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Il pericolo iraniano in Medio Oriente, quello della sottomissione all'islam in Europa
Fiamma Nirenstein intervista Bernard Lewis

Testata: Il Giornale
Data: 28 febbraio 2007
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: ««L’Europa corre un grande pericolo: piegarsi all’integralismo dell’islam»»
 
Dal GIORNALE del 28 febbraio 2007

Il grande pericolo iraniano, e con esso la guerra fra sciiti e sunniti in Irak, potrebbe portare alla pace in Medio Oriente; Il presidente iraniano Ahmadinejad, se e quando avrà la bomba atomica, non esiterà a usarla e occorre aiutare subito l’opposizione: l’Europa, se non cambia strada, sarà sconfitta dall’Islam. Ironico ed elegante, very british nell’accento e nei modi, anche se ormai da tanti anni la sua patria d’elezione sono gli Stati Uniti, il professor Bernard Lewis, 90 anni, decine di testi fondamentali sul Medio Oriente, ci consegna in questa rara intervista (non ne ha concessa nessun’altra durante la sua permanenza di tre mesi in Medio Oriente) sul lungomare di Tel Aviv, dove ogni primavera passeggiamo insieme.
Professore, l’Arabia Saudita, che il 7 febbraio ha ottenuto l’accordo della Mecca fra Hamas e Fatah, è oggi il leader di un fronte con i Paesi del Golfo, l’Egitto e la Giordania che sembra deciso a contenere il potere di Ahmadinejad. È un’iniziativa di Paesi moderati contro l’estremismo islamico? O un capitolo della guerra fra sciiti e sunniti?
«Ciò che è legato all’Arabia Saudita non è di per sé “moderato”, anche se nel tempo breve può calmare la situazione. Ma l’Arabia Saudita è la culla e la custode del wahabismo, ovvero quel movimento religioso che nacque nel XVIII secolo quando l’Islam vide avanzare in Europa la Russia e l’Austria, gli ottomani seguitavano a ritirarsi e la Francia, l’Inghilterra, i Paesi Bassi creavano grandi imperi in Asia. Molti Paesi arabi si chiesero: “Perché l’Occidente ha migliori navi, migliori armi, migliori governi?”. Ebbero luogo riforme e modernizzazioni. Ma il wahabismo dette la risposta opposta: “Perdiamo perché abbiamo tradito il vero Islam, e dobbiamo ritrovarlo. Da allora questo movimento, che fonda madrasse da Amburgo a Chicago e diffonde intolleranza fra i cittadini musulmani del mondo, attacca soprattutto all’interno: agli infedeli spetta un trattamento stabilito dal Corano, ma per l’apostata è peggio. È condannato a morte. E gli sciiti, per i wahabiti, rappresentano i rinnegati per eccellenza. Gli sciiti di oggi, capeggiati da Ahmadinejad, sono di enorme disturbo per i Paesi sunniti».
Che cosa determina oggi la politica in Medio Oriente?
«La dinamica dei Paesi locali, che pesano ormai sull’Europa più di quanto l’Europa conti in Medio Oriente. Scusi, non vede che la Siria pesa di più in Francia di quanto la Francia pesi in Siria? E quindi sono ripartite le vecchie tendenze: espansionismo e guerra interna. In un primo tempo, gli arabi conquistarono l’Africa del nord, la Spagna, l’Italia meridionale... e furono poi ricacciati indietro; più tardi, i turchi conquistarono Costantinopoli, per due volte raggiunsero Vienna. Ora, siamo alla terza fase: metodo nuovo, diverso approccio».
Che vuole dire? Che l’attuale immigrazione è una nuova invasione?
«Non certo consciamente, non da parte degli immigrati in quanto tali. Ma comincia ad avere quell’effetto, a causa dell’estremismo islamico, e chi l’ha notato ha saputo mettere a frutto l’immigrazione per i suoi fini. Bin Laden è stato molto franco ed eloquente: “I sovietici e gli americani ci hanno a lungo tenuto in scacco. Ma dopo che in Afghanistan abbiamo distrutto l’impero sovietico, ci sarà facile avere a che fare con gli Usa”».
Gli islamici credono di poter vincere?
«Certamente. Nel frattempo, è tornato lo scontro interno. L’Iran è in rotta con gli Stati arabi sunniti. E i sauditi, il Bahrain, il Kuwait, vedono in questo un pericolo mortale. Laddove esistono rilevanti minoranze sciite, un pericolo mortale minaccia i regimi».
I palestinesi del Fatah quando si scontrano con Hamas gridano “sciiti” per offendere il nemico interno, ma là sono tutti sunniti, eppure stanno con l’Iran. In Egitto non ci sono sciiti...
«Fra i palestinesi conta chi è con loro contro Israele, il tema sciita è molto estraneo, è interessante che adesso lo usino come un’arma. Con i sauditi, siamo alla situazione in cui si trovò Sadat quando decise di fare la pace con Israele. Sadat aveva ereditato la presenza dei “consiglieri” inviati da Mosca e capì che per i sovietici l’Egitto era una colonia. Le loro aree militari erano vietate agli egiziani, spadroneggiavano a destra e a manca. Una delle tante volte in cui mi trovavo in Egitto, il proprietario di un negozio si lamentò con me: “Gli americani, gli inglesi e i francesi non vengono più”. “Ma avete i russi”, replicai. Lui sputò e disse: “I russi non comprano neppure un pacchetto di sigarette né te ne offrirebbero mai una”. Sadat comprese che era meglio un male minore e cioè fare la pace con Israele piuttosto che tenersi i russi a casa. Il pericolo sciita può convincere i sauditi a cercare la pace».
La pace vera? Firmata?
«Una pace come quella con l’Egitto: fredda».
E i palestinesi potrebbero rientrare in questo processo? I loro legami con l’Iran e con Hezbollah, da quando Hamas è al potere, sembrano più vincolanti della sunna.
«I palestinesi faranno la pace quando avranno deciso di riconoscere che Israele esiste. Fino a ora hanno sempre sperato che qualcuno, qualcosa, potesse togliere Israele dalla carta geografica».
Ahmadinejad userà la bomba nucleare se e quando l’avrà?
«La userà: la sua visione è diretta e precisa, il suo desiderio di apocalisse è genuino e non teme deterrenti».
Perché usa soprattutto gli ebrei e Israele come obiettivo del suo odio?
«Perché la storia dimostra che l’Europa non ama gli ebrei; quanto agli arabi, è evidente che Israele è un’esca».
Lei pensa che l’Europa potrebbe abbandonare Israele?
«L’Europa non difende se stessa, non vedo perché dovrebbe darsi la pena di difendere Israele. La combinazione di politically correct e di multiculturalismo, unito agli interessi economici, ha creato quella che viene descritta, anche quando si parla del Dipartimento di Stato, come la “politica dell’inchino preventivo”.
Quanto è seria la determinazione degli islamici?
«Bisogna guardare alla storia: quando fu costruita la Cupola della Roccia sorse sopra un sito santo per le religioni giudaica e cristiana. La scritta dice “Dio è uno, non ha pari, non genera, non è generato”. Una sfida aperta alla cristianità, cui si unì il fatto che per la prima volta il califfo Abd al Malek batté monete d’oro come i romani e i bizantini. Era un modo di comunicare la preminenza della sua religione, tutte le altre erano false, incomplete o superate».
Ma oltre all’Islam dominatore c’è quello riformato e illuminato.
«Ma mi preoccupa l’atteggiamento europeo, che invita, inchinandosi, all’estremismo. Come dice il poeta siriano Saadek al Azam, o avremo un’Europa islamizzata o un Islam europeizzato. I moderati vanno incoraggiati, ci sono ma temono di mostrarsi. La mia grande speranza sono le donne, che essendo la maggioranza possono essere decisive».
Professore, mi sembra molto preoccupato per il Medio Oriente.
«No, è il Medio Occidente che mi preoccupa di più».
E l’Irak?
«Forse, come diceva un mio amico iracheno, avremmo dovuto cominciare in ordine alfabetico».
È questo l’errore degli Usa?
«Scherzavo. Errori ce ne sono stati tanti, ma essere ancora là a combattere il terrorismo è indispensabile: non è certo una situazione come quella del Vietnam, in cui si possa fare le valigie e andarsene. Non mi risulta che allora un gran numero di vietnamiti si fossero stabiliti nelle capitali europee e in America per fare prevalere la loro fede nel mondo».
Ma in Vietnam la guerra fu persa.
«Non furono i vietnamiti a vincerla, fu Jane Fonda. Ed è lo stesso identico pericolo che l’Occidente corre oggi. Essere vinti da se stessi».