Testamento biologico in vita di Paolo Ferrario
Io sottoscritto, Paolo Ferrario, nato a Como il
26 novembre 1948 e residente in questa città, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche,
dichiaro quanto segue.
Potrebbe accadere che, a un certo punto della mia vita, mi venga a trovare in
uno stato di malattia allo stadio terminale, coma irreversibile, morte cerebrale
e, in generale, in un qualsiasi stato fisico in cui la mia sopravvivenza sia legata
all'utilizzo non temporaneo di macchine o altri sistemi artificiali, compresa
l'alimentazione e l'idratazione forzata.
Nel caso fossi nelle condizioni di esprimere il mio consenso informato sono certo che non accetterei una degradazione corporea oltraggiosa per il mio sentimento della dignità personale.
Nel caso, invece, in cui fossi impossibilitato a esprimere la mia volontà, chiedo ora a mia moglie, alle persone che mi hanno conosciuto, al personale di assistenza che incontrerò, ai detestabili comitati di bioetica che vorrebbero decidere per me, al giudice che sarà chiamato ad emettere una sua sentenza, un gesto di compassione.
Faccio mia la definizione di "compassione" nella
sua accezione buddhista di "un sentimento considerato portatore, per ogni
essere senziente, del desiderio del bene per gli altri".
Ritengo ogni forma di accanimento terapeutico come un atto di crudeltà, lesivo
della mia dignità di essere umano. Di conseguenza, considero la sospensione di
tali trattamenti come un gesto di compassione.
Ho paura della morte, e ancora più della sofferenza, tanto più se inutile e
indotta da tecnologie mediche (delle quali apprezzo immensamente i progressi
scientifici e tecnici) ormai impossibilitate a consentire una qualità di vita
accettabile alla mia sensibilità psicologica ed esistenziale. Vorrei tuttavia poterla accogliere come un
lungo ed eterno sonno dove le molecole momentaneamente aggregate nel mio attuale
corpo si stanno riaggregando in altre forme di vita. Là, nell'infinito che mi
pre-esisteva e che continuerà oltre il mio temporale Io.
Considero l'essere tenuto in vita da un
macchinario che si sostituisce permanentemente alle mie funzioni vitali una violenza da me non voluta che ritarda l'appuntamento che comunque mi
aspetta, come per qualunque essere vivente.
Il corpo che ho avuto in prestito in vita, nel caso ci fosse ancora qualche
parte funzionante, lo cedo per trapianti.
Il resto vorrei che fosse cremato, e le mie ceneri
restituite alla terra, nel luogo che più ho amato, oppure al lago che non ho mai
abbandonato in tutto il corso del tempo.
Paolo Ferrario
8 Ottobre 2008, confermato il 16 Marzo 2012