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Il terrorismo attacca Londra
Bombe su bus e metrò: decine di morti, centinaia di feriti. «Marchio di Al Qaeda». Blair: non vinceranno
 

  dal Corriere - 8 luglio 2005


DAI NOSTRI INVIATI LONDRA - Un tranquillo inizio di una qualunque giornata lavorativa. Poi, tra le 8.51 (9.51 in Italia) e le 9.47 a Londra si scatena l’inferno: tre bombe esplodono nella metropolitana (tra le stazioni di Liverpool Street e Aldgate, tra King’s Cross e Russell Square e alla fermata di Egdware Road) e una in un autobus. La gente si riversa fuori dal metrò, sotto choc, insanguinata. Tutti i trasporti sono paralizzati, la polizia e le forze armate pattugliano la città.
Il primo bilancio, ancora provvisorio, è di 38 morti e di 700 feriti, alcuni dei quali gravi. Nessuno ha dubbi: l’attentato è opera di Al Qaeda. Tony Blair: «Non vinceranno» (foto Ap) .
Da pagina 2 a pagina 15 Alberizzi, M. Caprara, Imarisio, Nicastro, Persivale


Bombe e terrore
Decine di morti su bus e metrò

LE ESPLOSIONI Dalle 8.51 alle 9.47 Londra viene squassata quattro volte da altrettante esplosioni che provocano vittime e feriti nei vagoni della metrò e su un autobus a due piani
L'ESODO Centinaia di migliaia di persone, che stavano andando al lavoro in metrò, fuggono dai tunnel sotterranei e si riversano per le strade. Molti sono feriti e vengono soccorsi
IL BILANCIO L'ultimo elenco delle vittime e dei feriti, fornito dalla polizia inglese alle 22 e definito ancora provvisorio, parla di 37 morti e 700 persone ricoverate negli ospedali londinesi

E' successo tutto in un'ora, in 5 chilometri quadrati di città La fuga della gente, la paura, la strategia militare dell'attacco

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI LONDRA — Quando comincia a piovere, Fiona Prynn avvolge il braccio sinistro ferito dalle schegge in un foglio di giornale. E' la pagina dell'Evening Standard, celebra le Olimpiadi: «Il giorno più bello per Londra», è il titolo. La ragazza scuote i riccioli rossi, si sistema sul naso gli occhialini, una lente è incrinata. La protezione al braccio si sta macchiando di sangue. «Vado a casa», dice. «Sapevamo che sarebbe successo» aggiunge senza enfasi. Poi inforca la bicicletta che le ha portato un amico e si prepara ad andare verso casa, come stanno facendo tutti gli altri, i sopravvissuti e i curiosi, invitati a circolare dalla polizia, non c'è niente da vedere, ripetono gli agenti con i megafoni. Allontanarsi, da Gowan street, ultimo avamposto prima degli sbarramenti che hanno chiuso una fetta del centro della città, risalire verso Oxford street, il cuore di Londra, e «comportarsi normalmente, nonostante quel che è successo», come urla un ufficiale a una studentessa che sta piangendo. E' successo tutto in un'ora, in un fazzoletto di città largo cinque chilometri quadrati e vissuto soprattutto da turisti e impiegati. Alle 8.51 la prima bomba è esplosa sul metrò che porta alla City, tra le stazioni di Aldgate East e Liverpool Street. Cinque minuti dopo è toccato ad un treno della linea Piccadilly, tra Russell Square e King's Cross. La bomba delle 9.17 sul convoglio che entra nella stazione di Edgware Road ha sventrato un muro, colpendo un altro treno in movimento. Tutto sottoterra, niente fumo che esce dall'imbocco delle stazioni, solo gente che fugge. Nessuno capiva nulla, tutti confusi da altri scoppi causati da un cortocircuito. Mancavano 13 minuti alle dieci quando i londinesi hanno compreso, non c'era nessun guasto, stava accadendo ciò che, in qualche maniera, si aspettavano che prima o poi sarebbe accaduto. In quell'istante, i soccorritori risalivano verso Russell Square quando hanno sentito un nuovo botto, questa volta chiaro come uno sparo. Arrivava da vicino, da Tavistock Square, duecento metri in linea d'aria. L'autobus rosso a due piani, il muso aperto, le lamiere penzolanti all'esterno, l'hanno visto tutti, in diretta. Dal finestrino pende un corrimano, usato da qualcuno per rompere i vetri e fuggire. L'autobus era carico di gente evacuata dal metrò dopo le prime esplosioni, persone stravolte e ferite che pensavano di avercela fatta. La sequenza degli attentati sarà chiara alla fine della giornata, dopo ore passate a speculare sul numero di esplosioni, nel tentativo di esorcizzare la verità. E con la ricostruzione, arriva anche il bilancio, purtroppo provvisorio, perché quello delle ambulanze e degli ospedali supera in peggio le cifre fornite dal governo (37 vittime), e dice: più di 23 morti sotto il suolo di King's Cross, 7 quelli accertati per ora a Edgware Road, 7 ad Aldgate, e più dei due che dicono le autorità sull'autobus. Oggi si vedrà, si conterà ancora. Dicono che la bomba sull'autobus sia scoppiata per errore, sostengono in realtà che il presunto kamikaze stesse scappando dal metrò, dove cercava di sistemare l'ordigno, preso di sorpresa dalle altre esplosioni. Può essere. Sembra che altre due bombe, intatte, siano state trovate lungo i binari del metrò, segno che la strage doveva essere più ampia, doveva davvero essere l'incarnazione delle paura degli inglesi. Un undici settembre o un undici marzo londinese, con la dubbia rivendicazione di al Qaeda arrivata via Web a dare un volto, il solito, al nemico. «Rallegrati nazione dell'Islam, perché è giunto il tempo della vendetta contro il governo britannico, crociato e sionista». Quello che però è chiaro fin da subito emerge dal tono di voce dei sopravvissuti. La voce calma e pacata di Belinda Seabrook che racconta del «bang» sull'autobus di fronte al suo, in Tavistock Place: «Ho sentito il fragore, mi sono girata di scatto e ho visto il bus per aria, sembrava prendesse il volo». O la serenità di Robert Andrews, uno studente di 28 anni che alle 18 è ancora sui gradini dell'University College Hospital a chiedere se può dare una mano, anche come barelliere. «Io ero appena sceso sulla banchina. Ho visto due corpi per terra sui binari, le porte del convoglio erano ancora più in là, a venti metri dal resto del vagone. Le lamiere del tetto erano divelte, attorcigliate. Mi è venuta in mente la strage di Madrid» .


Blair, dolore e rabbia: «Non vinceranno»
Il primo ministro britannico, leader «in guerra» contro il terrorismo: «La nostra determinazione è più grande»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI GLENEAGLES (Scozia) — Alle 8.51, tutto cambia. Guarda Tony Blair: proprio alle 8.51, quando crede che la giornata porterà successi politici e accordi planetari, è lì nel sole del parco di Gleneagles, a scherzare con il presidente George Bush. In fondo, non saranno quattro ragazzi che s'accapigliano con la polizia a incrinare le conquiste di questo G8 così fortemente voluto. Bush, accanto, ride del minimo accidente della sera prima e spiega, ilare, che la giornata «è ottima per andare in bicicletta» . Dopo pochi minuti il mondo è cambiato: Blair non fa partire i lavori, perché da Londra vengono notizie confuse e spaventose. Infine, è buio a mezzogiorno: «I terroristi sappiano che la nostra determinazione a difendere i nostri valori e la qualità della nostra vita è più grande della loro determinazione a causare distruzione e la morte di persone innocenti» . È lo stesso Blair, ma non pare: le occhiaie sono caverne che rivelano lo shock, la voce ha scatti irregolari che tradiscono una gelida rabbia. Alle 8.51 tutto è cambiato, perché Tony Blair ( e noi con lui) non è più quello di prima. Naturalmente il terrorismo, in passato, non deviava il corso della storia: perfino Gavrilo Princip, in fondo, accese solo una miccia che non aveva bisogno di Sarajevo. Ma da qualche anno, dall'11 Settembre, il terrorismo ha sfondato i cancelli della politica: perché le nostre vite non cambino, come nel paradosso del Gattopardo, dobbiamo cambiare le nostre vite. È accaduto in America, accadrà a Londra. Perché Blair, l'uomo dal tocco magico che ha conquistato le Olimpiadi del 2012, non è stato capace di fermare una banda di canaglie. Il premier che vorrebbe convertire l'Europa al pragmatismo britannico non ha impedito l'agguato annunciato e definito, perfino, «inevitabile» . Il leader che vuole risanare malanni planetari s'è fatto cogliere in contropiede: «Quest'attacco barbarico avviene nel giorno in cui s'affrontano i problemi dell'Africa e dell'ambiente» dice quasi infuriato. Non c'è paura negli occhi di Blair, c'è offesa. E sfida. Si potrebbe fare, in quegli occhi e in quelle parole, la cronaca della giornata. Al mattino Blair ha ancora addosso l'allegria del giorno prima, del successo nella gara alle Olimpiadi e della cena con la regina Elisabetta. Si concede nel ruolo che predilige, quello d'interprete del presidente Bush. L'americano dice a mezze parole che ormai gli Stati Uniti accettano la responsabilità dell'uomo nell'effetto serra, e Blair traduce: si troverà il consenso a Gleneagles, sui rimedi da prendere. Poi Blair scompare: le notizie da Londra iniziano a gocciolare, il deragliamento d'un treno si rivela un incidente in galleria, la scarica elettrica diventa un'esplosione, due esplosioni, tre esplosioni. L'efficiente ufficio di Downing Street, salito a Gleneagles, arranca: i portavoce non si fanno trovare. Poi l'annuncio: Blair parlerà alla nazione a mezzogiorno in punto. Ormai sappiamo che cosa è successo, dal premier vogliamo sapere che cosa succederà. Eccolo, Blair. C'è commozione in chi l'ascolta, ma non ancora in chi parla: « È abbastanza chiaro che c'è stata una serie di attacchi terroristici. Ci sono ovviamente vittime, e le nostre preghiere vanno a loro e alle loro famiglie» . Ha compiuto una scelta veloce ma ardua, immediata ma carica di conseguenze: impossibile continuare il G8 come se nulla fosse successo, impossibile sospendere il G8 come se il terrorismo avesse vinto. «Lascerò il G8 entro un paio d'ore, andrò a Londra per avere un rapporto, di persona, dalla polizia, dai servizi d'emergenza, dai ministri impegnati, quindi ritornerò stasera» . È il segno che il premier ha il controllo della situazione, la controprova che l'ordine civile riprende il sopravvento sul disordine eversivo. La Camera dei Comuni si riunisce in seduta immediata, gli ospedali lavorano a pieno ritmo, perfino gli asili entrano in emergenza: con i trasporti bloccati non c'è fretta di andare a riprendere i bambini, avverte la polizia, perché le maestre resteranno finché c'è bisogno. La città e la nazione mostrano tempra, ma ancora non ricevono dal premier l'abbraccio che vorrebbero. Imprevedibilmente, quell'abbraccio viene da Ken Livingstone, il sindaco di Londra, che tante volte con Blair ha litigato e adesso sa trovare le parole giuste: «Sappia chi ha compiuto quest'attacco vigliacco che non ha colpito i potenti della terra, ma normali lavoratori di Londra: cristiani e musulmani, indù ed ebrei, bianchi e neri, vecchi e giovani» . Blair, invece, è ancora preso dal ruolo. Passa un'ora e torna alle telecamere. Dietro a lui, schierati, gli altri sette leader, più i capi di cinque Paesi ospiti: la maggioranza dell'umanità lo sostiene, Chirac da un lato e Bush dall'altro, mentre legge il comunicato ufficiale — «i terroristi non vinceranno, noi continueremo le nostre deliberazioni per un mondo migliore» — e china il capo in un minuto di silenzio. Le telecamere della Bbc riportano immagini di una Londra spaventosamente vuota, la gente si chiude in casa, la regina fa abbassare a mezz'asta l'Union Jack su Buckingham Palace. Blair parte per Londra. Abbiamo visto tanti diversi Blair, negli anni, e gli abbiamo appuntato tante etichette: l'hanno chiamato Bambi, quando pareva fragile, o Stalin, quand'era duro con il partito. Oggi vediamo un Blair di guerra: a Londra presiede il Cobra, il comitato d'emergenza che riunisce ministri e servizi segreti, poi torna in video, davanti al caminetto di Downing Street: « È un giorno triste per la Gran Bretagna, ma non rinunceremo al nostro modo di vivere» . Ora, finalmente, parla al cuore del Paese: «La nazione ha reagito con stoicismo. I terroristi esprimono i loro valori nel modo che vediamo, noi esprimiamo i nostri come sappiamo: con la nostra quieta forza» . È un Blair comprensivo ma deciso, umano però determinato. Si sta creando l'ultima etichetta, che forse gli appunteranno i tabloid: un Churchill, premier di guerra. Per restare quello che è, il Regno Unito dovrà cambiare, e già si fa il ritratto di come sarà: chi s'opporrà alla carta d'identità, malgrado la tradizione, o alla detenzione senza processo, anche nella patria dell' « habeas corpus » ? Chi non giustificherà perquisizioni e identificazioni? Prima di tornare in Scozia, Blair visita la centrale di Scotland Yard. D'ora in poi, sarà la polizia il cuore della politica. È questo che volevano i terroristi sanguinari?
Alessio Altichieri


IL DISCORSO DEL PREMIER
«Giorno molto triste, ma il mondo è con noi e con i nostri valori»

E' importante che i terroristi comprendano che la nostra determinazione nel difendere i nostri valori è più forte del loro desiderio di imporre l'estremismo all'intero pianeta Riportiamo alcuni estratti dei discorsi tenuti ieri dal primo ministro britannico Tony Blair a Gleneagles e a Londra. È mia intenzione lasciare il G8 e recarmi a Londra per avere un rapporto diretto dalla polizia, dai servizi d'emergenza e dai ministri che stanno affrontando questo evento, per poi tornare a Gleneagles in serata. È desiderio di tutti i leader del G8, ad ogni modo, che il vertice prosegua in mia assenza, che continuiamo a discutere gli argomenti che intendevamo discutere e giungere alle conclusioni che dovevamo raggiungere. Ciascuna delle nazioni presenti al tavolo delle trattative ha avuto esperienza degli effetti del terrorismo. Tutti i leader condividono la nostra totale determinazione a sconfiggere il terrorismo. È particolarmente brutale che tutto ciò sia accaduto in un giorno nel quale ci si incontra per trovare il modo di contribuire a risolvere la povertà in Africa e i problemi di lungo termine collegati ai cambiamenti climatici e all'ambiente. Questi attacchi terroristici sono stati concepiti in modo da coincidere con l'apertura del G8. È importante che i terroristi comprendano che la nostra determinazione a difendere i nostri valori e il nostro modo di vivere sono più forti del loro desiderio di provocare morte e distruzione tra persone innocenti e di imporre l'estremismo al mondo intero. Qualunque cosa facciano i terroristi in futuro, è nostra determinazione far sì che non riescano mai a distruggere ciò che amiamo in questo Paese e nelle altre nazioni civili del mondo. Con i leader del G8 siamo uniti ad affrontare e sconfiggere il terrorismo. Non consentiremoalla violenza di modificare la nostra società e i nostri valori né di fermare il nostro lavoro in questo summit. È un giorno molto triste per la popolazione britannica. Attraverso il terrorismo, coloro i quali si sono macchiati di questo atto orribile esprimono i loro principi ed è esattamente in questo momento che noi esprimiamo i nostri. Tentano di usare il massacro di persone innocenti per intimidirci, per terrorizzarci e far sì che smettiamo di fare ciò che desideriamo, che sospendiamo il nostro lavoro quotidiano. Non devono riuscire nel loro intento. Lo scopo del terrorismo è esattamente questo, terrorizzare le persone. Noi non ci lasceremo terrorizzare.
(traduzione di Maria Serena Natale)