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Pagnini Alessandro, Tutti i travestimenti dell'anti-illuminismo

Nonostante i buoni propositi di Scalari un compiaciuto “sonno della ragione” domina con poche eccezioni la scena filosofica italiana

Eugenio Scalfari (a cura di), "Attualità dell'Illuminismo", Laterza, Roma-Bari 2001, pagg. 128, L. 18.000, € 9,30.

Il libello raccoglie, con poche aggiunte, i testi di un dibattito apparso di recente su "La repubblica". Il via lo dà Scalfari lamentando un preoccupante declino dei valori dell'Illuminismo, secondo lui soppiantato prima dal "volontarismo irrazionale sboccato nell'esistenzialismo" e poi dal nichilismo e dalla cultura dell'Essere d'impronta heideggeriana. Quel che aggrava la preoccupazione di Scalfari è che anche un "liberaldemocratico" come Berlin, nei saggi di Controcorrente, sembra perso alla causa. Intervengono a puntualizzare alcuni illustri pensatori, da Bobbio a Vattimo a Eco, in genere rassicurando Scalfari che l'Illuminismo non è morto, ma che, se "essere illuministi oggi è il vero modo di mettersi contro corrente rispetto al pensiero e alla prassi comune e dominante" (p. 10), bisogna però farlo consci di tanti pericoli e disposti a necessari correttivi.

Propongo qui di seguito, citando dai vari interventi, un florilegio di caveat e di memento per uno che voglia dirsi illuminista oggi: "la Ragione si è vieppiù ridotta a mera razionalità strumentale... incapace di governare quella forza cieca che Nietzsche chiama volontà di potenza", ovvero "il sueño de la razón... produce mostri" (p. 13); "il sacro, il mito, il simbolico, con le loro potenti immagini che i romantici hanno coltivato, sono risorse troppo importanti per essere lasciate in balìa dell'irrazionalismo" (p. 14); e se avessimo liquidato troppo affrettatamente la lezione di Horkheimer e Adorno? "Siamo sicuri che i due francofortesi esagerassero quando avvertivano che nella terra della ragione illuminista brilla un sole di sventura?... O preferiamo credere che la Rivoluzione finisce nel Terrore non in base a una sua precisa logica, anzi, dialettica, ma solo perché ai giacobini è scappata la mano?" (p. 33); "il tratto specifico dell'Illuminismo sta precisamente nella sua differenza interna, nella sua forza di autodecostruzione. Come altrimenti potrebbero starvi insieme i nomi di Voltaire e di Rousseau, di David e di Füssli, di Kant e di Sade, di Mozart e di Blake?" (p. 45); "Né l'animalitas né la rationalitas bastano a costituire la humanitas dell'uomo. Ci vuole in più quella che egli Kant chiamava la spiritualitas o personalitas, concetto che traeva dall'altro pilastro della nostra tradizione, il cristianesimo" (p. 15); e infine, illuministi sì, purché non si parli non ermeneuticamente di verità, perché "se qualcuno viene e pretende che quel che dice sia la verità "oggettiva", allora... metto mano alla pistola" (p. 42).

Da queste pagine si apprende anche che un Illuminista oggi non può esserlo se non dopo Goethe, Nietzsche, Jünger, Heidegger e Benn; se non è pronto a soppiantare la povera logica dell'identità con una ben più capace "logica della differenza" (p. 46); e se non si rivolge alla scienza, che rigorosamente deve identificare con la tecnologia, con più di una cautela e di un sospetto, avvertito che "nessun scienziato guarda il mondo "oggettivamente" per amore della verità... ma lo fa per vincere il Nobel (p. 38). Da buoni illuministi si deve anche celebrare Vico come "il primo illuminista" e si deve esser contenti che, a spregio della tradizione analitica, la "cultura angloamericana... si è in larga parte convertita a Heidegger e Derrida" (p. 46).

Ho citato questi passi anonimamente perché conscio che la loro estrapolazione dal contesto può far torto al senso pieno del pensiero che i loro autori vi hanno voluto esprimere, ma convinto che, così provocatoriamente giustapposti, ci facciano capire che a soccorrere un Illuminismo in crisi d'identità (oltre che d'attualità) si son precipitati anche molti riconoscibili anti-illuministi: neoromantici, ermeneuti, pensatori della differenza, pensatori deboli, nichilisti, spiritualisti e postmoderni vari. Insomma, proprio quelli che Scalfari additava come gli affossatori dei valori dei Lumi.

Per fortuna, accanto a queste si fanno sentire anche voci dissenzienti: come, per esempio, Maffettone (bello e appassionato il suo intervento da "anti-anti-illuminista", anche se il resto del dibattito lascia intravvedere tempi di strisciante sfiducia non solo nella ragione pratica, come lui lamenta, ma anche in quella teoretica e scientifica), Bosetti (che ha il merito, con Dahrendorf, di riportare Berlin più dalla parte dei philosophes che dei romantici), Dahrendorf (che molto opportunamente richiama a una "differenza tra la nozione di Illuminismo francese e quella anglosassone", utile a ridimensionare la valenza illuminista sia di Hegel - già, anche lui! - che di Rousseau), Bobbio (che, contro un'infelice idea che fu di Abbagnano qui diffusamente ripresa, argomenta per un Vico "tipico rappresentante dell'anti-illuminismo"), Lucio Villari (che ci ricorda il carattere ineliminabile di scisma laico, di "processo al Cristianesimo", dell'Illuminismo).

Concordo con Galimberti quando ci ricorda che l'Illuminismo è una condotta, una pratica di vita, un esercizio del pensiero, e dunque un "compito infinito" (pagg. 94-95). Ritengo però irrinunciabili anche alcuni suoi tratti sostantivi: una considerazione della scienza come la forma più alta e ideale di conoscenza; un atteggiamento naturalistico pervasivo (anche in materia di fede, con i conseguenti approdi del deismo e dell'ateismo); la credenza radicalmente laica che ci impegna per una "salvezza" terrena da realizzare tramite una ragione pratica; la consapevolezza che, anche se la Ragione può generare mostri, a differenza del Mito e della Religione (che, come anche la storia recente dimostra, ne generano di ben più orribili), li sa anche riconoscere. Su questa base è ancora possibile giudicare che il razionalismo e il laicismo di un Amartya Sen (vedi il suo Laicismo indiano, Feltrinelli), o un Timpanaro che rilegge d'Holbach, siano più illuministi di un qualunque pasticcio in cui compaia Blake; ed è anche possibile considerare la filosofia analitica come la vera erede oggi dello spirito illuminista. Lo ha riconosciuto, pur da avversario ma con l'onestà di dichiararsi anti-illuminista, il filosofo e storico dell'Illuminismo Jonathan Capaldi in The Enlightenment Project in the Analytic Conversation (vedi "Il Sole-24 Ore" del 16 gennaio 2000). È auspicabile, allora, che le idee tornino a chiamarsi con il loro nome, nel rispetto delle "differenze" e di chi ci crede davvero.