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Abbiamo deciso di pubblicare il nostro libro gratuitamente nel sito www.bobi2001.it rinunciando a ogni diritto di copyright.

 
Il libro si può trovare nelle principali librerie di tutte le città e costa 1.03 Euro.

 Chi volesse distribuire l’edizione cartacea, può richiedere le copie, scontate del 45% per il movimento, direttamente alla casa editrice, nuovi.equilibri@agora.stm.it o faxando allo 0761.352751.  Ogni diffusione-riproduzione è gradita!

 

Gli autori sono anche disponibili a partecipare a serate di divulgazione; per contatti: info@bobi2001.it .

  BUONA LETTURA e BUONA DIFFUSIONE

 Non mollare

 Per giudicare una politica fatta di slogan e demagogia, l’unica arma a disposizione è quella dei fatti: decreti legge, dichiarazioni e atti a confronto con la realtà. Ogni questione deve essere analizzata e portata alla luce per scoprire le bugie che vengono inventate per coprire il reale interesse che viene difeso. E così si scopre che dietro un generico “Disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’euro”, si nasconde un decreto per il rientro in Italia di capitali esportati illegalmente; oppure che, grazie al fatto di essere presidente del Consiglio, si può, tramite un atto amministrativo del Guardasigilli, tentare di farla franca in un processo che lo vede imputato; o ancora che sotto la generica “Riforma del diritto societario” si cela la depenalizzazione del Falso in bilancio che potrebbe consentire, guarda caso, a Silvio Berlusconi di ottenere l’archiviazione nei processi All Iberian, Sme e Milan-Lentini. Senza che, apparentemente, i cittadini (anche quelli che lo hanno votato) si ribellino.

La nostra speranza è che questo dossier, frutto soprattutto di una raccolta di informazioni già pubblicate, possa essere letto e diffuso capillarmente: per questo abbiamo fatto la scelta della collana Millelire e abbiamo deciso di pubblicarlo gratuitamente nel sito www.bobi2001.it rinunciando a ogni diritto di copyright. Forse non arriverà nelle case di tutti gli italiani, ma nel suo piccolo potrà essere usato per contrastare lo strapotere dei mezzi di comunicazione che amplificano le bugie del capo e come base per la diffusione della protesta che DEVE spingere i cittadini a ribellarsi scandendo bene il loro NO verso questo vero e proprio regime che usa le leggi a suo piacimento e per i suoi esclusivi interessi.

Gianfranco Mascia e Filippo Lucarelli

info@bobi2001.it
La prima grande bugia

 

“Per sette lunghi mesi è stato preparato il terreno all’offensiva finale, alla grande rapina elettorale (…). Per sette lunghi mesi il prestigio internazionale dell’Italia, la credibilità della nostra moneta e dei nostri titoli sui mercati internazionali, la stabilità e la credibilità delle nostre istituzioni sono state messe in pericolo e gravemente danneggiate da chi oggi si manifesta, senza alcun pudore, come un autentico distruttore politico pervicacemente teso a portare discredito al nostro Paese (…). Abbiamo avuto in Consiglio dei Ministri episodi imbarazzanti, con ministri della Lega seri e consapevoli costretti a un ruolo di portaparola di incubi di un leader che girava a vuoto nella giostra delle più spericolate improvvisazioni politiche”.

 

Così apostrofava in Parlamento il 21 dicembre 1995 Silvio Berlusconi, nel suo ultimo discorso da presidente del Consiglio, Bossi.

E continuava:

“(…) abbiamo creduto di avere a che fare con un interlocutore politico magari bizzoso, ma leale, mentre in realtà avevamo a che fare con i comportamenti di una personalità doppia, tripla e forse anche quadrupla”.

 

E cosa diceva Bossi di Berlusconi?

“Ci devono fare due monumenti: per aver fermato Craxi e Andreotti e per aver respinto la seconda linea del Caf, quella di Berlusconi. Visto? È la dimostrazione che il vecchio Bossi sbaglia poche volte. Le proiezioni dimostrano che il nostro elettorato non vota i porci fascisti Berlusconi e Fini. È finita l’ondata dell’affarismo di destra unito al fascismo meridionale, che sono nati dalla caduta del comunismo”. (“Corriere della Sera”, 8 maggio1995)

 

E il 18 giugno 2001, seduto insieme agli altri membri del Governo Berlusconi bis c’è lui, “il bizzoso, l’improvvisatore e il distruttore politico”: il ministro Umberto Bossi, tra i “porci fascisti” Berlusconi e Fini.

L’attuale governo Berlusconi nasce da una grande bugia: che si possa avere fiducia sulla persona che ha pugnalato alle spalle ed è stato la causa della prima grande sconfitta politica. Uno che giura davanti al Presidente della Repubblica la sua fedeltà alla Costituzione italiana e rinnega tutto pochi giorni dopo a Pontida: Giuro fedeltà alla Padania ed al suo popolo”.

“Ho giurato da Ciampi come un padano” sosterrà.

 

 

Il discorso per la fiducia al Senato

 

Senato. Seduta del 18 giugno 2001

 

“Signor Presidente, onorevoli senatori, sette anni fa presentammo in quest’Aula il programma del nostro primo Governo; da allora molte cose sono cambiate e ciascuno di noi ha imparato molto dai fatti della vita e della politica. Ma consentitemi di cominciare con una frase schietta, diretta, semplice. Noi siamo qui per lo stesso motivo di allora: vogliamo cambiare l’Italia.

(…)

C’è un capitolo da chiudere definitivamente, ed è quello della vecchia politica, e c’è un capitolo tutto da scrivere, quello di un nuovo modo di fare politica.(1)

(…)

In alcuni momenti era accaduto addirittura il contrario e il vento trasformista umiliava le istituzioni con la minoranza che si faceva Governo e la vera maggioranza del Paese costretta all’opposizione nonostante il voto degli elettori.(2)

(…)

Da questo giudizio, credo inattaccabile, discende la prima questione di metodo che penso sia utile sottoporre alla vostra attenzione: il rapporto tra Governo e opposizione.

Noi abbiamo e avremo sempre il massimo rispetto per i diritti e le prerogative della minoranza e per la sua funzione di controllo costituzionale degli atti dell’Esecutivo, funzione seria, sacra, insostituibile in una democrazia. Per questo le minoranze hanno uno statuto parlamentare, spazi riconosciuti, inviolabili e incomprimibili nelle istituzioni del Paese e il diritto di manifestare liberamente il loro pensiero, un diritto che si combina con gli effetti di una stampa libera di criticare e contestare la maggioranza e il suo Governo.(3)

(…)

Agli italiani e agli europei che dissentono, che si preparano a manifestare – in piena legittimità – a Genova, il Governo si rivolge con una sola voce, con una sola parola: siamo aperti al dialogo, purché il diritto costituzionale venga rispettato, perché il diritto di manifestare è indisponibile da parte di qualsiasi autorità. Ma anche nel merito diciamo loro: riflettete, non sciupate una grande occasione.

(…)

Ma il tutto deve svolgersi – lo ripeto – nella più rigorosa esclusione di ogni forma di violenza e nella più gelosa tutela dell’ordine pubblico. L’ala estremista del movimento contrario alla globalizzazione deve essere isolata e messa in condizioni di non nuocere. Auspichiamo che anche le opposizioni si facciano carico di evitare a Genova lo spettacolo drammatico a cui abbiamo assistito in molte città del mondo e, da ultimo, nella pacifica Göteborg.(4)

(…)

Signor Presidente, signori senatori, mi sono pubblicamente impegnato a presentare una legge di regolamentazione dei conflitti potenziali di interessi (…) ribadisco che la mia storia di imprenditore nel settore delle comunicazioni e la mia coscienza personale non autorizzano alcuno a sospettare, nella mia azione istituzionale, fini diversi da quelli del bene comune. Il mio impegno sarà inderogabilmente mantenuto. Prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari, le Camere avranno a disposizione il nuovo testo legislativo in materia, nella forma di un disegno di legge del Governo.(5)

(...)

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) Il primo impegno, del nuovo presidente del Consiglio, è di buttare a mare i metodi della vecchia politica, per aprire un capitolo nuovo.

“Un discorso da democristiano, dia retta a me”, commenta a caldo il sen. Cossiga.

I vecchi governi democristiani avevano il vizio di abusare dei decreti legge, anche in mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza. Il primo atto dell’esecutivo Berlusconi bis, sono una serie di decreti legge per stravolgere la legge Bassanini condivisa a suo tempo anche da Forza Italia, e poter aumentare il numero dei ministeri.

Del resto le cronache raccontano il travaglio simile a quello di tutti i presidenti di Consiglio della storia repubblicana, della Casa delle Libertà messa a soqquadro dai rappresentanti delle correnti che rischiavano di rimanere fuori. Tant’è che si è dovuto far ricorso per l’ennesima volta al manuale Cencelli per ricompensare gli esclusi.

 

(2) Ma sì, basta con questo vento trasformista che umilia le istituzioni. Peccato che il sen. Carrara, l’unico del Movimento dell’Italia dei Valori di Di Pietro (acerrimo nemico di Berlusconi) una volta eletto, consigliato dalla propria “coscienza” si è sentito “vicino a Forza Italia” e, ripudiando chi lo aveva fatto eleggere e, soprattutto, chi lo aveva eletto, si è tolto la giacca dell’Italia dei Valori e ha indossato quella di Forza Italia, provocando il primo ribaltone della legislatura.

 

(3) È la prima volta, almeno in Italia, che il capo di Governo, nel suo discorso programmatico, sente la necessità di “concedere” alle opposizioni il diritto di “manifestare liberamente il loro pensiero”.

 

(4) Anche su Genova i fatti hanno dimostrato quanta apertura al dialogo ci sia stata. Come, in realtà, si sia concesso tanto spazio all’ala estremista del movimento (i cosiddetti Black Bloc) e quanto si sia aggredita l’ala pacifica.

 

(5) È sufficiente leggere fino in fondo questo dossier, per rendersi conto di come i primi giorni di governo siano stati utilizzati a risolvere – con procedura d’urgenza – i guai del capo.

Il decreto legge sul conflitto di interessi è stato presentato solo il 5 ottobre e non “prima della sospensione estiva”...
Esordio incostituzionale

 

DECRETO-LEGGE 12 giugno 2001, n. 217

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessità (?) ed urgenza (??) di apportare modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, (legge Bassanini) recante riforma dell’organizzazione del Governo, (…)

emana il seguente decreto-legge:

(…)

Art. 13. 1. Gli incarichi di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio, del Ministro, del Vice Ministro o del Sottosegretario, possono essere attribuiti anche a dipendenti pubblici di qualsiasi ordine, grado e qualifica, appartenenti a qualsiasi Amministrazione di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. In tal caso essi sono collocati, su richiesta del Presidente del Consiglio, del Ministro, del Vice Ministro o del Sottosegretario, fuori ruolo o in aspettativa retribuita, per l’intera durata dell’incarico, anche in deroga alle norme ed ai criteri che disciplinano i rispettivi ordinamenti. (…)

 

Tralasciando la ‘sensibilità’ politica di emanare decreti prima di ottenere la fiducia delle due Camere, è più che evidente che questo decreto è approvato d’urgenza per poter scorporare i ministeri della Sanità e delle Comunicazioni modificando la legge Bassanini. Ma non si limita a questo, e interviene più in generale sull’organizzazione della pubblica amministrazione. I primi dodici articoli servono al Governo in carica per potere aumentare i ministri e poterne ripristinare alcuni soppressi dalla Bassanini. L’articolo 13 è il più interessante: stabilisce che il Governo – presidente del consiglio, ministri, sottosegretari – può avvalersi della collaborazione di dipendenti pubblici di qualsiasi categoria, “anche in deroga alle norme e ai criteri che disciplinano i rispettivi ordinamenti”. Tradotto: può chiamare a lavorare nei ministeri anche i magistrati (ordinari, amministrativi e contabili), come da sempre avviene, senza passare per il consenso del Csm, come finora avveniva per prassi istituzionale. E qui, come afferma Luciano Violante: “Non è solo una questione di forma, ma anche di sostanza: è contro la Costituzione, un vecchio metodo già usato nell’‘800 per distogliere i giudici dai processi”. (“Corriere della Sera”, 14 giugno 2001)

La deroga riguarda anche altre categorie: avvocati e procuratori di stato, militari e forze di polizia, funzionari di carriera diplomatica o prefettizia. Ma si sa che nella magistratura una lesione dei poteri del Csm suona subito come una lesione della propria autonomia, nonché della divisione costituzionale dei poteri. Infatti Violante non resta solo. Dal Csm gli fanno subito eco togati e laici, da Armando Spataro (“è stupefacente che il primo passo del nuovo governo configuri un così vistoso strappo alle regole del fair-play istituzionale”) a Nello Rossi di Md (“il Csm deve subito chiedere il pieno rispetto delle sue competenze costituzionalmente garantite”).

 

Comincia la grande campagna contro la Magistratura.

 

 

Il buco che non c’è

 

I primi interventi dei ministri finanziari del Berlusconi bis si sono concentrati sul famoso buco nel bilancio lasciato dal Governo Amato. 

Partiamo dai termini:

 

INDEBITAMENTO NETTO

È la differenza tra impegni di spesa ed entrate di pertinenza dell’anno, ed è il valore che la Unione Europea prende a riferimento per misurare il deficit pubblico di ogni Stato.

Sono escluse tutte le operazioni finanziarie, ad esempio la restituzione dei crediti di imposta.

 

FABBISOGNO DI CASSA

È la differenza tra spese effettivamente realizzate ed entrate incassate, anche se di pertinenza di un anno precedente. Quindi è un dato di cassa e non di pertinenza e comprende tutte le operazioni finanziarie.

 

BUCO DI BILANCIO

È l’eccesso di indebitamento netto o di fabbisogno di cassa rispetto alle previsioni, sulla base dei parametri a cui gli Stati che adottano l’Euro devono sottostare. Quindi l’eccesso di due voci che sono rappresentate da cifre diverse.

In Tv dal solito Vespa, il ministro Tremonti ha spacciato per ‘buco’ quello che era invece l’indebitamento complessivo previsto per l’anno 2001.

Il ministro ha spiegato che il suo problema sarà di far scendere i 62 mila miliardi previsti dalla Banca d’Italia ai 45 mila miliardi previsti dalla Ragioneria Generale.

La cosa non è possibile, perché la prima cifra riguarda i flussi in uscita e in entrata delle Tesorerie provinciali dell’Istituto. Questi flussi non hanno alcun riferimento con il bilancio di competenza in corso, perché entrano voci che per natura non vanno a incidere né sull’indebitamento né sul fabbisogno.

E allora perché 45 mila miliardi?

La risposta è contenuta nell’intervista che Monorchio, ragioniere dello Stato, ha rilasciato a “La Stampa”.

Al 2 giugno, nel conteggiare l’eredità che il Governo precedente lasciava a quello nuovo, il Ragioniere verificava che l’indebitamento era di 10 mila miliardi, cioè in regola con i parametri europei.

Qual era la novità dopo il 2 giugno, proprio mentre l’economia stava raggiungendo uno dei picchi più alti?

Era successo che le Regioni, e quindi non il Governo precedente, stavano producendo disavanzi incalcolabili e soprattutto che la Borsa, come tutte le borse mondiali, non andava bene, e quindi mancava un’ altra entrata finanziaria.

Per cui il Ragioniere Generale dello Stato aumentò l’indebitamento dall’1 all’1,4 per cento del rapporto deficit-Pil.

Il ministro Tremonti chiese di fare una previsione fino al 31 dicembre e si arrivò ai 45 mila miliardi.

La causa principale di questo aumento di indebitamento deriva dall’uso spregiudicato che alcune Regioni, in particolare la Lombardia dell’onorevole di Forza Italia Formigoni, hanno fatto dei denari destinati alla Sanità, oltre al rallentamento della vendita degli immobili pubblici.

Perché il ministro, che è uno dei più noti commercialisti in campo nazionale, non ha fornito i giusti termini alla televisione?

Finge di non sapere che se al 2 giugno 2001 l’Italia riusciva a stare allineata al passo dell’Europa lo deve ad un ministro che adesso sta al Quirinale e ai Governi che gli sono succeduti?

Forse si vuol dire al popolo che se certe promesse elettorali non verranno mantenute lo si deve al governo precedente?

Forse ci si vuole coprire le spalle per nuove tasse che arriveranno? Ma quelle erano necessarie in ogni caso.

Ovviamente a questo giochetto non partecipa il Commissario europeo Solbes, che aveva i numeri presentati dalla Ragioneria dello Stato, sapeva come stavano le cose e ha criticato l’attuale ministro.

 

 

Il programma dei cento giorni

 

Ecco il programma dei Cento Giorni proposto in campagna elettorale da Berlusconi e riportato nel sito di Forza Italia:

 

1. Legge Tremonti. Per rilanciare lo sviluppo con la detassazione degli investimenti e delle nuove assunzioni di lavoratori.

 

2. Azzeramento della tassa sulle successioni e sulle donazioni. Per eliminare, una volta per tutte, l’odiosa tassa sulle successioni e sulle donazioni che grava ingiustamente sulle famiglie e sulla filiera produttiva del Paese.

 

3. Blocco istantaneo della riforma dei cicli scolastici e della riforma universitaria. Essenziale per ripartire con una vera riforma della scuola e dell’università.

4. Legge obiettivo. Per migliorare la vita dei cittadini realizzando le nuove opere pubbliche necessarie per la modernizzazione del Paese: autostrade, raccordi, passanti, ferrovie, ponti, metropolitane, reti idriche, ecc.

 

5. Contratto di lavoro europeo. Per convergere con l’Europa in materia di contratti di lavoro, garanzie, flessibilità, mobilità, partecipazione. La libertà di assumere, così consentita alle imprese, offre ai giovani straordinarie opportunità di ingresso nel mondo del lavoro.

 

6. Riemersione del sommerso. Per riportare nella legalità, in base ad un preciso e conveniente piano di “rientro”, una parte rilevante dell’economia che finora è stata costretta nel sommerso.

 

7. Padroni a casa nostra. Per rendere libera, senza più obbligo di ottenere “permessi” o “concessioni”, la ristrutturazione interna alle case, ai negozi, ai laboratori, alle fabbriche, ecc., che non deve naturalmente apportare alterazioni ai muri portanti, al volume complessivo degli edifici e agli esterni. Proroga delle agevolazioni fiscali per l’edilizia.

 

8. Lasciateci lavorare! Per ridurre all’essenziale la burocrazia, sfoltendo la miriade di adempimenti che condizionano l’attività imprenditoriale e liberando così imprese e artigiani da oneri inutili ed impropri.

 

9. New Economy. Per modernizzare la nostra economia allineandola a quella dei Paesi più sviluppati, per renderla competitiva e per attirare in Italia capitali esteri. (…)

 

10. Le invenzioni sono degli inventori. La proprietà delle “invenzioni” realizzate nelle università e nei laboratori pubblici deve essere degli inventori, professori e ricercatori, che avranno così il diritto di registrarle a loro nome. (…)

 

11. Nuovo diritto societario. Per riformare, sulla base del testo già discusso in Parlamento, la legislazione societaria: meno burocrazia e più “governance” nella gestione dell’economia.

12. Devoluzione.Avvio del processo di devoluzione alle Regioni di maggiori competenze:

– in materia di sanità. (…)

– in materia di istruzione e formazione. (…)

– in materia di sicurezza a vantaggio dei cittadini e della loro proprietà, (…) sul territorio dei cosiddetti “piccoli crimini”.

 

A queste promesse bisogna aggiungere quelle sbandierate sui maxi cartelloni elettorali (Meno tasse per tutti” e Città più sicure”) oppure nei memorabili “salotti” di Vespa (“Aumento a un milione di tutte le pensioni minime”, “Sì alla libertà di assumere, no alla libertà di licenziare”).

Nessun accenno a “rogatorie”, “Falso in bilancio”, “Rientro dei capitali”.

 

Ed ecco ciò che è realmente accaduto.

 

Uno dei primi provvedimenti è stato il cosiddetto “pacchetto dei cento giorni”. Analizziamolo nel dettaglio.

 

1. Legge Tremonti

A proposito di questa norma, il presidente di Confindustria ha abbandonato ogni scrupolo di equidistanza politica e ha parlato di accensione di un “turbo” in forza del quale le imprese italiane potranno finalmente decollare e prendere il volo”. (“Repubblica” , 2 luglio 2001). Peccato che questo “turbo” (a seguito della mancanza di copertura finanziaria della Legge) sia rimasto ai box fino a metà ottobre quando (come afferma il “Corriere della Sera” del 19 ottobre 2001) dopo “essere rimasto nel «parcheggio» del Quirinale per otto giorni ha finalmente avuto l’ok di Ciampi”.

 

2. Tassa successione

Con questa iniziativa (come afferma Pintor sul “Manifesto” del 30 giugno 2001) “il capo del governo ha deciso all’istante di detassare il suo patrimonio, come ogni altro patrimonio miliardario, affinché i suoi familiari e discendenti possano di generazione in generazione ereditarlo intonso. I ragazzi non potranno dire che è un frutto del sudore della loro fronte, ma questo sarà un titolo di merito in più” .

“Non c’è nessun conflitto di interessi in una misura legislativa così candida”, prosegue Pintor “c’è una coincidenza di interessi perfetta e assoluta. Supponendo che il presidente del Consiglio disponga di un patrimonio di diecimila miliardi, e supponendo che la tassa di successione sia da noi al 28% come in America, il capo del governo regala a sé e ai suoi cari 2.800 miliardi: una grande opera. In più, alienando così vantaggiosamente il suo patrimonio, diventa povero e risolve il conflitto di interessi”.

 

3. Riforma della scuola

Vedi capitolo “Investire nella formazione”.

 

4. Legge obiettivo

La legge Lunardi (approvata nell’agosto 2001) ha l’obiettivo dichiarato di snellire le procedure per la costruzione di opere pubbliche. Al governo è assegnato il potere di stabilire con una legge obiettivo, ogni anno, (su proposta dei ministri competenti e delle Regioni interessate) quali sono le infrastrutture strategiche per lo sviluppo del Paese.

Questa è l’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” dallo stesso Lunardi. “Professor Lunardi è davvero lei il progettista di alcune tra le opere pubbliche definite prioritarie da Berlusconi?”. «Di opere pubbliche ne ho progettate una sfilza: dal tunnel del Gran Sasso al traforo del Frejus. Faccio questo lavoro da 30 anni. Non è un segreto per nessuno».

“Ma, secondo l’“Espresso”, lei sta collaborando attualmente a opere come il corridoio Tirreno-Brennero o il rafforzamento della Salerno-Reggio Calabria che rientrano nel programma del governo?”. «Se è per questo ho collaborato anche con il precedente governo: ho proposto all’ex ministro dei Lavori pubblici, Nerio Nesi, il passante sotterraneo di Mestre. (…) Ho partecipato alle gare e ne ho vinte alcune: tutto qui». “Sì, ma adesso lei «rischia» di passare dall’altra parte come ministro-committente? O Berlusconi ci ha ripensato?”. «Le dico di no. Nessun ripensamento per quel che ne so io. La mia disponibilità resta e Berlusconi l’ho sentito fino a qualche giorno fa». “Ma secondo lei, nel suo caso, c’è conflitto o no?”. «Per ora io faccio solo il mio lavoro. Se e quando riceverò l’incarico, vedrò di risolvere il problema». “In che modo?”. «O cederò l’attività o farò in modo che si svolga solo all’estero».

E il ministro Lunardi, successivamente, ha effettivamente risolto la propria situazione di conflitto di interessi: intestando il 50% delle azioni alla moglie e il restante 50% alle due figlie.

Poi, però, viene introdotta nel maxiemendamento governativo per le grandi opere una norma nella quale si stabilisce che «le terre e le rocce da scavo anche di gallerie non costituiscono rifiuti anche quando contaminate da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione». Norma che il senatore dei Ds Esterino Montino ha definito «una sanatoria» per i cantieri dell’alta velocità fra Bologna e Firenze, già bloccati dalla magistratura proprio a causa dei rifiuti da scavo. E che ha fatto ri-aleggiare (…) il fantasma del conflitto d’interessi. L’ha evocato il capogruppo della Quercia in commissione Ambiente Fausto Giovanelli, ricordando che la Bologna-Firenze è «l’opera in cui ha una parte determinante, come operatore privato, il ministro Lunardi in persona». Dal 1994 la Rocksoil, società fondata da Lunardi, ha progettato 11 tunnel per quel tratto di linea veloce.

 

5. Contratto di lavoro europeo

Dietro questo punto dei “Cento giorni” c’è la volontà di ridurre – in nome della flessibilità, del mercato, della crescita economica, ecc. – le garanzie e le tutele a favore dei lavoratori. Si punta a una maggiore diffusione dei contratti di lavoro a tempo determinato a scapito di quelli a tempo indeterminato. È un primo passo verso la precarizzazione e la contestuale riduzione del potere contrattuale dei lavoratori.

 

6. Riemersione del sommerso

I giornali hanno parlato subito di “sanatoria” e di “condono”: la novità del provvedimento per l’emersione dell’economia sommersa consiste nel porre in primo piano l’assunzione di nuovi lavoratori a cui viene collegata la concessione di agevolazioni fiscali, sia per l’azienda che per i redditi dei lavoratori, per tre anni e una sanatoria – non si può definire altrimenti – per tutto il pregresso. Preoccupa che venga data agli imprenditori che aderiscono ai programmi di emersione la possibilità di regolarizzare gli insediamenti produttivi anche rispetto a violazioni amministrative e penali in materia ambientale. Lo stesso provvedimento introduce una delega – con criteri direttivi di assoluta vaghezza – che consente l’introduzione di meccanismi per l’estinzione di reati ambientali e il ravvedimento per le violazioni ambientali di carattere amministrativo.

Possibili norme costituzionali violate:

ART. 3. Uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Un imprenditore che ha sempre rispettato la legge negli ultimi tre anni avrebbe pagato allo Stato 60 milioni in più di chi la stessa legge non ha rispettato. Nei prossimi tre anni l’imprenditore onesto non avrebbe nessuno sgravio fiscale, mentre quello disonesto avrebbe una marea di facilitazioni, alla modica cifra di 24-30 milioni.

ART. 53. Pagamento tasse in virtù della capacità contributiva con criterio di progressività.

L’imprenditore disonesto paga meno tasse (o ha maggiori benefici fiscali) non perché ha guadagnato di meno, ma perché ha violato la legge. Interessante!

ART. 81, ultimo comma. Principio della copertura finanziaria (naturalmente se comprovata la mancata copertura). Una legge che comporta spese non può essere approvata se mancano i mezzi per farvi fronte.

 

7. “Padroni a casa nostra”

È lo slogan con cui il Governo ha lanciato questa “deregulation urbanistica”. Sarà possibile ristrutturare internamente gli edifici, rispettando volumi e facciate, con una semplice denuncia di inizio di attività. Le ristrutturazioni non dovranno però apportare alterazioni ai muri portanti. Il timore che questo genere di interventi legislativi – supportato dalle esperienze precedenti – scateni la diffusione di piccoli e grandi abusi (quanti adeguamenti antisismici verranno fatti?), rendendo ancora più difficili le operazioni di controllo del territorio, è più che fondato.

 

8. Semplificazione burocratica

Anche questo punto appare molto pericoloso. Gli adempimenti burocratici considerati ‘inutili’ sono infatti quelli relativi alla tutela ambientale e alla sicurezza dei lavoratori. Troppe le leggi e troppi i vincoli per gli imprenditori. Il principale provvedimento nel mirino è il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, (decreto “Ronchi”) che aveva finalmente recepito le direttive europee in materia di rifiuti e dato un quadro organico a una legislazione frammentaria e, sotto alcuni aspetti, confusa. In virtù della semplificazione burocratica, si spalanca la porta al mancato rispetto delle regole. Basti pensare all’immenso giro d’affari (spesso illeciti) legato alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti.

 

9. New Economy

Tra le altre cose, viene introdotta la possibilità di sottoscrivere il capitale sociale con uno strumento del tutto nuovo: una polizza assicurativa ad hoc. E ciò per evitare che la bassa capitalizzazione societaria ostacoli la nascita di imprese innovative basate sullo sviluppo di idee. Il fatto che il comparto assicurativo sia uno dei settori in cui ha interessi personali il presidente del Consiglio è un dato puramente incidentale.

 

10. Vedi capitolo “Investire nella ricerca”

 

11. Vedi capitolo “Falso in bilancio”

 

12. Devolution

A più di 180 giorni dall’insediamento del Governo Berlusconi questo argomento, sul quale si era fondata l’alleanza Lega-CdL è ancora in alto mare.

Ancora il 7 dicembre 2001 (su “La Stampa”) Bossi era costretto a dichiarare: “Manca solo l’atto formale finale (…) Si è deciso di rinviare il voto per l’accavallarsi con altri impegni”. Peccato che lo stesso giornalista faceva notare che, in tema di “restituzione” di competenze alle Regioni “è scattata una raffica di interventi, tutti mirati a tutelare le varie competenze ministeriali. Da Gianni Alemanno che cortesemente ma fermamente sconsigliava il trasferimento delle questioni agricole alle regioni, a Letizia Moratti che si dichiarava poco convinta sulla necessità di dover fare a meno dei suoi compiti sull’Istruzione, fino a Sirchia che nutriva dubbi su un sistema sanitario regionale e a Altero Matteoli davvero poco entusiasta di rinunciare ad alcune sue competenze per la tutela dell’ambiente. Per non parlare del ministro dell’Interno, Claudio Scajola, che, assente, ha fatto pervenire una lettera esponendo tutte le sue perplessità sulla polizia locale”.

 

...“Un solo articolo di legge, con due commi: una settantina di parole per aggiungere qualche norma all’articolo 117 della Costituzione, che fissa i poteri alle Regioni. Alla fine, è tutta qui la ‘devolution’ bossiana, quella sulla quale il leader della Lega lancia proclami e prepara disegni di legge da quando si è insediato al dicastero delle Riforme. Soltanto venti giorni fa Umberto Bossi aveva portato in Consiglio dei ministri un testo ben più ‘pesante’: quattro articoli, per almeno sette cartelle di testo. (…) Doveva essere «la riforma della riforma», ma poi i mugugni dei «governatori» – guidati dal presidente Ghigo con alle spalle l’appoggio del Quirinale – e dei centristi del Polo, hanno portato a più miti consigli il Governo: la norma varata ieri è molto semplice e indica soltanto le materie sulle quali le Regioni hanno competenza piena”. (“La Stampa”, 14 dicembre 2001)

 

Vedremo che, se per il federalismo e la ‘devolution’ basta un solo articolo di legge, ci si è impegnati e concentrati su altri argomenti cari al capo del Governo…

 

La pensione della mamma di Simone

 

“Mia madre è una pensionata da 670 mila lire al mese. Se Silvio non mantiene la promessa, fatta in campagna elettorale, di alzare a un milione le pensioni minime, sono finito”. (Simone Baldelli, capo dei giovani di Forza Italia)

 

La povera mamma di Simone dovrà molto probabilmente attendere, perché sono solo 600.000, su oltre 6 milioni, gli italiani con la pensione al minimo salita a un milione (516,46 euro) dal 1 gennaio 2002. Un milione e 600.000 dovranno attendere almeno un paio di mesi. E gli altri? In campagna elettorale Berlusconi non aveva promesso subito un milione al mese a tutti i pensionati al minimo?

 

 

La squadra di Governo

 

Il Cavaliere: “Montezemolo sarà un mio ministro, ho avuto la sua parola”. Quando glielo chiedono Silvio Berlusconi si arrabbia: «Ma siamo fuori di testa? Ma vi pare che se non avessi avuto la parola di Montezemolo avrei fatto un annuncio di quel genere?». Se la prende con il centrosinistra, da Rutelli a Fassino, ad Amato, che avevano avanzato qualche dubbio sull’ultimo ‘acquisto’ eccellente della squadra berlusconiana. (“Corriere della Sera” 11 maggio 2001)

 

Cominciamo con il “ministro che non c’è”: nella lista del Berlusconi bis non c’è Luca Montezemolo.

 

Ma ecco i guai giudiziari di alcuni ministri (quelli veri):

 

Berlusconi Silvio (presidente del Consiglio e deputato Forza Italia in Lombardia). Riconosciuto colpevole di falsa testimonianza dalla Corte d’appello di Venezia (reato amnistiato) e, dai giudici di Milano, di corruzione della Guardia di finanza (reato prescritto in appello), di finanziamenti illeciti a Craxi per 21 miliardi (reato prescritto in appello, sentenza confermata in Cassazione), di reati fiscali nell’acquisto dei terreni di Macherio (reato prescritto in primo grado); imputato in due processi per falso in bilancio (uno per 6 miliardi di fondi neri, l’altro per 1500 miliardi) e in uno per corruzione in atti giudiziari (Sme-Ariosto); indagato a Caltanissetta per concorso nelle stragi di Capaci e via d’Amelio (la Procura ha chiesto l’archiviazione alla scadenza dell’indagine); imputato in Spagna per le frodi fiscali di Telecinco. È il primo indagato, nella storia d’Italia, a diventare presidente del Consiglio. (Marco Travaglio e Peter Gomez su “Micromega”)

 

Bossi Umberto (Deputato e ministro, segretario del Carroccio). È stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 8 mesi per violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti (200 milioni da Carlo Sama, tangente Enimont). E poi, nel ‘98, a 7 mesi (primo grado) per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, per gli scontri inscenati dai vertici leghisti dinanzi alla sede milanese di via Bellerio all’arrivo della polizia inviata per una perquisizione dal procuratore di Verona, Guido Papalia. E ancora nel 2001 a Cantú, sempre in primo grado, a 1 anno e 4 mesi per vilipendio della bandiera (un giorno aveva rivelato che lui il tricolore lo usava “per pulirsi il culo”). Bossi è poi indagato per attentato all’integrità dello Stato dalla Procura di Verona, per le presunte attività illegali con tanto di armi delle “camicie verdi”: finora la Camera l’ha salvato dal rinvio a giudizio, dichiarandolo “insindacabile”. È ministro per le Riforme. (Marco Travaglio e Peter Gomez su “Micromega”)

 

Maroni Roberto (Deputato e ministro della Lega Nord). Il vice di Bossi è accusato in tre inchieste: per resistenza e oltraggio (durante la perquisizione della sede della Lega, a Milano) è stato condannato a 8 mesi in primo grado per reati contro lo Stato, a Verona, come “capo delleCamicie Verdi”. Non ha potuto essere ministro della Giustizia. Gli hanno dato il Welfare. (“Il Venerdì” di “Repubblica”)

 

Pisanu Giuseppe (Deputato e ministro di Forza Italia). Come per altri parlamentari, il suo nome fu trovato negli elenchi della P2. Ex Dc, amico di Flavio Carboni, fu più volte interrogato sul caso Calvi-Ambrosiano e, nella sua testimonianza, Angelo Rizzoli lo indica come referente di Tassan Din e dello stesso Carboni. Nell’‘83 si dimette dal Governo (è sottosegretario) proprio in seguito al caso P2. Dopo 10 anni rinasce come forzista. Oggi è ministro “per l’attuazione del Programma”. (“Il Venerdì” di “Repubblica”)

 

Scajola Claudio (Deputato e ministro di Forza Italia). Eletto a Imperia, è il primo ministro degli Interni ad aver conosciuto il carcere (71 giorni, tra il 1983 e l’‘84). Fu poi prosciolto e rieletto sindaco della sua città. La vicenda che lo coinvolse era quella relativa a un appalto per la gestione del Casinò di Sanremo, che vide la mafia tentare di appropriarsi di quel luogo ideale per il riciclaggio. Scajola era accusato di aver incontrato, in Svizzera, il conte Borletti (altro concorrente) e aver ottenuto 50 milioni per il partito. Il giudice istruttore lo prosciolse: aveva ammesso l’incontro, ma non di aver ricevuto il denaro. (“Il Venerdì” di “Repubblica”)

 

E di alcuni sottosegretari:

 

Brancher Aldo (Deputato e sottosegretario di Forza Italia). Ex paolino, ex manager di “Famiglia Cristiana”. Abbandona l’abito in contrasto con i suoi superiori (in particolare con il direttore, don Zega) e diviene manager di Publitalia. Nel’‘93 è arrestato per tangenti, non ammette nulla. Nel ‘99 è condannato a due anni e otto mesi (primo grado). In seguito diventa responsabile di FI nel Nord e candidato nel Veneto. È sottosegretario di Bossi, al ministero delle Riforme. (Marco Travaglio e Peter Gomez su “Micromega”)

 

Colucci Francesco (Deputato di Forza Italia). Ex socialista, condannato nel ‘94 per voto di scambio, il deputato milanese è stato poi assolto dopo un lungo iter giudiziario. Nel ‘92 gli trovarono un archivio informatico con migliaia di nomi e “interventi”: dalle assunzioni a favori vari. Difeso dall’avvocato Domenico Contestabile, il parlamentare che ha chiesto l’amnistia per i reati di Tangentopoli. (Marco Travaglio e Peter Gomez su “Micromega”)

 

D’alì Antonio (senatore di Forza Italia). Il neo-sottosegretario agli Interni è membro di una nota famiglia del trapanese che è stata oggetto di indagini per i suoi rapporti con i Messina Denaro (Matteo Messina Denaro, latitante, è indicato come uno dei nuovi capi di Cosa Nostra). Il vecchio Francesco Messina Denaro, capomafia di Trapani, fu storico ‘campiere’ dei D’Alì, grandi proprietari agricoli (campieri o stallieri, sembra un vezzo in Forza Italia); Matteo fu dipendente fino al ‘94. Membri della famiglia D’Alì, inoltre, erano stati oggetto di inchiesta della polizia anche come soci della ex Banca Sicula che fu sospettata di essere strumento di riciclaggio della mafia. (Marco Travaglio e Peter Gomez su “Micromega”)

 

Iole Santelli: un viceministro in conflitto (con se stessa)…

Fino a diverso tempo fa è stata l’assistente dell’attuale Presidente del Senato, Marcello Pera.

Sarebbe interessante sapere con che tono affrontavano i problemi relativi alla giustizia. Perché, se c’era un parlamentare che fino a 4-5 anni fa tuonava contro il malaffare, la corruzione, e si ergeva a paladino dei magistrati che qualcosa hanno fatto per reprimere i fatti penalmente rilevanti all’interno della pubblica amministrazione, questi era Marcello Pera.

Evidentemente devono aver litigato, perché prima di diventare viceministro al ministero di Grazia e Giustizia, Iole Santelli ha svolto la propria attività di volontariato socio-politico quale praticante dello studio legale di Cesare Previti.

In questo studio si sarà affinata sulle tecniche giuridiche per cui lo studio Previti e i suoi membri sono competenti.

Al di là della competenza, sicuramente Iole Santelli sarà a conoscenza di tutte le posizioni processuali e difensive di Cesare Previti in quei tribunali dove viene processato per diversi reati.

Qui non si discute la competenza giuridica del vice ministro, ma colpisce lo strano valzer cui è costretta nella famosa querelle giudiziaria che vede protagonista il titolare dello studio presso cui ha fatto pratica professionale.

Infatti, in quel processo che vede Cesare Previti imputato di corruzione in atti giudiziari, lo Stato italiano si è costituito parte civile, cioè, essendo parte lesa e danneggiato dal comportamento contestato all’imputato Previti, chiede che venga riconosciuto il risarcimento dei danni subiti dall’amministrazione della Giustizia.

E quindi, in questo momento Iole Santelli si sta prodigando affinché lo Stato riesca a far valere le proprie ragioni contro Cesare Previti.

Manca di riconoscenza un tipo così. Sta lottando contro colui che le ha dato la possibilità di affinarsi nella tecnica giuridica.

E allo stesso tempo, abbiamo visto Iole Santelli presente agli incontri sulla Giustizia che ogni tanto si svolgono nell’ufficio di Berlusconi, presente lo stesso Previti e Marcello dell’Utri, altro esperto di cose processuali, oltre a Carlo Taormina che sta combattendo la propria battaglia contro un’istituzione dello Stato: la magistratura.

 

…E un Ministro perennemente in conflitto (di interessi)

 

Abbiamo segnalato come il ministro Lunardi ha ‘risolto’ il conflitto di interessi che lo riguardava.

Non contento, come primo atto ha nominato il sig. Giovanni Paolo Gaspari (figlio di un mitico ministro democristiano) membro della propria segreteria tecnica delegandolo ad affrontare i problemi degli appalti sull’alta velocità.

Giovanni Paolo Gaspari è responsabile dei rapporti finanziari della TAV, la società consorzio che gestisce i lavori nelle varie zone d’Italia.

In pratica a un incontro fra la TAV e il ministero potrebbe andarci da solo, fare le proposte e accettarsele da solo.

Oppure mandare per l’una o per l’altra parte un suo subordinato che, qualora sorga un nuovo problema, gli dovrà pur chiedere cosa ne pensa. E allora il subordinato deve dire: dr. Gaspari, su questo argomento non ero pronto, aspetti che chiamo il dr. Gaspari per avere suggerimenti…

Secondo atto: ha nominato direttore dell’Anas il sig. Antonio Pozzi, attuale amministratore delegato della società Raccordo autostradale della Val d’Aosta. Questa società ha concesso appalti per miliardi a Lunardi. A esempio Lunardi è il progettista del raccordo della Val d’Aosta e verrà pagato al 4 per mille delle spese complessive (inizialmente a 700 miliardi e ora a 2 mila miliardi, di cui il 65% pagati dallo Stato). Per lo Stato i controlli sulle spese vengono fatti dall’Anas.

Ricapitoliamo: Lunardi ha progettato un’autostrada e verrà pagato sulla base delle spese della società costruttrice. Questa viene controllata dall’Anas. L’Anas verrà guidata dal sig. Pozzi Antonio, che è il numero 1 della Rav.

Chi controllerà alla fine l’operato dell’Anas e della Rav? Ma lui, Lunardi!

Suona quanto mai profetica la famosa frase pronunciata dal ministro: «Le cosche ci sono sempre state e sempre ci saranno. Dovremo convivere con questa realtà».

 

Sua Eccellenza l’avv. dott. prof. on. sott. segr. Carlo Taormina

 

“Berlusconi deve fare non uno ma dieci passi indietro”. “La sua presenza danneggia l’evoluzione del Paese” perché “il suo conflitto permanente di interessi tra politica e magistratura, da una parte, e ricerca di una personale libertà dai processi dall’altra, impedisce la soluzione della questione giustizia”. (Testimonianza di Carlo Taormina del 1998, riportata da Gian Antonio Stella in “Tribù”)

 

“Si cominci a mettere in fila i nomi dei magistrati che hanno sbagliato a Milano, a Palermo, a Roma e Perugia e così via e siano immediatamente processati”. Il sottosegretario Carlo Taormina prende spunto dalle motivazioni della sentenza di assoluzione di Berlusconi dall’accusa di aver pagato tangenti alla Guardia di Finanza per attaccare a testa bassa i magistrati e in particolare Giuseppe Gennaro, presidente dell’associazione nazionale magistrati. (Repubblica, 8 novembre 2001)

 

“Si dovrebbe dimettere da parlamentare. (Previti n.d.a.) Nessun avvocato al mondo ha visto mai una parcella da 21 miliardi di lire. È indifendibile sul piano politico. E non c’è dubbio che rappresenta un enorme problema per Forza Italia. Come imputato ha tutto il diritto di difendersi, ma dovrebbe dimettersi da parlamentare”. (Testimonianza di Carlo Taormina riportata da Gian Antonio Stella in “Tribù”)

 

Il sottosegretario agli Interni Carlo Taormina, in veste di giudice dei giudici, chiede l’arresto dei magistrati milanesi. Questa volta non si tratta dei terribili pubblici ministeri di Mani pulite ma di un collegio giudicante che ha osato interpretare a suo modo una sentenza della Corte Costituzionale. “Si va in galera con molto meno”, ha detto Taormina, commentando una decisione del giudice Laura Conte, presidente della prima sezione penale che dovrà giudicare Cesare Previti ed altri imputati per corruzione in atti giudiziari. E ha proseguito: “Questo non è un confronto giudiziario, questa è una guerra che la magistratura di Milano ha dichiarato a Berlusconi in quanto esponente della maggioranza del paese”. (“Il Manifesto”, 18 novembre 2001)

 

Da un lato, come esponente del Governo, Taormina riceve le telefonate di Berlusconi, Letta, Scajola che lo invitano a compiere al più presto un atto di contrizione rinunciando ai suoi incarichi professionali e, dall’altro, lui prende un volo per la Puglia, viene caricato su un’auto blindata e con tanto di poliziotti al seguito si presenta nell’aula Metrangolo del palazzo di Giustizia brindisino per difendere, ancora una volta il boss della Sacra corona unita Francesco Prudentino.

Quando la scorta del ministero lo scarica a Roma, per Taormina è la volta delle interviste per giustificare quella che lui non vuol sentir definire una ‘resa’: “Soltanto gli stupidi si ostinano a mantenere posizioni inopportune. Le persone intelligenti sanno quando è il momento di correggere il tiro” dice al “Corriere della Sera”. E aggiunge: “Credo di aver dato una prova di grande sensibilità”. Certo, quella di continuare a fare il sottosegretario di Stato e l’avvocato difensore del contrabbandiere Prudentino. Quella di usare la macchina del ministero e la scorta per fare, come se nulla fosse, il suo mestiere, del tutto privato, di legale. (www.repubblica.it)

 

“Non parlo più”, ha detto stamane a Potenza, dove si trovava per seguire una causa, il sottosegretario all’Interno Carlo Taormina, rifiutandosi di ribattere ai commenti di numerosi esponenti politici sulla sua ultima, criticata presa di posizione. (www.cnn.it, 22 novembre 2001)

 

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha lanciato mercoledì un appello affinché le istituzioni rispettino “il limite delle proprie competenze”. La presa di posizione del capo dello Stato arriva in un momento di tensione tra magistratura e governo per le dichiarazioni rilasciate di recente dal sottosegretario all’Interno Carlo Taormina. (www.cnn.it, 22 novembre 2001)

 

“Mi sembra che il presidente abbia giustamente richiamato la magistratura” ha detto Taormina riferendosi alle parole di Ciampi. Alla domanda se non si sentisse richiamato dal discorso del capo dello Stato, il sottosegretario all’Interno ha risposto: “Assolutamente no perché da parte mia non c’è stata alcuna interferenza (...). Da parte mia c’è stata solo critica che è garantita dall’articolo 21 della Costituzione”.

Alle accuse dell’opposizione di centrosinistra, Taormina ha replicato escludendo la possibilità di sue dimissioni: “Non ci penso nemmeno. Io resto dove sto. Devo fare il mio lavoro. Basta per favore con le polemiche. Non è delle mie parole che vi dovete sorprendere ma del fatto che dei magistrati hanno calpestato una decisione della Corte Costituzionale”. (www.cnn.it, 22 novembre 2001)

 

Carlo Taormina non è più sottosegretario al ministero dell’Interno. La lunga vicenda politica aperta dalle dichiarazioni polemiche sulla magistratura si è chiusa con l’intervento del ministro Claudio Scajola al Senato che ha dato notizia di una lettera di Taormina al presidente del Consiglio. Nella lettera, ha detto Scajola, Taormina mette a disposizione il suo mandato. Scajola ha poi ringraziato pubblicamente Taormina per la decisione ‘difficile’ di dimettersi, e per l’operato svolto al Viminale. Si conclude così il ‘caso’ che aveva creato non poche difficoltà alla maggioranza.

“Metto a disposizione il mio mandato. E chiedo alla sinistra, al centro e alla destra di riconoscere la coerenza con la quale ho affrontato i temi della giustizia. E mi batterò sempre perché non ci siano magistrati incapaci, corrotti e politicizzati”, si legge nella lettera.

(www.cnn.it, 4 dicembre 2001)

 

La giunta dell’Associazione nazionale magistrati, con un’iniziativa senza precedenti, ha dato le dimissioni in blocco per protestare contro le “accuse reiterate e frutto di eccezionale violenza” mosse dalla Casa delle Libertà nei confronti della magistratura. In particolare, sotto accusa sono le dichiarazioni del ministro della Giustizia Roberto Castelli, nella bozza di documento presentata martedì al Senato e che ha preceduto le dimissioni del sottosegretario all’Interno Carlo Taormina.

Le parole con le quali la Casa della Libertà, nel documento presentato da Castelli, ha preso posizione sulla vicenda Taormina, sono apparse all’Anm ancora più lesive della magistratura di quelle pronunciate a suo tempo dall’ex sottosegretario, e che hanno portato poi alle dimissioni.

“Resto convinto che la magistratura deve restare indipendente – aveva detto martedì il ministro Castelli – ma la politica deve essere al riparo da attacchi strumentali da parte dei magistrati”. “La vicenda delle toghe rosse – ha replicato il presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro – è un pretesto dietro il quale si nasconde la volontà politica di controllare il pubblico ministero e l’esercizio imparziale e indipendente della giurisdizione. Si mette così in crisi l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale. Oltretutto è la prima volta che un ministro della Giustizia discute in termini di assoggettamento del pm all’esecutivo”.

(www.cnn.it 5 dicembre 2001)

 

Ruggiero, voglia di Euro saltami addosso

«Non voglio esercitare pressioni su Berlusconi più di quante già immagino abbia, ma Ruggiero rappresenta proprio quello che vogliamo cambiare». (“Corriere della Sera”, 23 maggio 2001)

Chi si esprime così è Bossi. La CdL ha appena vinto le elezioni e già scoppiano le prime polemiche e i veti incrociati sugli incarichi di governo. A Berlusconi è già sfuggito il nome prestigioso di Montezemolo e non può certo presentarsi al cospetto dell’Europa con uno Scajola, un Urbani o un Casini qualsiasi come ministro degli Esteri… del resto Urbani lo aveva detto:

 

“…è chiaro che al Quirinale si sta affrontando anche il delicatissimo nodo della Farnesina, dove al pari del Viminale servirà una personalità in sintonia con il futuro premier”. (“Corriere della Sera”, 17 maggio 2001)

 

Non possiamo credere che un diplomatico come Ruggiero (dopo tutto il tempo che si è preso per dare la sua disponibilità) non avesse detto chiaramente al “futuro premier” quali fossero le sue idee in tema ‘esteri’: ma allora le idee chiare chi è che non le aveva (e continua a non averle)?

È datato 22 maggio il successivo scontro: Rocco Buttiglione prende di mira Ruggiero ai tempi dell’opa Edf su Montedison. È uno scontro indiretto, che ha come posta le nuove regole sulle scalate ostili all’esame di Strasburgo. Il ministro delle Politiche Comunitarie saluta la bocciatura (per un solo voto) della direttiva Ue sulle offerte pubbliche d’acquisto come un salutare «schiaffo alla Francia», mentre il titolare della Farnesina esprime all’opposto tutto il suo rammarico: «Noi italiani saremmo stati più protetti da questa direttiva».

Si arriva così all’estate e, passato con fatica l’appuntamento del G8, si pone il problema del prossimo vertice sull’alimentazione. Ruggiero, contro il parere dello stesso Berlusconi, insiste perché il summit della Fao si tenga a Roma. Buttiglione lo vorrebbe all’estero. Per la Farnesina un eventuale trasferimento sarebbe invece uno ‘smacco’ e un cedimento alla paura della piazza.

Con la Lega c’è un problema culturale e ideologico. Il Carroccio mette in guardia sui pericoli legati all’immigrazione dei musulmani in Italia, mentre Ruggiero non si stanca di ripetere il suo ‘no’ alle guerre di religione, allo scontro di civiltà. «L’attenzione prioritaria dell’Italia – predica il ministro – continua a essere rivolta verso i paesi arabi e islamici, la loro civiltà, la loro cultura, la loro religione».

Arriva così agosto e si apre anche un altro scontro: quello sul progetto dell’Airbus A400M, l’aereo militare da trasporto europeo che il ministro della Difesa Antonio Martino, sentiti i vertici dell’Aeronautica, definisce non utile alle nostre Forze armate. Ruggiero ne fa un caso politico, di partecipazione europea; dopo il vertice di Laeken, l’Italia non ha confermato l’ordine di 16 esemplari.

Sempre con Martino, è scontro sull’invio di truppe in Afghanistan: Rug-giero annuncia partenze che, secondo il ministro della Difesa, non sono di sua competenza. In interviste successive, il capo della diplomazia insiste: a lui tocca la gestione politica, sostenendo che la Difesa deve limitarsi a fornire mezzi e uomini secondo possibilità.

 

Infine lo scontro decisivo. I primissimi giorni dell’anno l’agenzia britannica Reuters ha così sintetizzato nel titolo di una corrispondenza da Roma sulle reazioni politiche all’arrivo dell’Euro: «I ministri italiani fanno del loro meglio per intaccare l’euforia». «Purtroppo questa è la pura verità» afferma Ruggiero, riferendosi soprattutto a Bossi che, in dicembre, ha dichiarato: «Noi siamo per dare all’Europa il meno possibile».

Ma il nostro capo del Governo, proprio a seguito di queste precisazioni del ministro degli Esteri, ribadisce che: “Ruggiero è un ministro tecnico e in questa veste io l’ho chiamato al governo: non c’è alcuna possibilità che quel che dice abbia conseguenze politiche”, ancora una volta smentendo se stesso, quando aveva tracciato pubblicamente, a “Porta a Porta”, prima ancora delle elezioni, l’identikit del suo candidato per questo ruolo: un uomo in grado di fare una politica bipartisan per l’Unione Europea e l’Alleanza atlantica.

A questo punto Ruggiero sbatte la porta: “Se tecnico significa ‘esperto’”, confida a chi gli sta vicino, “la cosa mi va benissimo, ma se con quella parola si vuole intendere mero esecutore o, peggio, funzionario di Arcore, allora non posso starci”, e presenta le sue dimissioni. Con gran sconcerto della stampa europea, che sottolinea questa ennesima figuraccia, proprio durante un evento importante come l’avvento dell’Euro.

 

 

Meno tasse per tutti?

 

Il Governo mette a punto la Finanziaria e si accende una nuova polemica sulle tasse. La manovra recupera 33 mila miliardi fra tagli e risparmi di spesa. (…) Ma una buona parte di queste risorse, circa 2.300 miliardi, viene recuperata con la sospensione dei tagli delle aliquote Irpef già programmati nell’ultima Finanziaria. La decisione del Governo, illustrata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dal viceministro Mario Baldassarri negli ultimi incontri di ieri, è stata accolta con stupore dai sindacati. L’ex ministro del Tesoro, Vincenzo Visco, attacca: «Il governo Berlusconi non solo non diminuisce le tasse, ma le aumenta rispetto a quanto fatto dal Governo di centrosinistra. Questo dimostra le falsità delle promesse fatte in campagna elettorale». (…) a sorpresa, il Governo ha annullato anche la diminuzione delle aliquote Irpef già prevista. Nel dettaglio: dal primo gennaio 2002 il prelievo per i redditi da 20 a 30 milioni sarebbe dovuto scendere dal 24 al 23%, inoltre era attesa la riduzione di mezzo punto percentuale per tutti gli altri scaglioni di reddito. (“Corriere della Sera”, 28 settembre 2001)

 

….La questione della mancata diminuzione delle tasse è talmente clamorosa che si è arrabbiato persino Vittorio Feltri. Su “Libero”, il primo agosto, ha scritto: “Se non stimassi Tremonti, per non dire di Berlusconi, sospetterei che ci hanno preso per il culo”.

Infatti le aliquote Irpef oggi in vigore per i corrispondenti scaglioni di reddito, (18% per redditi fino a 20 milioni, 24% per i redditi compresi oltre i 20 e fino a 30 milioni, 32% fino a 60 milioni, 39% fino a 135 e 45% per redditi oltre i 135 milioni), con la nuova riforma,  saranno sostituite da due aliquote rispettivamente al 23% per i redditi fino a 100.000 euro (circa 200 milioni di lire) e del 33% oltre il suddetto importo.

 

Ecco i risultati della riforma:

 

Reddito             Attuale           Futura     DIFFERENZA

(in lire)             imposta         imposta             

 

20.000.000    3.600.000      4.600.000      +1.000.000
25.000.000    4.800.000      5.750.000         +950.000
30.000.000     6.000.000      6.900.000         +900.000
35.000.000    7.600.000      8.050.000         +450.000
40.000.000     9.200.000      9.200.000                    0
50.000.000  12.400.000    11.500.000          -900.000
100.000.000  31.200.000   23.000.000       -8.200.000
135.000.000  44.850.000   31.050.000     -13.800.000
200.000.000  74.100.000   46.000.000     -28.100.000
500.000.000 209.100.000  112.000.000     -97.100.000

 

Insomma, un lavoratore dipendente con un reddito lordo annuo di 25 milioni di lire pagherà 950.000 lire di tasse in più all’anno! Chi invece ha un reddito lordo di 135 milioni si vedrà aumentare il suo gruzzolo di più di 13 milioni!!! Questo, oltre a essere in contrasto con il famoso slogan “Meno tasse per tutti”, è in palese contrasto con l’art. 53 della Costituzione che specifica: “Il sistema tributario sia informato a criteri di progressività”. Questo vuol dire che chi guadagna di più dovrebbe maggiormente contribuire alla spesa sociale e non viceversa.

Su un altro aspetto, invece, Tremonti sembra avere le idee più chiare. al ministero delle Finanze, è stato rimosso il direttore dell’agenzia delle entrate Massimo Romano, che si era distinto (oltre che per essere riuscito a incrementare in maniera eccezionale il gettito fiscale) per accertamenti fiscali presso grandissime aziende, tra cui quella del capo del Governo, contestandogli l’elusione miliardaria della legge che porta proprio il nome del ministro: Tremonti.

 

 

Investire nel campo della formazione

 

“(…)

Non c’è più tempo da perdere. Se l’Italia vuole davvero contare nel mondo integrato dell’economia dovrà investire, dovrà investire molto nel campo della formazione, dell’università, della ricerca. Investire nel capitale umano è il modo migliore non solo per rendere competitive le nazioni, per aumentarne la ricchezza, ma soprattutto per aiutare chi oggi non è in grado di trarre vantaggio dalla globalizzazione”. (Silvio Berlusconi, discorso per la fiducia al Senato)

 

Ecco allora l’attesa Finanziaria 2002, che all’articolo 13, comma 7 dice testualmente: “(…) Sono abrogati il comma 5 dell’articolo 4 e l’articolo 9 della legge 10 dicembre 1997, n. 425, e successive modificazioni”.

Questo articolo stanziava 33 miliardi l’anno per i compensi ai docenti che partecipano agli esami di Maturità.

È così che si comincia ad “investire nel capitale umano”: tagliando gli investimenti per i docenti!

 

Fa eco il ministro dell’Istruzione Moratti, che dichiara subito dopo l’approvazione della Finanziaria (“Corriere” 12 ottobre 2001): “Chi è già nella scuola resta al lavoro, ma vanno contenute e controllate le supplenze e gli abusi del loro utilizzo” e aggiunge che intende far scendere l’incidenza degli stipendi sull’intera spesa per l’istruzione dall’attuale 95,6 per cento all’80 per cento. Questo allo scopo di liberare risorse per migliorare la qualità dell’istruzione, poiché “è ancora da dimostrare che l’aumento del personale produce automaticamente una scuola migliore”.

Analizziamo i 5 passi giusti per la scuola migliore contenuti nella Finan-ziaria 2002:

1.   la dotazione del personale viene costituita in base al numero di alunni, e non di classi. (comma 1 art. 13 Finanziaria 2002)

2.   aumento delle ore di lavoro in classe; (comma 3 art. 13)

3.   si sopprimono le cattedre composte dagli spezzoni orari (oltre 40.000!); (comma 3 art. 13)

4.   se un insegnante dovesse assentarsi per meno di 15 giorni, non potrà più essere sostituito da un supplente esterno, ma solo da un collega della stessa scuola non necessariamente dell’identica materia; (comma 5 art. 13)

5.   vengono eliminate le figure degli insegnanti specialisti (coloro i quali insegnano una lingua straniera) dalla scuola elementare, togliendo così lavoro a circa 7.000 persone. (comma 4 art. 13)

 

Tutto questo perché:

“(…) Il nostro obiettivo è dunque quello di realizzare un sistema formativo di qualità e di libertà, una scuola correlata al mondo della cultura ma anche del lavoro, dell’impresa, della produzione, una scuola che sappia garantire ai nostri figli un avvenire sicuro.

(…)

Sento che l’Italia che ho in mente, di cui abbiamo parlato agli italiani nel corso della campagna elettorale, è quella che gli italiani vogliono. Per questo ci hanno dato fiducia, affidandoci la responsabilità di governare. E l’Italia che vogliamo è (…) un Paese dove tutti abbiano la possibilità di istruirsi”. (Berlusconi, discorso insediamento al Senato)

Certo, ma con meno insegnanti per alunni (punto 1), più ore di lavoro (punto 2), meno docenti (punti 3, 4 e 5)!

Investire nella ricerca

 

Ricordate? Diceva il presidente Berlusconi che, oltre che nella formazione, sarà importante “investire molto nel campo (..) della ricerca”.

E lo stesso ministro per l’Istruzione e la ricerca, Moratti, nel suo documento programmatico dichiarava l’inequivocabile impegno di portare gli investimenti nazionali per la scienza e la tecnologia al livello dell’Unione Europea (2% di media tra spesa privata e spesa pubblica da cui l’Italia è lontana da sempre). Questo, in termini pratici, richiedeva un aumento graduale del finanziamento pubblico, attualmente attestato intorno allo 0,6%.

Ma di questo aumento non c’è traccia nel bilancio dello Stato. Ci sono invece tagli rispetto ai livelli stabiliti nella Finanziaria dell’anno scorso.

 

“140 miliardi di meno per la ricerca universitaria, 105 in meno nel fondo unico degli enti di ricerca ed una diminuzione di 80 miliardi al FIRB, il fondo per progetti di ricerca strategici” secondo quanto affermato da Luigi Berlinguer. (“Repubblica” 23 ottobre 2001)

E come non bastasse, Marcello Pacini, deputato di Forza Italia ed ex direttore della Fondazione Agnelli, ha scritto su “La Stampa” che il modo per risolvere sul serio il problema della ricerca scientifica in Italia è uno solo: abolire il CNR.

 

 

Falso in bilancio

 

Pietra dello scandalo è la norma che stabilisce le sanzioni per il reato di falso in bilancio. Secondo l’opposizione le modifiche introdotte alla Camera (a cui ha dato un contributo in commissione il deputato di Forza Italia Niccolò Ghedini, componente del collegio di difesa di Berlusconi) e ora confermate dal Senato avrebbero l’effetto di sanare la posizione giudiziaria di Berlusconi in tre processi nei quali è coinvolto: All Iberian, Sme e Milan. Gli emendamenti apportati a Montecitorio riducono le pene, con l’effetto di ridurre anche drasticamente i termini di prescrizione. Se il reato non apporta danno ai soci, è punibile con una pena fino a un anno e sei mesi. Se invece c’è danno, allora la pena sale fino a tre anni ma il reato viene perseguito solo su querela di parte. Nel caso di società quotate la pena massima arriva invece a quattro anni e il magistrato agisce d’ufficio: oggi si rischiano fino a cinque anni. «Usufruendo della sua posizione il presidente del Consiglio ottiene la prescrizione dei reati per i quali è processato. È una totale diseguaglianza di fronte alla legge e ad altri cittadini», ha affermato Angius. (“Corriere della Sera”, 29 settembre 2001)

 

“…ribadisco che la mia storia di imprenditore nel settore delle comunicazioni e la mia coscienza personale non autorizzano alcuno a sospettare, nella mia azione istituzionale, fini diversi da quelli del bene comune…”. (Berlusconi, discorso programmatico in Senato)

 

All Iberian: piuttosto che continuare un processo minato dalle norme sopraggiunte, l’accusa lascia intendere di voler chiedere il «non luogo a procedere» per gli imputati di aver falsificato bilanci Fininvest per oltre mille miliardi fino al 1994. Gli imputati, compreso Berlusconi, tramite uno dei suoi difensori, hanno ieri chiesto l’inutilizzabilità (grazie alla nuova legge) delle rogatorie (...). È la seconda volta che l’imputato Berlusconi chiede di avvalersi della nuova legge: è già accaduto nel processo per l’acquisto «in nero» del calciatore Lentini. (“Corriere della Sera”, 14 novembre 2001)

 

“La chiave di tutto, secondo la più alta istituzione finanziaria del Paese, che nella sua autonomia e indipendenza rappresenta anche un saldo punto di riferimento dentro e fuori l’Italia, è proprio nel recupero di competitività del nostro sistema sui mercati internazionali. A questo scopo occorre attirare in Italia una quota maggiore di investimenti esteri”. (Berlusconi, discorso programmatico in Senato)

“No, non è in discussione solo l’interesse dei soci e dei creditori. Se diventa quasi lecito falsificare i bilanci viene intaccata la trasparenza e vengono alterate le regole della concorrenza. Per di più, vengono scoraggiati gli investitori stranieri: che dovrebbero fare, le imprese di altri paesi intenzionate a investire in Italia? Adattare la loro contabilità alle regole italiane, per non restare svantaggiate nella concorrenza? O mantenere le loro regole affrontando i rischi della differenza? Nel dubbio, io credo, rinuncerebbero a investire.

Penso che i problemi di trasparenza e di concorrenza originati dalla quasi depenalizzazione del falso in bilancio siano di competenza dell’Unione Europea. Che in materia ci siano delle regole da cambiare, pare certo: ma è molto grave che si approfitti di una tale esigenza per far passare norme che riguardano non l’interesse pubblico bensì quello privato. Le autorità europee potrebbero indicare le linee di una riforma rispondente all’interesse pubblico e conforme alle regole valide in Europa”. (Paolo Sylos Labini, “Repubblica”, 8 agosto 2001)

 

 

Rientro capitali

 

DECRETO-LEGGE 25 settembre 2001, n. 350

Disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’Euro.

(…)

Capo III – EMERSIONE DI ATTIVITà DETENUTE ALL’ESTERO

Art. 12. Rimpatrio 1. Nel periodo tra il 1 novembre 2001 e il 28 febbraio 2002 gli interessati fiscalmente residenti in Italia che rimpatriano, attraverso gli intermediari, denaro e altre attività finanziarie comunque detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto fuori del territorio dello Stato, senza l’osservanza delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 167 del 1990, possono conseguire gli effetti indicati nell’articolo 14 con il versamento di una somma pari al 2,5 per cento dell’importo dichiarato delle attività finanziarie medesime, che non è deducibile, né compensabile, ai fini di alcuna imposta, tassa o contributo. Le attività così rimpatriate possono essere destinate a qualunque finalità.

 

Guardando solo al titolo di questo decreto legge, potrebbe sembrare che si stia parlando dell’Euro e dei problemi connessi alla sua introduzione; eppure, approfondendo la cosa, si arriva al famigerato CAPO III: chi si fosse trovato nella imbarazzante situazione di convertire il proprio denaro (mai dichiarato in Italia) in Euro (da utilizzare successivamente in Italia) adesso può farlo pagando una imposta una tantum pari al 2,5% del capitale versato. Come? Leggiamo l’articolo 13:

 

Art. 13. Adempimenti 1. Gli interessati presentano agli intermediari una dichiarazione riservata delle attività finanziarie rimpatriate, conferendo l’incarico di ricevere in deposito le attività provenienti dall’estero. (…)

2. Gli intermediari versano la somma di cui all’articolo 12 (…) entro il termine previsto per il versamento delle ritenute relative al mese di ricezione della dichiarazione riservata. (…)

3. Gli intermediari rilasciano agli interessati copia della dichiarazione riservata. Gli intermediari comunicano all’amministrazione finanziaria (…) l’ammontare complessivo delle attività rimpatriate, quello delle somme di cui all’articolo 12, comma 1, versate (…) senza indicazione dei nominativi dei soggetti che hanno presentato la dichiarazione riservata.

 

Ma chi sono questi intermediari? “le banche italiane, le società d’intermediazione mobiliare (…), le società di gestione del risparmio conto terzi (…), gli agenti di cambio iscritti nel ruolo unico (…), le Poste italiane S.p.a., le stabili organizzazioni in Italia di banche e di imprese di investimento non residenti”. (art. 1)

 

E quali sono gli effetti di questo “rimpatrio di capitali”? Art. 14. Effetti del rimpatrio 1. (…) il rimpatrio delle attività finanziarie (…)

a) preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo (…) limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio;

b) estingue le sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali (…) relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate;

c) esclude la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, nonché i reati di cui al decreto-legge n. 429 del 1982 (…) relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate.

2. Fermi rimanendo gli obblighi in materia di antiriciclaggio (…) gli intermediari non effettuano le comunicazioni all’amministrazione finanziaria previste dall’articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 167 del 1990. Gli intermediari non devono comunicare all’amministrazione finanziaria, ai fini degli accertamenti tributari, dati e notizie concernenti le dichiarazioni riservate, ivi compresi quelli riguardanti la somma e i titoli di cui all’articolo 12, commi 1 e 2.

 

È certo che questo decreto non è stato pensato per il rientro di capitali di tanti, onesti lavoratori italiani all’estero (altrimenti non si spiegherebbe la possibilità dell’anonimato), e certo non di capitali “puliti” (altrimenti non si capisce il perché della non punibilità). In sostanza non si tratta di capitali ‘esuli’ (è quindi sbagliato l’uso che si fa della parola ‘rimpatrio’) ma (nella migliore delle ipotesi) di somme uscite illegalmente dall’Italia che si riaccettano con tutti gli onori: detassazione (a parte un misero 2,5%), depenalizzazione, esonero dagli accertamenti della finanza e anonimato!

Se questi capitali, al contrario, fossero rimasti in Italia, ci sarebbero stati più entrate per lo Stato (tramite le imposte riscosse), meno debito pubblico, più posti di lavoro, quindi noi tutti cittadini abbiamo pagato i costi di queste scelte privatissime e illegali!

Come giustamente ha dichiarato l’on. Castagnetti in Parlamento, durante il dibattitto sul decreto: “Perché l’identità di chi rientra, di chi beneficia di un trattamento privilegiatissimo deve essere nascosta? Perché gli italiani, che non hanno evaso, che non hanno fatto false fatturazioni, che non hanno riciclato la propria ricchezza, che non hanno avuto paura della patrimoniale, non dovrebbero conoscere l’identità dei loro connazionali che si sono avvantaggiati e che anche oggi si avvantaggiano dell’onestà altrui? (…) Come la mettiamo con i cittadini onesti, che hanno tenuto qui in Italia i loro soldi pagandoci le tasse venti o trenta volte di più? Che ne è dell’articolo 3 della Costi-tuzione? (…) Dopo questa serie di provvedimenti, perché si dovrebbero fare ancora bilanci aziendali veri? Perché non utilizzare territori stranieri come base per consumare reati in territorio nazionale? Perché non evadere il fisco? Perché non fare false fatturazioni? Perché? Una volta avremmo potuto rispondere: per la nostra coscienza, perché abbiamo un senso civico, delle virtù personali, perché c’è la legge. Ma se oggi la legge lo consente? Allora, è giusto fare così. Ciò che è consentito, è bene. Ecco come è possibile cambiare pelle, cambiare il senso della legalità, cambiare la civiltà giuridica di un paese”.

 

 

Rogatorie

 

Giovanni Pozzi è un ricco uomo d’affari: capelli lunghi, abiti eleganti e casa a Brunello, nel Varesotto. Ma cosa c’entra con Berlusconi?

Torniamo indietro di qualche mese.

 

“Con questa legge non succede niente: nessuno esce dal carcere, non c’è decorrenza dei termini. La sinistra ha fatto una battaglia infondata, ha fondato il club della menzogna”. (Silvio Berlusconi, conferenza stampa di Bruxelles davanti ai giornalisti di tutto il mondo, 10 ottobre 2001)

Questo era quanto affermato subito dopo l’approvazione in Parlamento della legge sulle rogatorie dal presidente del Consiglio.

 

Per capire bene questa storia, dobbiamo tornare ancora più indietro.

È il 1998, quando tra Svizzera e Italia si stipula un accordo che comincia così: “La Repubblica italiana e la Confederazione Svizzera, desiderose di semplificare nei rapporti tra i due Stati l’applicazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria (…) stipulano un accordo che è inteso a (…) facilitare l’applicazione tra gli Stati contraenti della Convenzione”.

È il cosiddetto accordo sulle rogatorie.

Ma cosa sono le rogatorie?

Come spiega Bruno Tinti (i “quaderni di Micromega” suppl. al n. 4/ 2001): “Tutti sanno che la delinquenza non conosce frontiere: il carico di armi destinato a Bin Laden sarà pagato con danaro proveniente da qualche banca ubicata in Svizzera; la droga destinata a questo o a quell’altro paese del mondo occidentale sarà anch’essa pagata con transazioni finanziarie (danaro contro droga, armi, donne o minori). (…) Ecco, per seguire il danaro occorre la collaborazione degli Stati: il poliziotto o il magistrato italiano non può autonomamente svolgere indagini in Svizzera e deve chiedere al suo collega straniero di svolgerle per lui. Queste indagini svolte su richiesta dello Stato estero si chiamano rogatorie”.

Le rogatorie verranno utilizzate in seguito dallo Stato richiedente e nel conseguente processo come materiale probatorio.

Tutto questo materiale veniva utilizzato anche se proveniva dallo Stato estero via fax, e-mail o brevi manu, senza essere autenticato da qualche competente funzionario. Poiché era chiaro che chiunque avesse avuto il sospetto di trovarsi davanti a documenti falsi lo avrebbe immediatamente denunciato, e il responsabile della falsità sarebbe stato immediatamente condannato.

Ciò rendeva più efficiente e rapida la collaborazione tra i vari Stati esteri.

La maggioranza parlamentare precedente nel momento stesso in cui tentò (in ritardo) di far passare la legge della ratifica della convenzione italo-elvetica al Senato (dopo averla approvata alla Camera) si scontrò con i quasi duemila emendamenti del Polo che bloccarono tutto. Il bello è che la Cdl, dopo aver vinto le elezioni, ha ripreso pari pari il testo dell’accordo italo-svizzero che aveva strenuamente boicottato. “All’inizio, noi dell’opposizione non riuscivamo a spiegarci perché presentassero lo stesso testo, chiedendo fra l’altro l’approvazione d’urgenza”, racconta Nando dalla Chiesa, senatore della Margherita e membro della Com-missione giustizia. “Poi, verso la fine della discussione in Commissio-ne, quelli della Casa delle libertà hanno cominciato a proporre emendamenti, e hanno continuato in aula. Cioè, emendavano il testo che loro stessi avevano proposto, con nuove parti che rendevano più difficile l’utilizzo del materiale svizzero nei processi. Il problema è che queste regole inserite per salvare Berlusconi aprono varchi a chiunque commetta certi reati, compresa la criminalità organizzata. Con il nuovo trattato, per esempio, diventa più difficile per un tribunale italiano utilizzare le intercettazioni telefoniche fatte in Svizzera, perché lì le regole sulle intercettazioni sono diverse dalle nostre. Natural-mente”, conclude il senatore della Margherita, “la Casa delle libertà ha giustificato il tutto in termini di ‘garanzie’, proprio nei giorni in cui a Genova venivano pestati indiscriminatamente i manifestanti pa-cifici”.

Ed ecco l’articolo 12 del disegno di legge di Ratifica ed esecuzione dell’accordo tra Italia e Svizzera:

“1. La violazione delle norme di cui all’articolo 696, comma 1, riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all’estero comporta l’inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi. Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni all’utilizzabilità degli atti richiesti, l’autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni.

1-bis. Se lo Stato estero dà esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 727, comma 5-bis, gli atti compiuti dall’autorità straniera sono inutilizzabili.

1-ter. Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti inutilizzabili ai sensi dei commi 1 e 1-bis”.

In parole povere se il magistrato svizzero (o di qualsiasi altro Stato) sequestra una lettera in cui un politico accetta soldi da un mafioso, oppure trova il numero di conto bancario in cui un imprenditore ha versato soldi ad un magistrato in cambio di sentenze a lui favorevoli e trasmette il tutto via fax o via e-mail (o addirittura a mano), il giudice italiano non può utilizzare queste prove anche se sono le uniche che inchiodano l’imputato.

“È falso che la legge preveda la retroattività delle norme: è una enorme montatura della sinistra e della stampa internazionale contro la legge. La legge consente soltanto l’applicazione delle norme sulle prove certe che esistono dal 1961”. (Berlusconi, ibidem)

Proseguiamo allora con la lettura del primo comma dell’art. 18 della medesima legge:

“1. Le disposizioni processuali della presente legge si applicano ai procedimenti in corso che versano nella fase delle indagini preliminari ovvero nei quali è in corso o deve aver luogo l’udienza preliminare”.

È singolare che, tra i tanti processi a rischio con l’approvazione di questa legge (ed in particolare degli art. 13 e 18), vi siano le tre accuse di corruzione di magistrati romani che coinvolgono l’imputato Silvio Ber-lusconi e il suo avvocato e deputato Cesare Previti.

La legge mostra una spiccata sensibilità proprio per i «vizi formali» che il 12 maggio 2000 la difesa di Berlusconi invocò (ma che il tribunale respinse alla luce della normativa allora vigente), per chiedere l’inutilizzabilità dei documenti bancari cardini dell’accusa e frutto appunto delle rogatorie. (“Corriere della Sera”, 25 settembre 2001)

Il sospetto che tutto questo abbia influenzato il legislatore c’è.

Il fatto è che, appena i giudici milanesi, con una argomentata ordinanza, hanno dichiarato che la legge sulle rogatorie non ostacolerà il recepimento, nel caso del processo Berlusconi-Previti, dei documenti provenienti dalle autorità elvetiche, ancorché non muniti di timbro “su ciascun foglio” ma convalidati da “una lettera ufficiale di accompagnamento del Procuratore federale della Confederazione elvetica che attesta la piena conformità tra ciò che è stato richiesto e ciò che è stato trasmesso”, è insorto il capogruppo di Forza Italia al Senato, Renato Schifani, per denunciare “lo scontro istituzionale tra le toghe di Milano e lo Stato”, mentre l’onorevole Ghedini, legale di Berlusconi, rincarava la dose chiedendo l’intervento del Parlamento e del Guardasigilli perché promuovesse una azione disciplinare punitiva contro “la pervicace volontà dei giudici milanesi di disapplicare le leggi e le decisioni della Consulta”.

A nulla è servito l’intervento, a difesa dell’operato dei magistrati milanesi, dell’Ufficio federale di Giustizia della Confederazione elvetica, che ha fatto presente, riferendosi alle rogatorie in corso, che queste sono “trasmesse nell’identica forma con la quale vengono trasmessi gli atti dalla Svizzera agli altri Paesi aderenti alla Convenzione europea e viceversa”.

A dar manforte a questa tesi, arriva il 29 novembre dal Parlamento europeo un documento che critica le decisioni assunte dal Governo italiano in materia di giustizia. Il documento, approvato per alzata di mano, è un rapporto della Commissione controllo di bilancio in cui si critica la legge italiana sulle rogatorie, che “rende difficili se non addirittura impossibili le rogatorie internazionali con la Svizzera per reati quali il riciclaggio di denaro sporco e il contrabbando di armi, stupefacenti e sigarette”.

Il Guardasigilli, Castelli, replica a stretto giro di posta: ai “parlamentari europei disinformati” spiega che “in seguito alla legge sulle rogatorie non è stato scarcerato nessuno”.

Bene, adesso possiamo tornare al nostro Giovanni Pozzi:

“… è il primo italiano in assoluto a tornarsene a casa libero, perché la rogatoria si è ‘dissolta’ nelle mani del pm; era accusato di essere un riciclatore di narcolire, e di aver portato in Svizzera almeno 75 miliardi in sette anni.

La conferma arriva dai suoi avvocati: “Ci siamo rimessi alla nuova legge sulle rogatorie, all’articolo 3 che tanto ha fatto discutere, e ci siano rivolti al Tribunale del Riesame, a Milano, dove – spiega Marco Lacchin, che con Paolo Bossi difende Pozzi – abbiamo esposto le nostre ragioni il 5 novembre. Lo stesso giorno ci hanno dato ragione, annullando l’arresto. Gli atti, così com’erano arrivati, sono stati ritenuti inutilizzabili”. E siccome si era nella fase delle indagini preliminari e Pozzi era finito in carcere a Varese grazie ai documenti trasmessi dalla Svizzera, ha lasciato la cella.

Ma “ha dichiarato di restare a disposizione dei magistrati e lo farà anche se, in teoria, nulla gli vieta – dicono i legali – di andarsene ai Caraibi”.

Giovanni Pozzi dall’Italia, l’avvocato ticinese Francesco Paolo Moretti a Lugano, avrebbero costituito, secondo l’accusa, un collaudato tandem di “colletti bianchi” che riciclava il denaro della malavita.

Secondo gli uomini della Gdf i due hanno fatto sparire dall’Italia, e ripulito, 15 miliardi del clan di Cosa Nostra che fa capo ai Cuntrera Caruana (siamo ai livelli alti della mafia internazionale), più altri 60, molti dei quali di quella che fu l’Anonima sequestri calabrese.

Pozzi si è difeso sostenendo, al di là delle rogatorie, che qualcuno può aver utilizzato i conti a sua insaputa. Con questa difesa sarebbe forse rimasto in carcere; la legge sulle rogatorie, almeno provvisoriamente, lo ha rimandato a casa». (da “Repubblica” del 15 novembre 2001)

E dopo quello di Giovanni Pozzi, grazie alla nuova legge, rischiano di essere annullati 5401 processi (dati ministero della Giustizia), tra questi 36 per pedofilia, 279 per traffico d’armi, 398 per riciclaggio, 810 per associazione mafiosa, 1.045 per traffico di stupefacenti, 1.278 per corruzione.

«Daremo battaglia con tutti gli strumenti della democrazia per cancellare questa norma scandalosa che premia contrabbandieri, mafiosi, terroristi, trafficanti di droga e di armi, riciclatori, corrotti e corruttori». (Sen. Massimo Brutti, Ds)

Ed è già in preparazione la richiesta di un referendum (“per la legalità” come affermano i promotori) per abrogare il testo.

Furti di galline

 

Il principio è quello che il mandato di cattura emesso da un giudice di qualsiasi Paese dell’Unione per reati di una certa gravità viene automaticamente eseguito su tutto il territorio Ue, dalle polizie di tutti i Paesi, senza bisogno di avviare il complesso meccanismo di estradizione.

Inizialmente il ministro Castelli, per conto del Governo italiano, si oppone al fatto che la lista dei reati per cui si applica il mandato di cattura unico non contenga solo crimini direttamente legati all’attività terroristica, ma una serie di illeciti molto più ampia, compresi quelli di tipo finanziario come la truffa, la corruzione o il riciclaggio. Poiché in materia di giustizia le decisioni vengono prese all’unanimità, la riserva italiana rischia di bloccare ogni decisione a livello europeo. L’Italia blocca la più importante decisione dell’Europa dopo l’attentato dell’11 settembre, mentre gli Stati europei si accingono a firmare un patto di ferro contro il terrorismo. Anche in questo caso, è una pura coincidenza il fatto che, su richiesta del capo della Procura anticorruzione di Madrid Carlos Castresana, il giudice Baltasar Garzon abbia sollecitato ai ministeri della Giustizia e degli Esteri spagnoli la trasmissione degli atti del procedimento alle autorità italiane affinché si inizi un processo penale in Italia basato sui reati commessi in Spagna. Garzon sta investigando su una presunta frode ai danni del fisco di circa 160 miliardi di lire, su un presunto falso nei libri contabili (ancora in Spagna non sono riusciti a depenalizzare il falso in bilancio…) e su una presunta violazione della legge antitrust che proibiva a gruppi stranieri di possedere oltre il 25% della proprietà di una catena di tv spagnola. Il magistrato è convinto che Fininvest era arrivata a controllare fino all’80% di Telecinco.

C’è scontro all’interno della stessa maggioranza di governo: il ministro degli Esteri Renato Ruggiero smentisce il guardasigilli Castelli e avverte che l’Italia “si sta isolando per la prima volta da 32 anni”. Ma è anche la prima volta che l’intera Europa si trova alle prese con il problema che affligge l’Italia da anni. Deve fare i conti non con una posizione politica diversa ma con gli interessi personali di un singolo individuo, proprietario d’aziende, leader politico, capo di governo.

Uno spiraglio si apre il 10 dicembre, quando “Il Corriere della Sera” rivela che “se lo scontro sul mandato di cattura europeo ha sullo sfondo lo spauracchio Baltasar Garzon, il magistrato spagnolo che dal 1996 indaga sulle presunte irregolarità, fiscali e non, commesse nel “caso Telecinco”, è bene sapere che il procedimento giudiziario contro Silvio Berlusconi è, per il momento, sospeso. Sospeso non vuol dire annullato. Il magistrato della Audiencia Nacional ha ordinato la sospensione della causa, riconoscendo l’immunità di cui gode Berlusconi come capo del governo. È stato chiarito che il caso resterà sospeso fino a quando il leader di Forza Italia rimarrà alla testa dell’esecutivo, a meno che le autorità italiane competenti non autorizzino la continuazione del procedimento. Caso molto improbabile”.

Il giorno dopo, Berlusconi (forse tranquillizzato da queste dichiarazioni) ammette che l’Italia aderirà al Mandato di Cattura internazionale, rilasciando dichiarazioni che lasciano perplessi, sia dal punto di vista giuridico che costituzionale. E vediamo perché.

Premettendo che è stato annunciato che del problema debba essere investito il Parlamento, il Governo si trincera dietro questa scelta, in quanto, a detta dello stesso, la questione non rientrerebbe nella piattaforma della Casa delle libertà e pertanto ai cittadini non è stato chiesto un voto sull’argomento.

Ma anche per la delega sulla riforma del diritto societario, per il rientro dei capitali dall’estero e per le rogatorie internazionali non era previsto nulla nel programma elettorale.

In ogni caso, il capo del Governo annuncia che, per armonizzare la scelta del mandato di cattura internazionale con l’ordinamento italiano, occorrerà modificare alcune norme, anche costituzionali.

Ad esempio, laddove si parla nelle norme italiane di estradizione, occorrerà modificare le norme sulle procedure, in quanto i magistrati che indagano non dovranno più passare per l’autorità governativa.

Ma veniamo alla Costituzione.

Esistono norme che dovranno essere modificate?

L’art. 13 dice che: La libertà è inviolabile e non è ammessa nessuna forma di detenzione se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Le norme sul mandato non prevedono che il provvedimento restrittivo della libertà possa essere concesso senza motivazione.

L’art. 26 recita: “L’estradizione del cittadino può essere consentita”. Qui occorrerà aggiungere al termine estradizione (che rimarrà per i Paesi fuori dall’Unione) il termine mandato di cattura internazionale.

Sempre l’art. 26 afferma che l’estradizione (e naturalmente il mandato di cattura) non può essere ammessa per reati politici. Ad esempio il reato che viene contestato a Silvio Berlusconi in Spagna non è un reato politico, ma un reato di tipo finanziario e fiscale.

L’art. 111 indica che tutti i provvedimenti devono essere motivati. Norma che vale in tutta Europa.

L’art. 25, 1°comma, recita che: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Nessuno si sogna di violare questa norma. Se commetto un reato all’estero, sarà il giudice competente territorialmente a indagare e a chiedere di arrestarmi e così in Italia. Ma questo vale anche oggi.

È strano il riferimento che i membri del Governo hanno fatto circa “i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali”. Chissà cosa volevano dire!!!!

In ogni caso, abbiamo la fortuna di essere nell’Unione Europea e non su qualche pianeta.

Ogni Paese dell’Unione ha estremo rispetto per le Costituzioni degli altri e per i processi politici e giuridici che hanno portato alla stesura delle va-rie carte Costituzionali.

E anche nell’eventualità dell’estradizione, ci sono alcune regole che fanno parte del nostro ordinamento e che non possono essere tralasciate: ad esempio non è ammissibile laddove è praticata la tortura o la pena di morte (e questo per una convenzione internazionale) o laddove i diritti processuali sono negati o quando viene richiesto per reati legati alla libera manifestazione del pensiero (abbiamo visto prima l’art. 26 Cost.).

Perché il nostro Governo si è sempre rifugiato dietro presunti diritti da tutelare? E perché certe garanzie valevano per certi reati (come il terrorismo) e non più per altri, per esempio corruzione, riciclaggio, e altro?

Ma non è stato ancora detto quali sono le norme costituzionali da modificare, o forse si possono intendere: che siano quelle dell’obbligatorietà dell’azione penale o l’indipendenza dei magistrati?

Allora si capisce dove Berlusconi vuole arrivare. I giudici possono indagare solo per furti di galline (e per terrorismo, che adesso va di moda).

 

 

G8

 

“Poi, dopo l’incontro al Quirinale (dove al premier sarebbe stato suggerito di affidare a Urbani Interni o Pubblica istruzione) (…) si è giunti a una conclusione: «Io non credo che gli Interni ti interessino – gli ha detto Berlusconi – tanto più che lì si rischia tutto, al G8 c’è perfino il rischio che ci scappi il morto... Invece, i Beni culturali...». (“Corriere della Sera”, 11 giugno 2001)

 

Solo 7 giorni più tardi…

“Agli italiani e agli europei che dissentono, che si preparano a manifestare – in piena legittimità – a Genova, il Governo si rivolge con una sola voce, con una sola parola: siamo aperti al dialogo (…). È per questo che tenteremo di stabilire quella linea di comunicazione per creare con le organizzazioni della protesta un modo, un’occasione, uno strumento per comunicare. Ma il tutto deve svolgersi – lo ripeto – nella più rigorosa esclusione di ogni forma di violenza e nella più gelosa tutela dell’ordine pubblico. L’ala estremista del movimento contrario alla globalizzazione deve essere isolata e messa in condizioni di non nuocere”. (Silvio Berlusconi, dal Discorso programmatico, Senato – seduta del 18 giugno 2001)

 

Di Genova e del G8 si è parlato e scritto molto.

Alla luce di ciò che è capitato (la morte di Carlo Giuliani, gli episodi della caserma Bolzaneto e nella scuola Diaz, la violenza contro i manifestanti pacifici e la tolleranza nei confronti dei Black Bloc) i fatti parlano da soli.

E poi la Commissione di indagine parlamentare. Valgano per tutte due testimonianze:

 

“A Genova ci sono stati verosimili eccessi nell’uso della forza”. Lo ha riconosciuto il capo della polizia Gianni De Gennaro nell’audizione fiume davanti alla Commissione parlamentare d’indagine sugli incidenti durante il G8. (“Corriere della Sera”, 9 agosto 2001)

 

A Bolzaneto Castelli non ha notato nulla di strano, in quella notte terribile. “Va beh, un po’ di concitazione c’era”, ma giusto quella. E i maltrattamenti, le torture? “Forse qualcuno è stato troppo tempo in piedi, ed è un fatto gravissimo. Però i metalmeccanici lavorano in piedi da 35 anni e non si sono mai lamentati”. (“Il Manifesto” del 7 settembre 2001)

 

E ancora:

 

Molte perplessità ha suscitato il fatto che, di fronte a gravi denunce di cittadini italiani e di paesi membri della Unione Europea per supposti abusi da parte delle forze dell’ordine italiane a Genova, il Governo si sia preoccupato di tutelare soltanto l’onorabilità della polizia e non anche il diritto primario al rispetto dell’integrità fisica di coloro che manifestano in un paese democratico”.

(Giovanna Zincone in “Repubblica” del 27 ottobre 2001)

 

A quattro mesi dal G8 di Genova, concluso con il bilancio di un morto, seicento feriti e quasi trecento arresti [per lo più dichiarati illegittimi dai giudici], la caccia ai responsabili è già archiviata. (…) la polizia ha rinunciato per prima a punire i suoi e gli altri corpi hanno fatto lo stesso. Ansoino Andreassi e Arnaldo La Barbera, i due prefetti cacciati con Colucci, sono stati riabilitati e (…) hanno ottenuto, rispettivamente, la vicedirezione del Sisde [il servizio segreto civile] e la poltrona di numero due del Cesis, l’organismo che dovrebbe coordinare Sismi e Sisde. (…) Tutti gli altri stanno bene. Vincenzo Canterini, capo dei celerini del nucleo speciale romano accusati dei pestaggi alle scuole Diaz e Pertini, è sfuggito al procedimento disciplinare e oggi, oltre a mantenere il comando dei mille uomini della caserma di Castro Pretorio, è diventato un dirigente del Consap, un sindacato di destra della polizia: in questa veste tiene conferenze in tutte le caserme d’Italia e non sembra temere i giudici. Alessandro Perugini, l’ex numero due della Digos di Genova sorpreso dalle telecamere mentre colpisce – a volto scoperto – un minorenne già arrestato, è stato tenuto a Roma per un po’ e adesso è tornato a Genova con un altro incarico. Per tutti gli altri, i quaranta e passa finiti sul registro degli indagati con l’accusa di lesioni, vale il principio che la polizia applica sempre: niente sospensione fino alla sentenza penale.

La Barbera (…) era il più alto in grado tra i partecipanti all’assalto alla scuola; appena sotto di lui c’era Francesco Gratteri, il pupillo del capo, che pur essendo inquisito ha conservato la direzione dello Sco, il Servizio centrale operativo della Criminalpol. (“Carta” n. 21)

 

 

Il tormentone del conflitto di interessi

 

Rimangono dubbi sull’integrità personale di Berlusconi. Se non verrà risolto il conflitto di interessi si avrà – in caso di vittoria elettorale – una concentrazione di potere mediatico nelle sue mani più da ‘1984’ di George Orwell che da moderna democrazia europea. (“Financial Times”, maggio 2001)

Berlusconi al telegiornale di Mentana ha annunciato che venerdì (11 maggio) risolverà il conflitto di interessi. (L’Unità, 4 maggio 2001)

 

Nessuna sorpresa invece sul fronte conflitto di interessi. A Enrico Mentana che gli chiede novità, quelle che gli aveva promesso la scorsa settimana, il Cavaliere replica assicurando che una proposta di legge sarà presentata «nei primi 100 giorni del mio governo», e sarà basata sul lavoro di «tre saggi, un inglese, un tedesco e un americano».

(“Corriere della Sera”, 12 maggio)

 

“…mi sono pubblicamente impegnato a presentare una legge di regolamentazione dei conflitti potenziali di interessi (…). Il mio impegno sarà inderogabilmente mantenuto. Prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari, le Camere avranno a disposizione il nuovo testo legislativo in materia, nella forma di un disegno di legge del Governo. (Silvio Berlusconi – Senato – seduta del 18 giugno 2001)

 

Dobbiamo tutti renderci conto che il problema del conflitto non è solo di natura economico-patrimoniale, ma riguarda soprattutto la possibilità di manipolare l’opinione pubblica che Berlusconi possiede grazie al suo impero e al suo ingresso sulla scena politica. È una possibilità che altera il libero formarsi delle opinioni e quindi tutto il meccanismo della democrazia rappresentativa. (“L’Espresso”, 25 novembre 2001)

 

La Camera chiude i battenti per le ferie natalizie (…) Ma alla ripresa l’attenzione sarà tutta concentrata sulla commissione Affari costituzionali che inizierà a discutere della legge sul conflitto di interessi. Una decisione annunciata dal presidente forzista Donato Bruno dopo che Pierferdinando Casini gli ha scritto una lettera, sollecitando l’esame delle proposte già assegnate alla commissione e annunciando che è sua «ferma intenzione fare in modo che l’Assemblea possa procedere alla relativa discussione nei tempi più solleciti». Altrimenti, ricorda il presidente della Camera a Bruno, senza legge sul conflitto di interessi non sarà possibile procedere al rinnovo del Cda della Rai in scadenza a febbraio. (“La Repubblica”, 20 dicembre 2001)

“Berlusconi cura i suoi affari mentre è al governo, e non si separa dalle sue proprietà pur dovendo fare leggi su quasi tutti i settori in cui opera. Non si accorge di violare i punti più sacri del capitalismo. Questa commistione fra un alto personaggio politico e i suoi estesissimi affari personali è una metastasi che preoccupa di più all’estero perché nessun italiano sembra volersene occupare...”. (Intervento dell’economista americano Edward Luttwak)

 

Al momento in cui andiamo in stampa (gennaio 2002) il problema del conflitto di interessi non è ancora risolto ...”.

 

 

Niente più scorte ai magistrati

 

Sostiene il procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli che la decisione di togliere scorte e ‘tutele’ ad alcuni pubblici ministeri del pool Mani Pulite, presa dal comitato provinciale per la sicurezza e ratificata dal ministero dell’Interno, «ha motivazioni di valenza squisitamente politica, dacché si è inteso sottolineare pubblicamente l’isolamento di un gruppo di magistrati sgraditi al potere in carica» (…) Ecco perché merita una risposta la domanda che, attraverso il “Corriere”, il pubblico ministero Ilda Boccassini – uno dei magistrati a cui è stata tolta la scorta, che prima di approdare al pool ha condotto le indagini sulla mafia a Milano e, in Sicilia, sulla strage di Capaci – aveva posto ai firmatari del provvedimento: che cosa è cambiato perché una misura ritenuta indispensabile fino a tre mesi fa viene ora considerata superflua? (“Corriere della Sera”, 26 settembre 2001)

 

“Ci sono state polemiche su un preteso assoggettamento a indicazioni parlamentari del lavoro dei magistrati; in realtà noi pensiamo che l’attuale sistema non debba affatto essere rovesciato”. (Silvio Berlusconi, discorso programmatico al Senato)

 

Che necessità c’è di rovesciarlo? Basta espellere o ridurre all’impotenza i magistrati scomodi!

Il fondo del barile

 

«Ciò che è successo, ancora una volta è il segno di quello che accade realmente a Milano e dimostra che qui questo processo non si può più celebrare». L’ultima parola (…) la prende l’avvocato Nicolò Ghedini, parlamentare di Forza Italia e difensore di Silvio Berlusconi nel processo Sme-Ariosto. Ed è una parola che pesa perché rivela a questo punto, e cioè dopo quasi 4 anni tra udienze preliminari e processo e circa un migliaio di istanze legali, quasi tutte respinte, il vero obiettivo delle difese: la legittima suspicione. Ovvero la richiesta di trasferimento del processo ad una sede «più idonea e serena» di quella milanese. (“La Stampa”, 4 gennaio 2002)

 

L’ultima iniziativa clamorosa per paralizzare il processo Sme, già martoriato da ricusazioni, revoche di avvocati e istanze varie, è un documento del ministero della Giustizia:

 

“… l’avvocato Patanè, per la difesa di Attilio Pacifico, si alza sventolando un provvedimento del ministero di Grazia e Giustizia, «fax urgentissimo» (…). Secondo Patanè il documento «circola per i corridoi del tribunale». Peccato che il tribunale non ne abbia ancora ricevuto copia. Boccassini, anche in questo caso, chiede il trasferimento degli atti al suo ufficio per aprire un’inchiesta. La carta riporta un provvedimento firmato il 31 dicembre del 2001, ovvero a Capodanno, dalla direzione generale magistrati del ministero ed è un colpo al collegio giudicante della prima sezione perché ordina al giudice a latere Guido Brambilla di trasferirsi al tribunale di sorveglianza, annullando la proroga precedente che sospendeva il trasferimento dello stesso magistrato a quell’ufficio. In altre parole, il processo, venendo a mancare uno dei tre giudici giudicanti, dovrebbe essere annullato (…) Così Brambilla, che oltre un anno fa aveva fatto richiesta di trasferimento, salvo poi chiedere una sospensione proprio per garantire il proseguimento del dibattimento, secondo il ministero si ritroverebbe improvvisamente fuori gioco. (…) A questo punto, dopo un’ulteriore sospensione, il tribunale respinge le istanze sulla base del fatto che comunque quello del ministero è «un provvedimento amministrativo» e come tale «impugnabile». E soprattutto che le ragioni del processo e della sua «ragionevole durata», prevalgono su ogni altra considerazione. (“La Stampa”, 4 gennaio 2002)

 

Insomma, per decisione del ministro della Giustizia del Governo del capo, il processo (dove il capo è imputato) deve essere rifatto, buttando a mare quattro anni di lavoro, o perché viene a mancare uno dei tre giudici, o (visto che il tribunale decide di procedere ugualmente) per trasferimento a “sede più idonea”.

 

Un attore del gioco, imputato e anche leader politico e capo del governo, fa approvare dal suo governo e dalla sua maggioranza regole che avvantaggiano un esito a lui favorevole. Già poteva bastare. La mossa, ad alto costo per l’equilibrio dei poteri dello Stato, ad altissimo costo per la credibilità internazionale del Paese, non è però sufficiente ad annichilire i processi che hanno sullo scranno degli imputati il presidente del Consiglio e gli amici del presidente del Consiglio e dunque, nel pomeriggio di Capodanno, si è provveduto a una seconda mossa che costringe tutti ad alzare il braccio per toccare il fondo del barile.

Accade che il governo, dopo aver cambiato le regole del gioco, decide di rimuovere l’arbitro della partita sostenendo che la partita finora giocata non è valida… (“La Repubblica”, 4 gennaio 2002)

 

E allora, come qualcuno ha già proposto, visto che Milano si è dimostrata sede non idonea, trasferiamo il processo ad Arcore, con l’avvocato Taormina al posto della Boccassini e Emilio Fede nel ruolo del giudice...

 

 

Detto, fatto

 

“Sì, ho letto l’articolo sul “Foglio” in cui Berlusconi ricorda Giovanni Falcone e s’impegna a proseguire la sua opera contro la grande criminalità. Bello, molto istituzionale. Adesso però Berlusconi e la sua maggioranza hanno l’occasione di dimostrare coi fatti questa volontà espressa a parole”. (Il procuratore del tribunale dell’Aja, Carla del Ponte sul “Corriere della Sera”, 24 maggio 2001)

 

E un ben servito al commissario antiracket Tano Grasso sostituito con Rino Monaco (…) diversi esponenti della società civile e dell’antimafia hanno attaccato premier e ministro degli Interni, definendo quella di Grasso «una rimozione». Come fa, sferzante, Pina Grassi, la vedova dell’imprenditore ucciso nel ’91: «Fatemi fare la malpensante. Qualcuno sta pagando il conto dei patti fatti con i mafiosi in periodo elettorale. Che Tano Grasso abbia lavorato in modo eccellente, senza distinguo fra le appartenenze, non c’è dubbio. Ma adesso vogliono sfasciare una delle poche cose che in questo Stato funziona. Possono anche denunciarmi, ma me l’aspettavo dopo la “gaffe” del ministro Lunardi sulla necessità di convivere con la mafia». (“Corriere della Sera”, 19 ottobre 2001)

 

Rita Borsellino conferma e aggiunge: «Prima le dichiarazioni di Lunar-di che ci invitava alla rassegnazione, poi le leggi sulle rogatorie e sul rientro dei capitali. Infine la rimozione di Tano Grasso: che il governo stia abbassando la guardia nei confronti della mafia è un dato di fatto». (“Corriere della Sera”, 23 ottobre 2001)

 

 

Quell’attacco dei giudici che ha cambiato la storia

di Silvio Berlusconi

 

“Egregio Direttore, dunque sono stato assolto per non aver commesso il fatto. Con formula piena (così si dice), il tribunale di ultima istanza ha certificato ieri con la forza della legge quel che avevo giurato perfino sulla testa dei miei figli: Silvio Berlusconi non ha mai corrotto nessuno. (…) Nel novembre del ‘94, gli italiani lo ricordano, il pool giudiziario di Milano mi mandò un avviso di garanzia in piena conferenza mondiale dell’Onu contro la criminalità, che presiedevo a Napoli. (…) Quell’atto ha cambiato la storia d’Italia. Fu all’origine del famoso ribaltone, portò a un inaudito «governo del presidente» che funzionò come maschera della riorganizzazione politica delle sinistre, e alla fine condusse alla sconfitta elettorale, di misura, della coalizione liberale (addirittura vittoriosa per trecentomila voti guardando al voto proporzionale) che avevo messo in piedi all’ epoca della mia discesa in campo. (…) Ma quello era davvero un errore giudiziario e basta? I cittadini giudicheranno in tutta indipendenza. Io non ho bisogno di incassare nessun premio postumo. (…) Una assoluzione in uno Stato di diritto è sempre una buona notizia.(…) Una stampa libera e responsabile in un Paese democratico non si pone, tuttavia, il problema se una notizia sia buona o cattiva. L’importante è che sia vera. E se è vera, come era vera nel lontano 1994, è suo dovere pubblicarla in misura corretta e nel rispetto delle persone coinvolte. È quanto è accaduto”. (“Corriere della Sera”, 21 ottobre 2001)

 

Un campione di nuovo giornalismo, Enrico Mentana, che si dice di sinistra, ha detto che bisogna essere contenti perché il capo del Governo ha una macchia in meno. Bastava un provvedimento di legge per pulirla, ma il guaio è un altro.

E allora approfondiamo. Berlusconi, dopo due condanne in primo e secondo grado, viene mandato assolto dalla Cassazione in quanto, nel suo ruolo di numero Uno Fininvest (ai tempi del reato non era ancora Mediaset), non poteva sapere cosa stava succedendo ai piani bassi dell’azienda.

Nel 1998, la stessa sezione della Cassazione, nel famoso procedimento Banco Ambrosiano (anche se obiettivamente la fattispecie era diversa, in quanto riguardava amministratori e sindaci del Banco), a carico di De Benedetti applicò il principio opposto, che volgarmente viene enunciato con la frase “non poteva non sapere”.

Berlusconi invece non sapeva. E noi ci crediamo. Ma che cosa non sapeva?

Che alcuni dirigenti Fininvest si davano da fare per corrompere la Finanza (l’ha detto la Cassazione).

Non sapeva che alcuni ufficiali della Finanza erano disonesti nel farsi corrompere dai numeri 3-4-5 della Fininvest.

Ci crediamo. Infatti 15 giorni dopo il pagamento delle mazzette, tale Massimo Maria Berruti, ufficiale della Finanza durante quei controlli, veniva assunto da Fininvest. Se Berlusconi avesse saputo, non avrebbe mai commesso una svista così palese.

E non avrebbe candidato a maggio lo stesso Berruti facendolo diventare deputato.

Berlusconi non sapeva queste cose, altrimenti non avrebbe mai detto agli italiani che voleva fare dell’Italia come delle sue aziende, cioè un luogo dove si pagano i finanzieri per evitare i controlli (l’ha detto la Corte di Cassazione).

I dirigenti Fininvest condannati nel processo, sono rimasti al loro posto, alcuni sono diventati parlamentari, uno è deceduto e al funerale Berlusconi lo difese per quello che aveva fatto.

Di tutte queste cose, nella lettera-omelia sul “Corriere della Sera”, non compare traccia.

Inoltre nella stessa lettera viene riproposta la tesi che siano stati i pm di Mani pulite a far fuori il primo Governo Berlusconi.

Anche qui, nessun rispetto per i fatti. Il solo motivo per cui il Cavaliere gettò la spugna, nell’autunno del ‘94, fu la certezza – dopo il voltafaccia della Lega – di un voto parlamentare di sfiducia. Il famoso invito a comparire per corruzione non giocò alcun ruolo. Subito dopo averlo ricevuto, il 22 novembre, lo stesso Berlusconi escluse qualsiasi effetto politico, proclamando in un messaggio televisivo: “Non mi dimetto e non mi dimetterò”. L’8 dicembre, in un’intervista al “Messaggero”, il premier minimizzò l’incidente al punto da esibirsi in uno sperticato elogio del suo accusatore, Antonio Di Pietro: “La sua ansia moralizzatrice è patrimonio di tutti”. E il discorso delle dimissioni da palazzo Chigi, il 21 dicembre, fu tutto un’invettiva contro Umberto Bossi: in esso non c’era una parola sull’iniziativa della Procura di Milano. Eppure tutto questo non ha impedito che, nel tempo, la fandonia di un presidente del Consiglio brutalmente destituito dai magistrati nascesse e mettesse radici nel pubblico dibattito. (Claudio Rinaldi su “Repubblica” del 27 novembre 2001)

 

 

Raiway

 

“Quel prezzo non mi convinceva, 1700 miliardi erano davvero pochi”. Questo è quanto affermato dal ministro delle Comunicazioni Gasparri subito dopo aver bloccato l’accordo Rai-Crown Castle su Raiway facendo sfumare così un accordo che aveva portato nelle casse della Rai un anticipo di 800 miliardi per la quota (49%) della società titolare degli impianti di trasmissione e collegamento tv su tutto il territorio nazionale. Lo stesso Gasparri poco dopo essere stato nominato ministro aveva affermato: “Va superata la legge che impedisce a chi possiede giornali di avere anche le televisioni”, perché se no “rischiamo di indebolire le nostre imprese multimediali” spianando la strada al suo capo che, per aggirare la normativa vigente, aveva dovuto “vendere” al fratello accondiscendente le sue testate in eccesso. Si capisce così perché, ovviamente “in piena autonomia”, il ministro abbia deciso di bloccare la trattativa che avrebbe permesso al-la Rai di investire nel digitale. In tempi così difficili di raccolta pubblicitaria, vorrà dire azzerare progetti futuri e limitare la concorrenza a Mediaset. Ovviamente questo non ha niente a che fare con il conflitto di interessi di Berlusconi…

 

 

Berlusconario

 

…durante la cena ufficiale di ieri sera, il presidente del Consiglio italiano avrebbe detto: “Sono un uomo felice”, riferendosi al suo ritorno al governo. E aveva poi aggiunto: “Ho sbarazzato l’Italia dal comunismo”.(…) “Il Presidente ha letto il lancio dell’agenzia Afp – riferisce il sottosegretario Bonaiuti – ed è tutto falso, completamente falso, basta chiedere ai partecipanti alla cena. È un’invenzione pura, esclusa dalla natura stessa di queste riunioni, sempre formali”. (…)

Durante la conferenza stampa della delegazione olandese un giornalista ha chiesto se era vero che il premier italiano avrebbe detto ieri alla cena di essere “un uomo felice, perché ho salvato l’Italia dal comunismo”. Kok ha commentato: “Sì, non ricordo le esatte parole, ma Berlusconi ha detto qualcosa del genere”. (“L’Unità” on-line, 16 giugno 2001)

 

Berlusconi a Berlino: “L’Occidente deve avere la consapevolezza della superiorità della sua civiltà”, insiste il premier. Una civiltà che ha garantito “benessere largo” ai popoli e garantito “il rispetto dei diritti umani, di quelli religiosi, che non c’è nei paesi islamici, il rispetto dei diritti politici”. (www.repubblica.it, 26 settembre 2001)

 

Mentre ancora le agenzie battevano le prese di distanza del governo tedesco sulle dichiarazioni di Berlusconi a proposito dell’Islam il premier, in Senato, spiegava che era tutto un errore e ribaltava i concetti: “ho sostenuto che la più grande iattura sarebbe quella di trasformare l’azione in un contrasto culturale o addirittura in una guerra di religione tra Occidente e Islam”. (www.repubblica.it, 28 settembre 2001)

 

Berlusconi: “Ho fatto un’esposizione sommaria della Finanziaria e ho trovato un’ottima accoglienza sia di Prodi che di Solbes”. Possibile che la Commissione abbia già dato il via libera? No, dice Prodi: “Non ne abbiamo parlato affatto”. No, dice Solbes: “Non ho espresso alcun giudizio sulla Finanziaria italiana, che valuterò insieme al programma di stabilità”. (“La Repubblica”, 11 ottobre 2001)

 

...Il presidente del Consiglio ha sottolineato, tra i meriti che ha voluto attribuire all’esecutivo da lui guidato, l’impulso dato sul versante della sicurezza interna: le rapine, al Nord, sono scese del 43%; 40 mila sono stati i clandestini espulsi, gli sbarchi di clandestini sono diminuiti del 247%. (“Adnkronos”, 21 dicembre 2001)

 

“(riferendosi a Berlusconi n.d.a.) fa quello che può e dice quello che può. “Siamo tutti americani” come ha detto John Kennedy a Berlino, è l’unico che riesce a dire due balle in tre parole. Ma Kennedy non si è mai sognato di dire quella cosa a Berlino! Kennedy ha detto “Io sono berlinese”, che ha un altro significato”. (Beppe Grillo, discorso di fine anno, 31 dicembre 2001)

 

... il presidente del Consiglio è riuscito a trovare la frase giusta.Ai francesi che lo sollecitavano per l’affare Airbus, ha risposto, solennemente, con una dichiarazione secca: “Dare soldi, vedere cammello”. Come diceva Mozart di Salieri, solo Berlusconi poteva scegliere una frase come questa. (...) Quattro parole che racchiudono una filosofia.Così, finalmente, i francesi capiranno che non hanno a che fare con dei venditori di tappeti.Cammelli, monsieur Chirac, chameaux. (Sebastiano Messina e Gianluca Luzi su “Repubblica” del 6 dicembre 2001)

 

 

La nostra risposta

 

Rileggendo gli atti che questo esecutivo ha realizzato in questi mesi, l’immagine che ne viene fuori è quella di un unico, grande e costante conflitto tra gli interessi del cavaliere e dei suoi amici e il loro ruolo pubblico. E non può certo essere una normativa legislativa (seppure ben fatta) a sancire la fine di questa situazione. Perché non sono solo gli interessi economici a essere in gioco, ma soprattutto quelli del diritto: le leggi vengono create su misura per risolvere i problemi giudiziari del gruppo che detiene attualmente il potere.

La risposta della società civile onesta e sana non può farsi attendere: deve iniziare una lotta nonviolenta per la tutela dei diritti di tutti i cittadini e per il ripristino della legalità.

In questa ottica è fondamentale per ognuno di noi capire fino in fondo le dinamiche delle cose e bisogna trovare la chiave di lettura giusta su quanto sta succedendo oggi in Italia. Il primo punto deve essere quello della raccolta di quante più informazioni possibili sull’operato dell’esecutivo. Sarà utile quindi creare una specie di “osservatorio popolare” per monitorare gli atti di questo Governo, scovarne gli eventuali abusi e diffondere le notizie raccolte.

 

 

Work-in-progress

 

Questo dossier vuole essere un primo passo; ma, se vogliamo raggiungere lo scopo, non possiamo lasciare tale tentativo nelle mani di pochi volenterosi: ognuno (secondo le competenze) cerchi di dare il proprio contributo per arricchire l’elenco degli interessi personali che sottendono le decisioni dell’esecutivo. Proprio per questo abbiamo deciso di trasformare questo lavoro in un “work-in-progress”. Le successive edizioni conterranno tutti gli aggiornamenti pervenuti al sito www.bobi2001.it, oppure al fax: 02/700562039.

 

 

Boicottaggi

 

Una volta scoperte le magagne, bisogna studiare le forme di lotta (rigorosamente nonviolenta) più opportune.

Otto anni fa riuscimmo a programmare alcuni boicottaggi alle proprietà di Berlusconi che consentirono di canalizzare lo scontento dei cittadini nei confronti dell’arroganza degli atti del suo primo esecutivo. Smettemmo di effettuare acquisti alla Standa (che fu poi svenduta) e una serie di “scioperi alle reti Fininvest” raggiunsero risultati lusinghieri (2.800.000 spettatori in meno in una giornata, secondo i dati Auditel). Anche in tempi recenti (la notte di Natale 2001 meno 1.850.000 spettatori) la protesta ha raggiunto la sua efficacia, ma non basta. Il boicottaggio, per essere efficace, ha bisogno di pochi obiettivi chiari e facilmente raggiungibili. Non è quindi proponibile estenderlo a tutte le proprietà di Berlusconi (troppe e troppo variegate) ma si deve concentrare su due o tre iniziative circoscritte nel tempo.

Gli esposti

 

Un altro strumento che si può usare è quello giuridico: se si riscontrano abusi a fini privati in atti pubblici, di qualsiasi membro dell’esecutivo, è sufficiente far pervenire un esposto all’autorità giudiziaria, tramite qualsiasi caserma dei Carabinieri o della Polizia. Nell’esposto bisogna precisare il tipo di abuso che si ritiene sia stato perpetrato (ad esempio l’emanazione di un decreto per risolvere dei problemi giuridici personali del capo dell’esecutivo o di un ministro), nel caso l’autorità giudiziaria ne riscontri la fondatezza è obbligata ad avviare l’indagine. Sul sito www.bobi2001.it pubblichiamo il facsimile del modulo da utilizzare, oppure si può richiedere via fax: 02/700562039.

 

 

Referendum

 

La rivista “MicroMega” si sta facendo promotrice di referendum per abrogare le leggi sulle rogatorie e il falso in bilancio: è importante l’appoggio che ognuno di noi può dare a questa causa.

Per l’adesione: ref_rogatorie@virgilio.it

 

 

Un “comitato di idee”

 

Nel proprio partito, nella propria associazione, nella propria parrocchia o sul posto di lavoro, non importa dove e come, bisogna agire urgentemente. Informiamoci e spieghiamo a più gente possibile cosa sta facendo chi ci governa, al di là della propaganda che diffondono i mezzi di comunicazione ufficiali. Una rete capillare che deve fare riferimento a un “comitato di idee” che elabori un progetto comune di difesa. Nessuno deve essere lasciato allo sbaraglio a combattere la propria battaglia, novello Don Quijote, perché sul campo non ci sono “mulini a vento”, ma una squadra di potenti che si sta arrogando il diritto di plasmare leggi e norme a proprio piacimento e per i propri interessi.