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Conflitto d’interessi fra New York e legge Frattini
L’ESEMPIO DI BLOOMBERG
di GIOVANNI SARTORI

 

dal Corriere - 3 settembre 2002


Il ministro Frattini, nella sua intervista al Corriere dell’1 settembre, si spericola in due affermazioni: 1) che la decisione dell’ Ethics Board di New York (che Frattini dà mostra di non avere letto, visto che l’ente in questione si chiama Conflict of Interest Board ) «è molto più blanda» della sua legge, e che 2) l’opinione del suddetto Board consiste in un «accordo tra le parti e non in un obbligo di vendita». Al contempo il premier Berlusconi dichiarava, tutto giulivo, che il sindaco di New York, Bloomberg, «non vende le azioni tv, vende il resto». Infine, e di rincalzo, il professor Mannoni (che deve la sua notorietà al fatto di essere il mio «fisso» nel contraddirmi) scrive sul Giornale che si aspetta questa mia obiezione: «Che cosa c’entra l’amministrazione comunale di New York con i media?». Già, cosa c’entra? La domanda è sua, risponda lei. La domanda pertinente è invece sulla paragonabilità. Secondo Frattini, quando lui sollevò il paragone tra i due, gli «venne risposto che Bloomberg è solo un sindaco e in confronto a Berlusconi è un piccolo proprietario di tv». Pertanto lo «fa veramente ridere che oggi ci si lanci sul caso Bloomberg». Eppure, dopo aver debitamente riso, in quel paragone si rilancia anche Frattini. Incautamente, si vedrà.
Anche se è vero, come è vero, che Bloomberg è un pesce da dieci a cento volte più piccolo di Berlusconi, entrambi sono pesci della stessa specie, e cioè sotto ispezione per lo stesso motivo. L’ispezione su Bloomberg si è testé conclusa. Cosa ci può insegnare sul caso Berlusconi? A detta di Frattini, come ho già detto, la cura americana è molto più blanda della sua. Se così fosse, perché non la adotta? Perché vuol essere, con Berlusconi, più cattivo del necessario?
La «notizia» che piace a Berlusconi è che Bloomberg si tiene la sua tv. Il fatto che Bloomberg venda il resto (non è esatto, ma il Cavaliere la mette così) non lo scuote. Invece lo dovrebbe scuotere moltissimo. Via Publitalia, via le assicurazioni, via tutto? Non ci credo. Ma quel che lo dovrebbe davvero allarmare è che in tutto il procedimento di New York nessuno ha mai invocato la Costituzione. In Italia ci è stato raccontato che toccare Berlusconi era incostituzionale, che toccandolo si violava il principio della proprietà privata, dell’eguaglianza, e altri ancora. Ma anche la Costituzione americana tutela la proprietà e l’eguaglianza. Eppure Bloomberg non l’ha mai invocata a sua tutela. Per l’ovvia ragione che la difesa costituzionale è speciosa, e che in America non reggerebbe un giorno.
Dunque, perché viene consentito a Bloomberg di tenersi la sua tv? Io avevo già previsto otto mesi fa che non sarebbe stata toccata; e questo perché si riduce a essere un servizio di informazione finanziaria di nessuna rilevanza politica e senza rapporti di affari con la città di cui è sindaco. Ma se Berlusconi cadesse sotto le grinfie del Board di New York, allora è sicuro che la prima dismissione che gli sarebbe stata imposta è proprio quella di Mediaset.
Imposta? Frattini, Mannoni e soci negano a perdifiato che il procedimento americano sia obbligante. Anche nella sua succitata intervista, Frattini sottolinea che Bloomberg e il Board hanno soltanto negoziato. Allora se Bloomberg dice sempre di sì, deve essere perché è un succubo o perché è stato folgorato sulla via di Assisi da San Francesco. Possibile? No, assurdo. È vero che i boards americani emettono soltanto una advisory opinion ; ma questo non toglie che il loro «opinare» sia vincolante. I boards non negoziano sull’esistenza o meno di un conflitto d’interesse; negoziano soltanto su quale ne sia il rimedio. Bloomberg è libero di dire no; ma in tal caso viene dichiarato in conflitto di interesse e sarebbe costretto a dimettersi. In materia il testo che ci arriva da New York è esemplare, mentre la legge per la quale Frattini ora chiede «tempi strettissimi» di approvazione non è più «dura»; è invece una turlupinatura.
di GIOVANNI SARTORI