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ROBERT MERTON

 

Addio a Merton, teorizzò la «serendipity» e le conseguenze inattese

 

 

 

IL METODO Si affidò alla statistica e alla verifica sperimentale delle ipotesi

 

Martinelli Roberto

Robert King Merton è morto l ' altra notte a New York, a 92 anni. Era il decano della grande tradizione sociologica americana e una espressione del mito americano del successo che arride ai capaci e ai meritevoli, pur di umili origini.

Nato nel 1910 d a genitori ebrei poveri immigrati in un quartiere popolare di Filadelfia, si era subito distinto per la sua intelligenza e desiderio di apprendere e aveva avuto l ' opportunità, grazie alle borse di studio, di frequentare prima la Temple University e poi Harvard, dove fu uno dei primi laureati e più importanti collaboratori di Talcott Parsons, il teorico principe dello struttural-funzionalismo. Non è tuttavia a Harvard ma alla Columbia University di New York che Merton trascorse la sua intera vit a accademica (se si esclude un breve periodo a Tulane), costruendo un sodalizio assai intenso con Paul Lazarsfeld. L ' influenza di Parsons è stata importante nella adesione di Merton allo struttural - funzionalismo sociologico, ovvero nella priorità accordata all ' analisi funzionale della realtà sociale e ai problemi dell ' equilibrio sistemico e dell ' ordine sociale, dell ' "anomia" e della devianza. L ' influenza di Lazarsfeld è stata altrettanto importante nel favorire la propensione di Merton per la ricerca empirica e per una concezione della teoria sociologica che formula ipotesi verificabili e utilizza le potenzialità della statistica.

Questa consapevolezza consentì a Merton di evitare sia l ' astrattezza della "grande teoria" parsonsiana sia la scarsa rilevanza dell ' empirismo rozzo, elaborando la sua proposta delle "teorie di medio raggio", ovvero teorie specifiche applicabili a serie limitate di dati, che vadano oltre la semplice descrizione dei fenomeni e consentano di verificare empiricamente ipotesi concernenti fenomeni circoscritti, dal comportamento deviante all ' influenza esercitata dai mass media, alle forme di socializzazione dei nuovi membri di una società. Con Lazarsfeld, Merton fondò alla Columbia il «Bureau of Applied Social Research», uno dei più importanti centri di ricerca sociologica del mondo.

Grazie al costante equilibrio tra teorizzazione e ricerca empirica, Merton ha offerto contributi fondamentali sia alla conoscenza della società americana (basti ricordare i suoi contributi alla analisi delle istituzioni scientifiche americane o della criminalità degli immigrati), sia al perfezionamento del lessico e dell ' apparato concettuale della sociologia.

Nella sua opera principale Teoria e struttura sociale (1949) e nei lavori affini Libertà e controllo nella società contemporanea (1955) e Sociologia teoretica (1967), Merton rielabora categorie classiche come l ' anomia di Durkheim, e sviluppa concetti chiave come quello di role-set con cui interpreta la complessità dell ' agire individuale alla luce dei diversi contesti e requisiti di ruolo, e come quelli di "disfunzione", di "funzione manifesta e latente" e di "alternativa funzionale", mediante i quali invita gli studiosi a guardare al di là dell ' apparenza dei fenomeni, a chiedersi per chi un certo comportamento possa considerarsi funzionale o disfunzionale e a criticare l ' idea che le istituzioni esistenti siano necessarie e buone per definizione.

L ' interesse per il lavoro di Merton va al di là della comunità dei sociologi; i suoi contributi di Sociologia della scienza, in particolare sul fondamentale rapporto tra ricerca scientifica, innovazione tecnologica e organizzazione sociale, hanno, infatti, suscitato l ' apprezzamento e l ' interesse dei ricercatori delle più diverse discipline, dalla biologia alla fisica, dall ' economia alla storia; si tratta di opere giustamente famose, dalla celebre ricerca su Scienza, tecnologia e società nell ' Inghilterra del XVII secolo al trattato Sociology of Science (1973), a Sulle spalle dei giganti (1965) e infine a Viaggi e avventure della serendipity (ovvero come scoprire qualcosa dopo essere partiti cercando altro), l ' ultima opera di Merton, cui ha rimesso mano proprio negli ultimi mes i di vita e pubblicata da Il Mulino lo scorso anno. Robert Merton è stato uno dei grandi scienziati sociali del XX secolo, uno studioso di grande immaginazione sociologica e di profonda cultura, un signore gentile con l ' eleganza di tratto di un Henry Fonda. Ci mancherà.

Roberto Martinelli


La carriera: 1910 Robert King Merton nasce a Filadelfia e si laurea a Harvard nel 1936 1941 Diventa professore alla Columbia University 1946 Esce «Mass Persuasion» 1956 Pubblica negli Stati Uniti «Teoria e struttura sociale», seguita da «Sulle spalle dei giganti» 2003 Muore a New York


giancarlo bosetti

Quando gli indiani d'America, che ora si chiamano «nativi», della tribù degli Hopi organizzavano le cerimonie note come danza della pioggia lo facevano nella convinzione che quel rituale serviva a far piovere.  Il rito aveva dunque una «funzione manifesta».  Ma anche una «funzione latente»: attraverso quelle danze si consolidava la coesione del gruppo, che sarebbe stato più forte e capace di procurarsi i mezzi per la sopravvivenza.  Così il cristiano che va a messa in parrocchia lo fa per onorare un sacramento, per pregare, per sentirsi più vicino a Gesù o per incontrare la ragazza e molte altre ragioni (funzioni manifeste) che ha in mente, ma quel rito ha l'effetto di rafforzare nel tempo i vincoli di una comunità, di farla sentire più solidale e responsabile (funzioni latenti).  Questa distinzione è una delle celebri idee di Robert King Merton, il grande patriarca della sociologia americana e mondiale, scomparso all'età di 93 anni.  La sua carriera si è svolta dal 1941 in poi alla Columbia University di cui era e resta una delle maggiori glorie.

Con la sua vastissima attività (si vedano le 1200 pagine di Teoria e struttura sociale) ha sviluppato l'indagine sociologica verso una direzione speculativa (la critica del funzionalismo «puro» del suo maestro Talcott Parsons), verso la comunicazione di massa (insieme a Patti Lazarsfeld con il quale ha lungamente operato in coppia) e verso la sociologia della conoscenza e della scienza.  La recente pubblicazione italiana (una primizia esclusiva, frutto delle pressioni di due redattrici del Mulino, Laura Xella e Giovanna Movia) di Viaggi e avventure della Serendipity, un manoscritto che Merton aveva tenuto nel cassetto dal 1958, conferma che questa celebrity americana del pensiero sociale sapeva combinare l'importanza e il peso delle sue ricerche con un certo divertimento nella caccia alle idee, alla loro storia e alle immagini che potessero fissarle nella mente.

La sua caccia preferita era nell'ambito delle conseguenze impreviste delle azioni umane, un territorio sconfinato come le praterie degli indiani con le loro danze della pioggia, un territorio che proprio lui ha aperto al nostro sguardo, sicuramente stimolato in origine dalle «azioni non logiche» di Vilfredo Pareto e dalla luce che per primo l'italiano gettò sullo scarto tra quel che intendiamo fare e quel che effettivamente produciamo con il nostro fare: un oceano di effetti inintenzionali, alcuni perversi, alcuni benigni, alcuni medi.  Oggi il territorio lavorato da Merton non è più un arcano come appariva agli inizi, la scienza sociale lo ha percorso in lungo e in largo, da Boudon a Hirschman a Elster, un po' come l'astronomia ha ridisegnato le mappe celesti dopo la scoperta galileiana che il sole e la luna si muovono.

Il suo cannocchiale Merton se l'è costruito nel distacco dal maestro, Parsons, e dal funzionalismo a partire dalla constatazione che non sempre l'ordine sociale ha una funzione positiva, talvolta può esser fonte di disagi malessere, esplosioni, anche se in apparenza tutti i pezzi del sistema sembrano al loro posto e rispondono agli imperativi funzionari dell'adattamento economico, del perseguimento degli scopi politici, del mantenimento delle strutture culturali e valoriali, dell'integrazione ad opera delle istituzioni giuridiche statali.  Da questa visione della società, imperante nella sociologia fino agli anni Sessanta, Merton si distacca, dicendo di no all'«unità funzionale» del tutto, perché non tutte le società sono ugualmente integrate, e poi le stesse azioni possono avere valenze contraddittorie; e vediamo oltretutto spesso sopravvivere forme sociali del passano che non hanno più alcuna funzione significativa. Il funzionalismo appariva una visione «congelante» della Società e della divisione dei «ruoli» proprio mentre urgevano richieste di cambiamento: il '68.

E' evidente come lo schema dei ragionamento di Merton rompa con l'aspetto conservatore -vero o presunto che sia - del funzionalismo: la società americana, per esempio, ha un carattere fortemente competitivo e attribuisce una enorme importanza al successo economico, ma è proprio questo suo ordine a produrre tensioni e anomie che comportano la possibilità, ordinaria, che un elevato numero di individui compiano azioni delinquenziali.  Il crimine può essere, secondo Merton, non solo la conseguenza di una scarsa socializzazione, ma all'opposto l'effetto di un modo di essere della società.  A Merton piaceva - tratto modernissimo - una grande «prudenza» teorica; alle teorie onnicomprensive e di lungo raggio preferiva quelle «di medio raggio», no alle eccessive generalizzazioni, sì alle indagini sul campo e a una sapiente applicazione ai dati statistici.

Certo su alcuni fenomeni che caratterizzano la vita e l'agire umano ha impresso il suo marchio inconfondibile: prima di tutto, le «profezie che si autoadempiono», le self-fulfilling prophecies che sono una variante del «teorema di Thomas».

Spiegazione: il teorema attribuito a William Thomas (sociologo morto nel '47) sostiene che se un individuo percepisce una circostanza come reale si comporterà come se essa fosse reale anche se non lo è. La variante di Merton: se tanti individui prevedono un fatto sociale e si comportano di conseguenza quel fatto sociale si realizza adempiendo alla profezia.  Esempio: se tanta gente si comincia a convincere che una certa banca è insolvibile quella banca andrà effettivamente in rovina.  Se un esercito si convince che la battaglia è persa, è persa. Altro esempio: se tutti si convincono che le azioni di quella società domani avranno un valore triplo di oggi, quelle azioni si pagheranno il triplo.  Se è una bolla speculativa lo si saprà un po' di tempo dopo, ma intanto il valore, incassato o perso, era triplo, ed era reale.  Che cosa di più reale, spiega sempre George Soros, del prezzo che il mercato è disposto a pagare?

E poi la «teoria dei gruppi di riferimento», in base alla quale gli individui valutano la propria situazione confrontandola con quella del contesto sociale al quale guardano, che può essere la società, il sistema culturale, il gruppo, l'unità psicologica (la Noelle-Neumann ne ricaverà la teoria della spirale del silenzio: ciascuno tende ad allinearsi agli altri attraverso una specie di mini-istituto demoscopico che tutti hanno in testa).  Bisogna ancora ricordare gli studi di Merton sugli effetti sociali dei massmedia e la loro «disfunzione narcotizzante», i processi di burocratizzazione e superconformismo che affliggono le grandi organizzazioni.  E certo non dimentichiamo la serendipity, il nome escogitato da Horace Wallpole (che lo trasse da una favola) nel 1754 per descrivere un progresso inatteso della conoscenza, frutto di sagacia, ma accidentale, quel processo per cui tante volte nella scienza si perseguiva un risultato e se ne ricavò un altro a sorpresa, magari più importante.  Buscar el levante para el ponente: e scoprire invece l'America. O rovesciare un vasetto per sbaglio e scoprire la penicillina.

Sono le pagine dove Merton probabilmente si divertiva di più.  Come quelle in cui racconta l'«effetto di San Matteo», altra storia di cui inseguì tutte le tracce, a cominciare dal misteriosamente poco cristiano detto evangelico (per l'appunto in Matteo, 13,12 e 25,29): «A chi ha, verrà dato, e sarà nell'abbondanza: ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha», Merton lo applicò alla scienza: gli scienziati eminenti ottengono un credito sproporzionatamente grande per i loro contributi alla scienza, mentre coloro che sono relativamente sconosciuti ottengono un credito sproporzionatamente piccolo. La tesi era il frutto non di una vaga intuizione ma di una indagine condotta sui premi Nobel. A chi se ne disperasse Merton regala il «fenomeno della quarantunesima sedia» che affligge anche i grandi: quaranta erano i seggi dell'Académie française destinati agli immortali.  Il posto di escluso, il destino di quarantunesimo è toccato a Cartesio, Pascal, Molière, Bayle, Rousseau, Saint-Simon, Diderot, Stendahl, Flaubert, Zola e Proust. A eterna consolazione -spiegava Merton - di tutti noi.


ARMANDO MASSARENTI
Auguri di buona Serendipity

 

Robert Merton racconta le avventure spesso nascoste dai resoconti ufficiali, delle scoperte avvenute per caso.  Come la doppia elica del Dna

Il conflitto d'interessi tra maschio e femmina, le conchiglie come parte integrante della nostra civiltà e l'universo prima del Big Bang

Viaggi e avventure della Serendipity, il manoscritto lasciato nel cassetto nel 1958 dal grande sociologo della scienza Robert K. Merton (scritto con la storica Elinor G. Barber) stava finalmente per essere dato alla stampe due anni fa, in coincidenza del suo novantesimo compleanno.  Noi del «Domenicale», per festeggiarlo, disponendo delle bozze ne avevamo dato un'anticipazione il 2 luglio 2000.  Poi, invece, Merton decise di fermare tutto.  Ciò non impedì a giornali e riviste di uscire per mesi con articoli e commenti su un evento che in realtà non si era realizzato.  Segno che davvero la serendipity, come scrive Merton, è un concetto «autoesemplificativo»: non appena ci si imbatte in essa, subito la si riconosce come qualcosa che era già nell'aria, come la soluzione di qualcosa che andavano cercando, proprio come accade con ogni altro dato «imprevisto, anomalo e strategico» capace di illuminare un campo d'indagine.

Accadde allo stesso Merton, che scoprì serendipicamente la serendipity negli anni Quaranta mentre sfogliava l'«Oxford English Dictionary» alla ricerca di una qualche voce che iniziava per "se".  Subito la riconobbe come risolutiva per certi problemi affrontati nell'ambito della sociologia della scienza, come quello delle weberiane «conseguenze inattese delle azioni intenzionali».  Chi l'avrebbe mai detto che dei puritani in cerca di una conferma del loro stato di grazia, per eterogenesi dei fini, ci avrebbero regalato la moderna società industriale?

La quale è essa stessa uno dei contesti più serendipici che si possano immaginare.  Prendete le definizioni concorrenza di due autori liberali come Frédéric Bastiat e Friedrich A. von Hayek (nelle due utili raccolte approntate per l'editore Armando da Massimo Baldini, intitolate rispettivamente Il mercato e la provvidenza, pagg. 160, E 10,50, e L'utopia liberale, pagg. 174, E 10,50) e vedrete quanto siamo vicini all'idea scoperta da Merton.

Promuovendo la libera impresa e la libera ricerca la società industriale ci ha regalato scoperte serendipiche, dal nylon alla pentola antiaderente, dal velcro al post-it, e, in campo medico-farcamacologico, l'ossigeno, l'anestesia, il chinino, i dolcificanti, l'insulina, l'Lsd, il Pap test, la penicillina - tutte fatte per caso, mentre si cercava qualcosa di completamente diverso, o che servisse a tutt'altri scopi.

Inutile dire che (colmo dell'«autoesemplificazione») niente è più serendipico della ricerca di un regalo: si parte con una certa idea di che tipo sia, e che cosa possa prediligere, la persona interessata, e poi, dopo la ricerca, si finisce per trovare qualcosa di completamente diverso, ma di più adatto, da ciò da cui si era partiti.  Viaggi e avventure della Serendipitiy è un libro che, qualora lo si sfogliasse casualmente in libreria, risulterebbe un regalo perfetto sia per chi ha interessi letterari (perché, testo letterario esso stesso, per buona parte è una storia letteraria dell'idea di serendipity, a partire dalla favola dei tre principi dell'isola di Serendippo, oggi Ceylon) sia per chi ha interessi sociologici o scientifici.

Finalmente stampato dopo mezzo secolo (dal Mulino, in prima mondiale, pagg. 470, ,E 24), con l'aggiunta delle splendide «riflessioni autobiografiche» che giustificano pienamente il ritardo, questo libro è una miniera di ulteriori rimandi a possibili regali per menti pronte e sagaci.  Nella nuova postfazione, appunto, come esempio di scienziato che, durante il conferimento del Nobel, rompe gli schemi della comunicazione scientifica standard per mostrare i lati serendipici della ricerca, Merton cita Richard Feynman.  Di questo straordinario fisico Adelphi ha appena pubblicato la raccolta Il piacere di scoprire (pagg. 286, 4E 20,00, recensito il 6 ottobre scorso).  Come attento osservatore dei processi di serendipity nascosti dallo stile ufficiale della scienza, - oltre a John Ziman, autore di La vera scienza.  Natura e modelli operativi della pratica scientifica (appena uscito per Dedalo, pagg. 490, e 19,00) - Merton cita il Nobel per la chimica - «oltreché poeta e sociologo dilettante della scienza» - Roald Hoffmann.  Proprio quel Hoffmann cui lo psichiatra Oliver Sacks ha dedicato i suoi serendipicissimi ricordi da piccolo chimico di Zio Tungsteno (Adelphi, pagg. 412, £ 19,00).

Merton fa anche un vero scoop.  Spiega come, rispetto all'asettico articolo di cinquant'anni fa che valse il Nobel a Crick e Watson per la scoperta della struttura a doppia elica del Dna, nei loro scritti successivi (compresi quelli di James Watson appena usciti in Geni buoni, geni cattivi. Storia di una passione per il Dna, Utet, pagg. 272, e 18,50) il racconto si fa molto meno formare e molto più serendipico.

Alla scoperta della doppia elica non sarebbero mai arrivati se non fosse loro capitato di condividere casualmente l'ufficio con un giovane chimico, Jerry Donohue, che spiegò a Watson che i manuali di chimica organica erano zeppi di forme tautomere fortemente fuorvianti.  Grazie a questa dritta furono in grado di giungere alla loro grande scoperta.  Battendo i colleghi che operavano in microambienti a più basso tasso di serendipicità.


ROBERT K. MERTON
Le sorprese di Serendippo
La storia di un concetto chiave per comprendere i meccanismi della creatività scientifica
La pubblicazione Viaggi e avventure della Serendipity di Robert K. Merton - che avverrà in settembre, in mondiale, per le edizioni il Mulino - è già di per sé un esempio di Serendipity, cioè di quella miscela di sagacia e fortuita coincidenza che permette di fare, inintenzionalmente, felici scoperte.Proprio come nella favola dei tre figli del re di Serendip (Ceylon) che si avventurano per il mondo cavandosela sempre nei modi più curiosi e imprevisti. Il Mulino scoprì l'esistenza di quest'opera nel 1991, quando stava traducendo Sulle spalle dei giganti. Merton rivelò di avere in un cassetto un vecchio manoscritto che non si era mai dato la pena di pubblicare "per ragioni che sfuggono all'autore e ad altri che l'hanno letto".Il testo era stato scritto nel 1958 con Elinor Barber (morta l'anno scorso). Ne anticipiamo un brano in occasione dei 90 anni di Merton. E' nato il 4 luglio 1910, ma a causa dei festeggiamenti per l'anniversario dell'Indipendenza, è stato registrato all'anagrafe il giorno seguente. I suoi genitori se ne accorsero anni dopo. Troppo tardi, per cambiare la data. Auguri dunque per entrambi i compleanni, quello vero e quello anagrafico. Il Mulino ha appena ripubblicato anche l'opera fondamentale di Merton Teoria e struttura sociale, un monumento della sociologia contemporanea uscito nella prima edizione americana nel 1949.
Il carteggio tra Horace Walpole e Horace Mann costituisce quella che Wilmarth S. Lewis definì la catena delle Ande della corrispondenza di Walpole. I due amici, che tra l'altro erano lontani cugini, si scrissero per quarantasei anni, dal 1740 al 1786, anche se, dopo la visita di Walpole a Firenze nel 1741, lui e Mann, che rimase a lungo ministro britannico presso la corte fiorenti na, non si rividero mai più. Walpole scrisse tutte le sue innumerevoli lettere per la posterità; ma quelle indirizzate a Mann furono concepite in modo particolare per costituire "una sorta di storia", una cronaca cioè di importanti avvenimenti sociali e politici. Inevitabilmente, dati i gusti peculiari dello scrivente, anche molti incidenti "senza importanza" si insinuarono nelle sue lettere, e uno di questi giunse a significare per una piccola e crescente fascia della posterità assai più di quanto Horace Walpole avrebbe mai potuto prevedere.
Scrivendo a Mann il 28 gennaio 1754 a proposito dell'arrivo in Inghilterra del ritratto di Vasari della granduchessa Bianca Capello che Mann gli aveva fatto mandare, Walpole gli raccontò come aveva fatto una "scoperta decisiva" circa lo stemma dei Capello in un antico libro di emblemi veneziani: "Questa scoperta l'ho fatta grazie a un talismano, che Mr. Chute chiama sortes Walpolianae, col quale trovo tutto ciò che desidero, à pointe nommée, ovunque io affondi la mano. Questa scoperta, in verità, è quasi di quel genere che io chiamo Serendipity, una parola molto espressiva che, giacché non ho niente di meglio da raccontarti, cercherò di spiegarti: la capirai meglio per derivazione che per definizione. Una volta lessi una sciocca favoletta intitolata The 7hree Princes of Serendip: nel corso dei loro viaggi, le Altezze scoprivano continuamente, per caso e per sagacia, cose che non andavano cercando: a esempio, uno di loro scoprì che un mulo cieco dall'occhio destro era passato per la loro stessa strada di recente, perché l'erba era mangiata solo sul lato sinistro, dove era più brutta che sul destro - ora capisci cos'è la Serendipity? Uno degli esempi più notevoli di questa sagacia accidentale (perché devi notare che nessuna scoperta di una cosa che stai cercando rientra in questa descrizione), si deve a Lord Shaftsbury, che essendo ospite a cena del Lord Cancelliere Clarendon, scoprì il segreto del matrimonio tra duca di York e Miss Hyde dal rispetto con cui la madre di quest'ultima la trattava a tavola".
La "sciocca favoletta" a cui Walpole si riferiva era intitolata The Travels and Adventures of Three Princes of Serendip. Secondo il frontespizio, era "Tradotta dal Persiano in Francese e di qui in Inglese", e stampata a Londra per Will Chetwode nel 1722. I tre principi del titolo sono i figli di Jafer, il re-filosofo di Sarendip (o Serendip, che è l'antico nome dì Ceylon). Re Jafer aveva provveduto a far impartire ai suoi tre promettenti figli la migliore educazione possibile da parte degli uomini più sapienti del reame e ora desiderava che viaggiassero per potersi arricchire di esperienza a completamento di quanto appreso sui libri. Soprattutto, desiderava che apprendessero i costumi degli altri popoli. Non si fa la minima menzione della ricerca di un tesoro che è stata tanto spesso ascritta loro da quanti conoscono il racconto dì seconda o terza mano.
"Mentre le loro Altezze viaggiavano", ebbero varie avventure e fecero alcune "scoperte".Le loro avventure furono il risultato dell'uso che essi, e altre persone, fecero del loro spirito acuto; e le loro "scoperte" - della natura di intuizioni holmesiane piuttosto che di "tesori" di tipo più convenzionale - risultarono spesso preziose a quanti incontrarono sulla loro strada. In due episodi, essi usarono il loro talento per fare acute osservazioni e trarre sottili deduzioni, esercitando questa loro abilità per il puro piacere procurato dalla sua pratica. In un altro episodio resero al loro ospite, l'imperatore Behram, un prezioso servizio, quando, in virtù delle loro acute osservazioni e della loro intuitiva comprensione della psicologia e fisiologia umana, furono in grado dì salvarlo dalla vendetta di un ministro traditore. In un'altra corte da loro visitata, superarono un altro antico test di sagacia, la soluzione di enigmi seri e giocosi. Nel corso di tutte queste avventure, si comportarono con grande modestia e cortesia.
Di tutte queste imprese, quella che sembra avere impressionato di più Walpole è una delle prodezze di osservazione e deduzione dei principi. (Si tratta in effetti del primo incidente nel corso dei loro viaggi e forse Walpole non andò mai più in là di questa "sciocca favoletta").Mentre i principi cavalcavano per la loro strada, incontrarono un cammelliere che aveva perso uno dei suoi cammelli e chiese loro se lo avevano visto. Poiché essi avevano osservato vari indizi che avrebbero potuto far pensare all'animale perduto, fecero all'uomo le tre seguenti domande: l'animale era cieco di un occhio? Gli mancava un dente? E non era per caso zoppo? Il cammelliere rispose affermativamente a tutte queste domande, così essi a loro volta gli dissero che erano passati accanto al suo animale e che questo doveva essere ormai piuttosto lontano.
Il cammelliere ripercorse la strada per venti miglia guardando dappertutto senza trovare il cammello perduto, così tornò indietro e incontrò di nuovo i tre giovani. Disse loro che pensava si fossero semplicemente presi gioco di lui, al che essi gli offrirono nuovi elementi; il cammello aveva un carico di burro da un lato e di miele dall'altro ed era montato da una donna gravida. A questo punto il cammelliere ebbe la certezza che i tre principi gli avevano rubato il cammello e li fece trascinare di fronte all'imperatore Berham per avere giustizia. I tre principi confessarono di non aver mai veramente visto il cammello e di aver soltanto riferito al cammelliere le deduzioni tratte dai segni che avevano osservato e che per caso coincidevano coi fatti.
L'incidente si concluse felicemente quando il cammello venne trovato. L'imperatore, ora fortemente impressionato, volle sapere come avessero fatto i principi a dedurre con tanta precisione, le sue caratteristiche. Essi gli spiegarono di aver indovinato che il cammello era cieco dell'occhio destro perché l'erba era stata brucata sul lato sinistro della strada, dove era più brutta che sul lato destro; di aver trovato sulla strada pezzetti d'erba masticata dalle cui dimensioni si deduceva che erano caduti dalla bocca dell'animale dove gli mancava un dente; che le sue orme mostravano che era zoppo e che trascinava una zampa; che il suo carico di burro e miele si poteva inferire dalla scia di formiche su un lato della strada, poiché le formiche amano il burro, e di mosche sull'altro, poiché le mosche amano il miele; che in un luogo avevano visto impronte che attribuirono a una donna piuttosto che a un bambino perché avvertirono il pungolo del desiderio carnale; e infine che questa donna doveva essere gravida poiché avevano visto anche l'impronta delle sue mani sul terreno dove, data la pesantezza del suo stato, le aveva appoggiate per rimettersi in piedi.
Fu la "scoperta" della cecità dell'occhio destro che evidentemente Walpole ricordò meglio e che usò per illustrare le doti particolari dei principi. Al momento di fornire la "derivazione" di serendipity a beneficio di Mann, tuttavia, la sua memoria aveva già trasformato il cammello della storia originale in un mulo. Come inglese egli aveva certo più familiarità coi muli che coi cammelli; e forse questa è la ragione della trasformazione dell'esotico cammello in un più comune mulo.
Queste, quindi, furono le circostanze immediate dell'invenzione della parola serendipity: un episodio della storia di tre principi di Serendip in cui essi mostravano la loro capacità di osservazione e trovavano alcuni indizi che non stavano cercando; l'inattesa scoperta da parte di Horace Walpole di un elemento mancante della sua cultura araldica, una delle tante scoperte accidentali dello stesso genere; e, infine, la sua lettera a Sir Horace Mann, in cui egli si concede il piacere di filosofeggiare sulla natura di alcuni aspetti del processo di scoperta.