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Lucio Villari: Gulag. Quell´italiano fucilato da Stalin

Tratto da "la Repubblica", 17 maggio 2003

Gino De Marchi era un regista cinematografico e lavorava per la Mostechfilm di Mosca. Era uno dei tanti italiani, comunisti, che negli anni Venti avevano scelto di lasciare l´Italia e di vivere nel paese del socialismo. De Marchi era andato in Russia nel 1921, quindi un anno prima dell´avvento del fascismo, e nella piena consapevolezza di aver preso una giusta decisione. Era un attivo militante del partito comunista d´Italia, fondato proprio quell´anno, e aveva rapporti con Gramsci e con Terracini. Fu quest´ultimo ad aiutarlo a trovare un lavoro a Mosca. Qui sposò una ragazza russa e nel 1933 prese la cittadinanza sovietica.
A quel tempo, italiani come lui, motivati o no politicamente, ce n´erano molti in Russia. Alcuni si trovavano lì dai tempi dell´impero zarista, ma i più giovani ed entusiasti vi erano arrivati al tempo della NEP (cioè di un comunismo lievemente liberale) sia per sfuggire al fascismo sia per partecipare a quella che appariva come l´avventura esaltante della «costruzione» del comunismo. Con il primo piano quinquennale, varato nel 1929, e con il progressivo affermarsi del potere personale di Stalin, questi italiani entrarono tranquillamente nella routine sovietica senza preoccuparsi della lotta in corso tra Stalin, Trockij, Bucharin e probabilmente senza percepire il pericolo di trovarsi in una grande trappola nella quale moltissimi sarebbero caduti e ne sarebbero stati stritolati.
Gino De Marchi fu uno di questi. Il 2 ottobre 1937 fu arrestato a Mosca dal Nkvd con l´accusa di appartenere a una associazione trockista al soldo dell´Ambasciata italiana per attività di spionaggio. Era stato denunciato da quattro suoi «compagni» sovietici della cui testimonianza (che riportiamo in parte qui sotto) si servirono i funzionari del ministero dell´Interno sovietico per sottoporlo a stringenti interrogatori. De Marchi negò sempre di avere avuto contatti con i nemici dell´Urss, di avere compiuto atti di spionaggio, di avere «svolto attività controrivoluzionaria».
Negò fino all´8 febbraio 1938, giorno dell´ultima trappola. Qualcuno forse lo aveva consigliato di «confessare», per sfuggire a una inevitabile condanna a morte. Alla prima domanda del suo inquisitore dichiarò: «Sì, mi sono convinto che ormai sono completamente smascherato e che continuare a negare è insensato. Ho deciso di dare agli inquirenti una deposizione sulla mia attività controrivoluzionaria». Il 3 giugno 1938 fu fucilato a Butovo, nel distretto di Mosca. Aveva trentasei anni. Ai familiari venne comunicata la morte per peritonite. Fu riabilitato il 14 luglio 1956, tre mesi dopo la denuncia di Krusciov dei crimini dello stalinismo.
Farsesca l´accusa a De Marchi (in nome di un comunismo «di sinistra» essere spia dell´Italia fascista), farsesco il suo processo (condotto senza alcuna, per quanto inutile, formalità giuridica), farsesche le testimonianze dei suoi accusatori e la sua confessione, falsa la dichiarazione ufficiale della morte. L´unica verità, la tragedia di milioni di persone come De Marchi e la irrealtà politica di quel comunismo che per De Marchi era stata una scelta di vita. Di fronte a questo groviglio, concreto e surreale, si può solo opporre una memoria storica più complessa e più pensata di quanto non sia il pur necessario ricordo di altre violenze e stermini che hanno segnato una parte del Novecento.
Un percorso storiografico e conoscitivo del genere è stato compiuto in ricerche, romanzi, film, biografie dedicati allo stalinismo e al libro nero del comunismo. Comunque, anche se ancora dell´utopia comunista sopravvivono sparuti eredi e orfani, i conti con la storia sono stati già fatti. Ma nuovi documenti di quella storia cominciano a affiorare e ripropongono a noi, senza filtri e mediazioni, l´angoscia, il fastidio, la nausea di quanto è accaduto. Stati d´animo che non possono però impedirne l´esatta e fredda conoscenza.
E´ quanto accade con l´ultimo volume degli Annali della Fondazione Feltrinelli dedicati ai Gulag e agli italiani vittime della repressione staliniana. L´apertura, a partire dal 1992, degli archivi sovietici e l´utilizzazione incrociata di documenti archivistici italiani ha permesso a Elena Dundovich, Francesca Gori e Emanuele Guercetti di coordinare una ricognizione e una analisi storica più compiute del «Grande Terrore» stalinista, della complicità del comunismo internazionale, della repressione pianificata di moltissimi stranieri che si trovavano in quegli anni in Unione Sovietica, anche di quelli apparentemente più fidati e fedeli. La destinazione internazionale degli Annali comporta che gli otto saggi dedicati al Gulag (ne sono autori storici russi e italiani) siano in lingua inglese.
Come il titolo: Reflections on the Gulag. With a documentary appendix on the Italian victims of repression in the USSR.
Per quanto ampie siano le ricerche e disponibili le fonti documentarie è però impossibile ricostruire la storia di 18 milioni di persone che sono entrate nei Gulag e nei campi di lavoro forzato tra il 1934 e il 1952. E anche questa cifra è approssimativa. Sull´argomento vi è nel volume una bibliografia completa (dai primi scritti degli anni Venti sui prigionieri politici alle indagini più recenti di storici russi) curata da Hélène Kaplan. Ma ai lettori italiani interesserà scoprire quale sia stato il dramma degli italiani che come il regista Gino De Marchi (la cui vicenda sembra riassumere quella di tutti i nostri connazionali) sono stati annientati dalla repressione di Stato in Russia. Metà del volume ne fa minuziosamente la storia, tra verbali di interrogatori, sentenze e disperate lettere ai familiari degli imprigionati e dei condannati, integrate da testimonianze orali e memorie. Le sei parole di una lettera di un italiano fucilato nel 1937, poste come epigrafe al saggio delle curatrici sulla repressione degli italiani, dice tutto: «Difendete la mia memoria: io sono innocente».
Da questo saggio si scopre che la prima repressione avvenne con l´arresto di cinque italiani nel 1919. E il rosario continua fino alla seconda guerra mondiale. E´ come entrare negli archivi della Santa Inquisizione senza però neanche il barlume di una difesa della purezza della fede cattolica dagli eretici come era nelle intenzioni degli Inquisitori. Nella burocratica repressione staliniana l´eresia trockista appare invece più che altro un espediente per sospettare di tutti e di tutto.
Le vittime italiane del Terrore di Stato comprendevano, secondo le autrici, sia gli immigrati in Russia tra la fine del
' 700 e i primi dell´800, sia gli immigrati «politici» degli anni Venti del Novecento, sia quelli immigrati alla spicciolata tra Ottocento e Novecento, disseminati in varie città russe e dediti esclusivamente a commerci e all´esercizio di varie professioni (musicisti, artisti di circo, tecnici, artigiani, lavoratori specializzati).
La conclusione amara del saggio è che il dramma di questi italiani si è poi perso tra le pieghe della guerra fredda e nel colpevole silenzio dei dirigenti del partito comunista italiano: da Togliatti in giù.