato)
- ridefinizione dei ruoli del settore pubblico (leggi sui comuni e sulla pubblica amministrazione; leggi sulle Aziende sanitarie)
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- sviluppo di un mercato privato per la professione
- estensione della formazione professionale di base
- supporto relazionale agli operatori in servizio |
Questo operatore dei servizi ha agito in riferimento a due contesti organizzativi, caratterizzati da diversi processi di lavoro:
- strutture residenziali (istituti, Residenze sanitarie assistenziali)
- servizi domiciliari
Più vincolato da norme, procedure, rapporti gerarchici nel primo caso. Più inserito in progetti coordinati di aiuto socio-sanitario nel secondo caso.
Tuttavia sono riscontrabili elementi comuni nell’esercizio professionale:
L’assistente domiciliare lavora con la persona e con il contesto:
- nella continua necessità di bilanciare teoria e prassi, oggettività e soggettività, sentimento che coinvolge la razionalità che la professionalità richiede
- nell’indispensabilità di non farsi travolgere, mantenendo le motivazioni, dalle condizioni di sofferenza umana che incontra e prende carico nella relazione con le persone
- nell’organizzazione spesso inadeguata che “brucia gli operatori al fuoco delle ambivalenze” ([2]).
Il valore della ricerca curata Servizio Formazione dell’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Brescia sta soprattutto nell’avere attentamente documentato e presentato all’esterno un percorso di lavoro che intreccia varie dimensioni :
- la progettazione formativa nel settore dei servizi alla persona
- la rilettura dei contesti organizzativi nei quali si esprime la complessità del lavoro sociale
- la valorizzazione del ruolo operativo dell’ausiliario socio assistenziale
Proprio la contraddizione in precedenza evidenziata (crescita della domanda di lavoro di cura e debole definizione istituzionale) richiede un lavoro caratterizzato dal “dare visibilità” ai processi culturali del lavoro sociale ([3]).
I ruoli coinvolti nella produzione dei servizi sono indispensabili per avviare e sostenere i progetti obiettivo rivolti alle persone e ai gruppi sociali in situazione di bisogno. Il processo di costruzione di un’identità professionale stabile e forte non può appoggiarsi su una legittimazione soddisfacente e definita dalla loro posizione sociale. Nello stesso tempo la specificità dei compiti svolti ed attribuiti non sempre permette di definire e descrivere le funzioni di ruolo, né di procedere ad una valutazione condivisa e rendere visibile il significato delle attività svolte.
In un simile contesto diventa problematico mantenere nel corso del tempo un’immagine di sé positiva ed adeguata all’impegno professionale, alle proprie motivazioni ed alle aspettative della esterne. La società, le organizzazioni di appartenenza, gli altri operatori, gli utenti non sempre sono fonte sufficiente di riconoscimento professionale.
La formazione professionale degli operatori ha a che fare con questi problemi. Si tratta di costruire ed elaborare i particolarissimi codici di funzionamento dei servizi socio-sanitari:
- l’influenza delle dimensioni politiche, legislative, amministrative
- i compiti e le responsabilità dei singoli operatori in rapporto alle altre professioni
- le culture professionali
- i vincoli e le opportunità presenti nelle organizzazioni di servizio
Per un arco abbastanza lungo di tempo le province hanno curato questi aspetti, investendo risorse sulla formazione degli ausiliari socio assistenziali. Nel fare questo sono state realizzate abilità e capacità tecniche e relazionali che sono andate a costituire un patrimonio di esperienze che fa parte delle persone e dei gruppi coinvolti nel lavoro formativo.
Trasferire tutto questo insieme di informazioni, schemi cognitivi, progetti, strumenti didattici e realizzazioni ad altri contesti formativi non è facile. Il rapporto di ricerca ha quindi la funzione di favorire il passaggio amministrativo e tecnico-didattico dalla provincia agli enti gestori della formazione professionale.
Ma contemporaneamente queste pagine offrono un ulteriore contributo conoscitivo sul funzionamento delle reti dei servizi sociali.
[1] In Maria Pia May e Patrizia Taccani, Lavoro di cura, in: Pagine Aperte 2, a cura di Luigi Mauri e Carlo Penati, FrancoAngeli, Milano, 1996, pag. 135
[2] In Marilena Scassellati Galetti, L’assistente domiciliare, in Professioni nel sociale a cura di R. Maurizio e D. Rei, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991, pag. 98-99
[3] In rapporto all’esigenza di documentare questi importanti aspetti della politica dei servizi, la presente ricerca si affianca ad altri contributi, fra cui si ricordano: Labos, L’analisi di un caso: l’assistente domiciliare, in Professioni sociali, Edizioni T.E.R., Roma 1993, pag. 101-125; Provincia di Bergamo – Servizi Sociali, Valore e potenzialità della professione di ausiliario socio assistenziale, giornata di studio 4 maggio 1994; Beatrice Longoni, Giovanna Perucci, Noi ci siamo: guida psicosociale per gli operatori dell’assistenza, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 1997, pag. 531; Associazione “La bottega del possibile”, Il sostegno alla persona e alla famiglia, Edizioni L’Altro Modo, Pinerolo 1996, pag. 154; Patrizia Taccani, Sergio Tramma, Antonia Barbieri Dotti, Gli anziani nelle strutture residenziali, la Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, pag. 170