ROBERT MERTON
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Robert
King Merton è morto l Nato
nel 1910 d a genitori ebrei poveri immigrati in un quartiere popolare di
Filadelfia, si era subito distinto per la sua intelligenza e desiderio di
apprendere e aveva avuto l Questa
consapevolezza consentì a Merton di evitare sia l Grazie
al costante equilibrio tra teorizzazione e ricerca empirica, Merton ha
offerto contributi fondamentali sia alla conoscenza della società
americana (basti ricordare i suoi contributi alla analisi delle
istituzioni scientifiche americane o della criminalità degli
immigrati), sia al perfezionamento del lessico e dell Nella
sua opera principale Teoria e struttura sociale (1949) e nei lavori
affini Libertà e controllo nella società contemporanea (1955) e
Sociologia teoretica (1967), Merton rielabora categorie classiche come l L Roberto Martinelli
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giancarlo bosetti
Quando
gli indiani d'America, che ora si chiamano «nativi», della tribù degli Hopi
organizzavano le cerimonie note come danza della pioggia lo facevano nella
convinzione che quel rituale serviva a far piovere.
Il rito aveva dunque una «funzione manifesta».
Ma anche una «funzione latente»: attraverso quelle danze si consolidava
la coesione del gruppo, che sarebbe stato più forte e capace di procurarsi i
mezzi per la sopravvivenza. Così
il cristiano che va a messa in parrocchia lo fa per onorare un sacramento, per
pregare, per sentirsi più vicino a Gesù o per incontrare la ragazza e molte
altre ragioni (funzioni manifeste) che ha in mente, ma quel rito ha l'effetto di
rafforzare nel tempo i vincoli di una comunità, di farla sentire più solidale
e responsabile (funzioni latenti). Questa
distinzione è una delle celebri idee di Robert King Merton,
il grande patriarca della sociologia americana e mondiale, scomparso all'età di
93 anni. La sua carriera si è
svolta dal 1941 in poi alla Columbia University di cui era e resta una delle
maggiori glorie.
Con
la sua vastissima attività (si vedano le 1200 pagine di Teoria
e struttura sociale) ha sviluppato l'indagine sociologica verso una
direzione speculativa (la critica del funzionalismo «puro» del suo maestro
Talcott Parsons), verso la comunicazione di massa (insieme a Patti Lazarsfeld
con il quale ha lungamente operato in coppia) e verso la sociologia della
conoscenza e della scienza. La
recente pubblicazione italiana (una primizia esclusiva, frutto delle pressioni
di due redattrici del Mulino, Laura Xella e Giovanna Movia) di Viaggi
e avventure della Serendipity, un manoscritto che Merton aveva tenuto nel
cassetto dal 1958, conferma che questa
celebrity americana del pensiero sociale sapeva combinare l'importanza e il
peso delle sue ricerche con un certo divertimento nella caccia alle idee, alla
loro storia e alle immagini che potessero fissarle nella mente.
La
sua caccia preferita era nell'ambito delle conseguenze impreviste delle azioni
umane, un territorio sconfinato come le praterie degli indiani con le loro danze
della pioggia, un territorio che proprio lui ha aperto al nostro sguardo,
sicuramente stimolato in origine dalle «azioni non logiche» di Vilfredo Pareto
e dalla luce che per primo l'italiano gettò sullo scarto tra quel che
intendiamo fare e quel che effettivamente produciamo con il nostro fare: un
oceano di effetti inintenzionali, alcuni perversi, alcuni benigni, alcuni medi.
Oggi il territorio lavorato da Merton non è più un arcano come appariva
agli inizi, la scienza sociale lo ha percorso in lungo e in largo, da Boudon a
Hirschman a Elster, un po' come l'astronomia ha ridisegnato le mappe celesti
dopo la scoperta galileiana che il sole e la luna si muovono.
Il
suo cannocchiale Merton se l'è costruito nel distacco dal maestro, Parsons, e
dal funzionalismo a partire dalla constatazione che non sempre l'ordine sociale
ha una funzione positiva, talvolta può esser fonte di disagi malessere,
esplosioni, anche se in apparenza tutti i pezzi del sistema sembrano al loro
posto e rispondono agli imperativi funzionari dell'adattamento economico, del
perseguimento degli scopi politici, del mantenimento delle strutture
culturali e valoriali, dell'integrazione ad opera delle istituzioni
giuridiche statali. Da questa
visione della società, imperante nella sociologia fino agli anni Sessanta,
Merton si distacca, dicendo di no all'«unità funzionale» del tutto, perché
non tutte le società sono ugualmente integrate, e poi le stesse azioni possono
avere valenze contraddittorie; e vediamo oltretutto spesso sopravvivere forme
sociali del passano che non hanno più alcuna funzione significativa. Il
funzionalismo appariva una visione «congelante» della Società
e della divisione dei «ruoli» proprio mentre urgevano richieste di
cambiamento: il '68.
E'
evidente come lo schema dei ragionamento di Merton rompa con l'aspetto
conservatore -vero o presunto che sia - del funzionalismo: la società
americana, per esempio, ha un carattere fortemente competitivo e attribuisce una
enorme importanza al successo economico, ma è proprio questo suo ordine a
produrre tensioni e anomie che comportano la possibilità, ordinaria, che un
elevato numero di individui compiano azioni delinquenziali.
Il crimine può essere, secondo Merton, non solo la conseguenza di una
scarsa socializzazione, ma all'opposto l'effetto di un modo di essere della
società. A Merton piaceva - tratto
modernissimo - una grande «prudenza» teorica; alle teorie onnicomprensive e di
lungo raggio preferiva quelle «di medio raggio», no alle eccessive
generalizzazioni, sì alle indagini sul campo e a una sapiente applicazione ai
dati statistici.
Certo
su alcuni fenomeni che caratterizzano la vita e l'agire umano ha impresso il suo
marchio inconfondibile: prima di tutto, le «profezie che si autoadempiono», le
self-fulfilling prophecies che sono
una variante del «teorema di Thomas».
Spiegazione:
il teorema attribuito a William Thomas (sociologo morto nel '47) sostiene che se
un individuo percepisce una circostanza come reale si comporterà come se essa
fosse reale anche se non lo è. La variante di Merton: se tanti individui
prevedono un fatto sociale e si comportano di conseguenza quel fatto sociale si
realizza adempiendo alla profezia. Esempio:
se tanta gente si comincia a convincere che una certa banca è insolvibile
quella banca andrà effettivamente in rovina.
Se un esercito si convince che la battaglia è persa, è persa. Altro
esempio: se tutti si convincono che le azioni di quella società domani avranno
un valore triplo di oggi, quelle azioni si pagheranno il triplo.
Se è una bolla speculativa lo si saprà sì
un po' di tempo dopo, ma intanto il valore, incassato o perso, era triplo,
ed era reale. Che cosa di più
reale, spiega sempre George Soros, del prezzo che il mercato è disposto a
pagare?
E
poi la «teoria dei gruppi di riferimento», in base alla quale gli individui
valutano la propria situazione confrontandola con
quella del contesto sociale al quale guardano, che può essere la società,
il sistema culturale, il gruppo, l'unità psicologica (la Noelle-Neumann ne
ricaverà la teoria della spirale del silenzio: ciascuno tende ad allinearsi
agli altri attraverso una specie di mini-istituto demoscopico che tutti hanno in
testa). Bisogna ancora ricordare
gli studi di Merton sugli effetti
sociali dei massmedia e la loro «disfunzione narcotizzante», i processi di
burocratizzazione e superconformismo che affliggono le grandi organizzazioni.
E certo non dimentichiamo la
serendipity, il nome escogitato da Horace Wallpole (che lo trasse da una
favola) nel 1754 per descrivere un progresso inatteso della conoscenza, frutto
di sagacia, ma accidentale, quel processo per cui tante volte nella scienza si
perseguiva un risultato e se ne ricavò un altro a sorpresa, magari più
importante.
Buscar el levante para el ponente: e scoprire invece l'America. O
rovesciare un vasetto per sbaglio e scoprire la penicillina.
Sono le pagine dove Merton probabilmente si divertiva di più. Come quelle in cui racconta l'«effetto di San Matteo», altra storia di cui inseguì tutte le tracce, a cominciare dal misteriosamente poco cristiano detto evangelico (per l'appunto in Matteo, 13,12 e 25,29): «A chi ha, verrà dato, e sarà nell'abbondanza: ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha», Merton lo applicò alla scienza: gli scienziati eminenti ottengono un credito sproporzionatamente grande per i loro contributi alla scienza, mentre coloro che sono relativamente sconosciuti ottengono un credito sproporzionatamente piccolo. La tesi era il frutto non di una vaga intuizione ma di una indagine condotta sui premi Nobel. A chi se ne disperasse Merton regala il «fenomeno della quarantunesima sedia» che affligge anche i grandi: quaranta erano i seggi dell'Académie française destinati agli immortali. Il posto di escluso, il destino di quarantunesimo è toccato a Cartesio, Pascal, Molière, Bayle, Rousseau, Saint-Simon, Diderot, Stendahl, Flaubert, Zola e Proust. A eterna consolazione -spiegava Merton - di tutti noi.
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Robert
Merton racconta le avventure spesso nascoste dai resoconti ufficiali, delle
scoperte avvenute per caso. Come la
doppia elica del Dna
Il
conflitto d'interessi tra maschio e femmina, le conchiglie come parte integrante
della nostra civiltà e l'universo prima del Big Bang
Viaggi
e avventure della Serendipity, il manoscritto lasciato nel cassetto nel 1958
dal grande sociologo della scienza Robert K. Merton
(scritto con la storica Elinor G. Barber)
stava finalmente per essere dato alla stampe due anni fa, in coincidenza del suo
novantesimo compleanno. Noi del «Domenicale»,
per festeggiarlo, disponendo delle bozze ne avevamo dato un'anticipazione il 2
luglio 2000. Poi, invece, Merton
decise di fermare tutto. Ciò non
impedì a giornali e riviste di uscire per mesi con articoli e commenti su un
evento che in realtà non si era realizzato.
Segno che davvero la serendipity, come
scrive Merton, è un concetto «autoesemplificativo»: non appena ci si imbatte
in essa, subito la si riconosce come qualcosa che era già nell'aria, come la
soluzione di qualcosa che andavano cercando, proprio come accade con ogni altro
dato «imprevisto, anomalo e strategico» capace di illuminare un campo
d'indagine.
Accadde
allo stesso Merton, che scoprì serendipicamente la serendipity
negli anni Quaranta mentre sfogliava l'«Oxford English Dictionary» alla
ricerca di una qualche voce che iniziava per "se".
Subito la riconobbe come risolutiva per certi problemi affrontati
nell'ambito della sociologia della scienza, come quello delle weberiane «conseguenze
inattese delle azioni intenzionali». Chi
l'avrebbe mai detto che dei puritani in cerca di una conferma del loro stato di
grazia, per eterogenesi dei fini, ci avrebbero regalato la moderna società
industriale?
La
quale è essa stessa uno dei contesti più serendipici che si possano
immaginare. Prendete le definizioni
concorrenza di due autori liberali
come Frédéric Bastiat
e Friedrich A. von Hayek
(nelle due utili raccolte approntate per l'editore Armando da Massimo Baldini,
intitolate rispettivamente Il mercato e
la provvidenza, pagg. 160, E 10,50, e L'utopia
liberale, pagg. 174, E 10,50) e vedrete quanto siamo vicini all'idea
scoperta da Merton.
Promuovendo
la libera impresa e la libera ricerca la società industriale ci ha regalato
scoperte serendipiche, dal nylon alla pentola antiaderente, dal velcro al
post-it, e, in campo medico-farcamacologico, l'ossigeno, l'anestesia, il
chinino, i dolcificanti, l'insulina, l'Lsd, il Pap test, la penicillina - tutte
fatte per caso, mentre si cercava qualcosa di completamente diverso, o che
servisse a tutt'altri scopi.
Inutile
dire che (colmo dell'«autoesemplificazione») niente è più serendipico della
ricerca di un regalo: si parte con una certa idea di che tipo sia, e che cosa
possa prediligere, la persona interessata, e poi, dopo la ricerca, si finisce
per trovare qualcosa di completamente diverso, ma di più adatto, da ciò da cui
si era partiti. Viaggi
e avventure della Serendipitiy è un libro che, qualora lo si sfogliasse
casualmente in libreria, risulterebbe un regalo perfetto sia per chi ha
interessi letterari (perché, testo letterario esso stesso, per buona parte è
una storia letteraria dell'idea di serendipity,
a partire dalla favola dei tre principi dell'isola di Serendippo, oggi
Ceylon) sia per chi ha interessi sociologici o scientifici.
Finalmente
stampato dopo mezzo secolo (dal Mulino, in prima mondiale, pagg. 470, ,E 24),
con l'aggiunta delle splendide «riflessioni autobiografiche» che giustificano
pienamente il ritardo, questo libro è una miniera di ulteriori rimandi a
possibili regali per menti pronte e sagaci.
Nella nuova postfazione, appunto, come esempio di scienziato che, durante
il conferimento del Nobel, rompe gli schemi della comunicazione scientifica
standard per mostrare i lati serendipici della ricerca, Merton cita Richard Feynman.
Di questo straordinario fisico Adelphi ha appena pubblicato la raccolta Il
piacere di scoprire (pagg. 286, 4E 20,00, recensito il 6 ottobre scorso).
Come attento osservatore dei processi di serendipity
nascosti dallo stile ufficiale della scienza, - oltre a John Ziman,
autore di La vera scienza.
Natura e modelli operativi della pratica scientifica (appena uscito
per Dedalo, pagg. 490, e 19,00) - Merton cita il Nobel per la chimica - «oltreché
poeta e sociologo dilettante della scienza» - Roald Hoffmann.
Proprio quel Hoffmann cui lo psichiatra Oliver Sacks
ha dedicato i suoi serendipicissimi ricordi da piccolo chimico di Zio
Tungsteno (Adelphi, pagg. 412, £ 19,00).
Merton
fa anche un vero scoop. Spiega
come, rispetto all'asettico articolo di cinquant'anni fa che valse il Nobel a
Crick e Watson per la scoperta della struttura a doppia elica del Dna, nei loro
scritti successivi (compresi quelli di James Watson
appena usciti in Geni buoni, geni
cattivi. Storia di una passione per il Dna, Utet, pagg. 272, e 18,50) il
racconto si fa molto meno formare e molto più serendipico.
Alla scoperta della doppia elica non sarebbero mai arrivati se non fosse loro capitato di condividere casualmente l'ufficio con un giovane chimico, Jerry Donohue, che spiegò a Watson che i manuali di chimica organica erano zeppi di forme tautomere fortemente fuorvianti. Grazie a questa dritta furono in grado di giungere alla loro grande scoperta. Battendo i colleghi che operavano in microambienti a più basso tasso di serendipicità.
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La pubblicazione Viaggi e avventure della Serendipity di Robert K. Merton - che avverrà in settembre, in mondiale, per le edizioni il Mulino - è già di per sé un esempio di Serendipity, cioè di quella miscela di sagacia e fortuita coincidenza che permette di fare, inintenzionalmente, felici scoperte.Proprio come nella favola dei tre figli del re di Serendip (Ceylon) che si avventurano per il mondo cavandosela sempre nei modi più curiosi e imprevisti. Il Mulino scoprì l'esistenza di quest'opera nel 1991, quando stava traducendo Sulle spalle dei giganti. Merton rivelò di avere in un cassetto un vecchio manoscritto che non si era mai dato la pena di pubblicare "per ragioni che sfuggono all'autore e ad altri che l'hanno letto".Il testo era stato scritto nel 1958 con Elinor Barber (morta l'anno scorso). Ne anticipiamo un brano in occasione dei 90 anni di Merton. E' nato il 4 luglio 1910, ma a causa dei festeggiamenti per l'anniversario dell'Indipendenza, è stato registrato all'anagrafe il giorno seguente. I suoi genitori se ne accorsero anni dopo. Troppo tardi, per cambiare la data. Auguri dunque per entrambi i compleanni, quello vero e quello anagrafico. Il Mulino ha appena ripubblicato anche l'opera fondamentale di Merton Teoria e struttura sociale, un monumento della sociologia contemporanea uscito nella prima edizione americana nel 1949. |