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La rivoluzione della posta elettronica Repubblica - 02-11-2004
Trentacinque anni fa veniva inventata
l´e-mail
Dà possibilità inedite al rapporto fra media e utenti e ci mette in contatto
con persone prima irraggiungibili
Per utilità e diffusione la lettera via Internet è la maggiore scoperta
realizzata nel nostro tempo
Ma ha ambizioni tiranniche: impossibile rispondere a tutti quelli che ci
scrivono
Il mezzo espressivo più adeguato per questa condizione umana fibrillata ed
estenuante
di STEFANO BARTEZZAGHI
Una rivoluzione in quattro parole: «Ti mando un´e-mail». E´ la rivoluzione della
chiocciola.
Dagli anni Novanta c´è stata una grande enfasi attorno a Internet, che è
senz´altro una cosa bella e grande, ma che è anche provvista di un´identità un
po´ troppo smargiassa. Un cospicuo apparato formale, tenuto in piedi da nuove
figure professionali, come quella dei «web designer», dai ritmi di lavoro e
dalle condizioni di vita a volte disperanti: ma anche un´immane labirinto fatto
di scatole vuote, dette sintomaticamente «siti», che ingenerano l´ansia di
essere riempite. E´ per questo horror vacui che la frase simbolo di Internet è
«trovare i contenuti». Il sito è sul piano di Internet ciò che l´«evento» è sul
piano del mondo reale: un´organizzazione del vuoto che reclama qualcosa che
voglia rimbombarci dentro. E così Internet si pone perlopiù come un esperimento
di vetrinismo planetario
Il vero evento della rivoluzione è però la posta elettronica, che anche nella
sua relativa inappariscenza conferma il suo carattere discreto. Internet è Ollio,
l´e-mail è Stanlio.
Fin da pochi anni dopo la sua nascita la posta elettronica ha cominciato a
manifestare le sue proprie malattie e disfunzioni: i mali esantematici dello
spam e dei virus, le maggiori velocità e intrusività conferite alla stupidità e
alla malignità umane. Se uno ha un indirizzo e-mail pubblico la percentuale di
messaggi appropriati e opportuni che riceve scende ogni momento di qualche
frazione di punto. Oggi come oggi l´esperienza personale fissa tale percentuale
al quindici per cento, e il resto è spazzatura o inezia: quell´ammontare di
materia inerte, ma potenzialmente pericolosa e attualmente fastidiosa che il
gergo milanese chiama efficacemente «fuffa». Contro la fuffa occorre dotarsi di
santa pazienza e di un buon filtro anti-spam, che però ogni tanto si mangerà
misteriosamente messaggi personali importantissimi.
Ma aldilà delle patologie resta il fatto che per utilità e diffusione la posta
elettronica è la maggiore invenzione umana del nostro tempo. Sarebbe stucchevole
ancor più che futile elencare un´altra volta i suoi vantaggi: la possibilità di
contatti internazionali comodi, frequenti e gratuiti, la maggiore circolazione
di idee che ne deriva, il brusco ridimensionamento della necessità di usare il
petulante telefono e il farraginoso fax e in generale la certezza di poter
entrare in contatto pressoché con chiunque senza rompergli le delicate palle. La
discrezione, appunto.
La rivoluzione vera e propria riguarda la scrittura. A scuola fanno scrivere
parecchio, e in un modo o nell´altro si finisce per imparare a tenere la penna
in mano. Per scrivere cosa? Il tema, il penso, la tesina molto spesso restano al
livello dell´esercizio: ci si rivolge a un professore che è supposto sapere (da
prima e meglio) quel che leggerà, e non è semplice convincere gli studenti che
in realtà si stanno rivolgendo a un pubblico virtuale, e che il professore non è
il destinatario ma l´osservatore di questa comunicazione. Chi impara a scrivere
dovrebbe sentirsi come un attore che si rivolge a una platea buia,
potenzialmente gremita o totalmente deserta: non è una buona scusa per
rivolgersi esclusivamente al regista. Ma di fatto viene sempre istintivo
rivolgersi a un destinatario preciso, noto o meno noto che sia.
Che si fosse imparato a organizzare un testo o no, con destinatario personale o
impersonale, fuori dalla scuola la scrittura diventava un oggetto misterioso.
Prima dell´e-mail le occasioni non scolastiche di praticarla non erano poi
frequenti, salvo per chi scriveva per mestiere: ed era un gran peccato, perché
chiunque ha un contatto via e-mail con un pubblico vasto oggi sa che esiste un
mucchio di gente che ama scrivere e lo fa bene. Gente che prima aveva di rado il
tempo e la voglia di prendere carta, penna, busta, francobolli, e che ora ha
trovato il mezzo giusto per dedicare il giusto tempo ai piaceri sociali donati
dall´alfabeto (e dall´alfabetizzazione), con l´agio di rivolgersi a uno o più
destinatari scelti.
Occorrerebbe studiare bene la differenza fra il tipo di scritture che si trovano
nei forum (altro nome che ricorda il vuoto) pubblici di Internet e quelle che
invece viaggiano via e-mail. L´intervento pubblico scatena una folkloristica
gamma espressiva che è l´analogo (per iscritto) delle forme di comunicazione da
assemblea di condominio: sarcasmo, insolenza, iattanza, sconforto veicolati con
spreco di maiuscole ed esclamativi, destrutturazione sintattica, tendenza
epidemica all´interiezione. L´e-mail invece invita (mediamente) al carattere
minuscolo, a una strutturazione più articolata della comunicazione, a
un´interlocuzione nel complesso migliore.
L´e-mail ha cambiato molte cose: soprattutto ha dato una possibilità inedita di
rapporto fra i mass-media e i loro utenti, trasformando radicalmente
l´interazione del pubblico con giornali, radio e televisione. Ha inoltre messo
in contatto persone abituate a lavorare singolarmente e a scornarsi con problemi
che messi in rete vengono risolti facilmente. La richiesta di un aiuto a un
amico, può innescare una reazione a catena che a volte si conclude in capo a
poche ore con una risposta dal maggior esperto mondiale del problema (è una
felice esperienza personale).
A fronte di queste festose opportunità c´è naturalmente il cumulo spaventoso di
e-mail a cui rispondere: non ce la si fa e i mittenti giustamente si offendono.
L´e-mail, così umile e discreta, sotto sotto pensa di noi che parallelamente
alle nostre ventiquattro ore nel mondo reale - in cui dormiamo, leggiamo,
lavoriamo, andiamo a trovare i nostri parenti, facciamo da mangiare,
accompagniamo i figli a scuola - ci sono altre ventiquattro ore che viviamo come
titolari di uno o più account di posta elettronica. La chiocciola, malgrado le
inoffensive apparenze, ha su di noi delle ambizioni tiranniche. Il nostro
problema è riuscire a saltare tempestivamente da un piano parallelo all´altro,
dalle ventiquattro ore in cui siamo mariti, mogli, figli, amanti, padri, madri a
quelle in cui siamo lavoratori, a quelle in cui siamo cittadini, automobilisti,
contribuenti fiscali, a quelle in cui appunto siamo titolari di una casella
postale elettronica. Ognuna delle cose che facciamo è una attività a tempo
pieno, e comprimendo tutti questi tempi dentro alle ventiquattro ore del tempo
reale si ottiene quel patchwork che è la risultante delle nostre identità
multiple. Picasso aveva ragione!
Di questa condizione umana, fibrillata ed estenuante, l´e-mail costituisce
simultaneamente il mezzo espressivo più adeguato e l´immagine più fedele. Come
unità (nel micro) è veloce, impegnativa e assieme sbrigativa; come fenomeno
generale (nel macro) dà una rappresentazione della contemporaneità.
Che ci dica «Enlarge your penis», che ci mostri la fotografia di un neonato
figlio di amici, che ci voglia preoccupare per le sorti del pianeta o per quelle
di una piccina affetta da rarissima malattia, che ci mandi a quel paese, che ci
annunci un´offerta commerciale, che ci inviti a una festa, che ci metta in ansia
o ci dia una buona notizia, che ci giri l´ultima barzelletta o l´ultimo
stupidario, che ci faccia rientrare in contatto con una persona persa di vista
da decenni, che ci ammannisca le insistenze di un seccatore, che ci faccia
arrivare una valanga di lavoro, che ci parli d´amore o d´umore, checché ce ne
dica la posta elettronica ci offre quotidianamente quella parte dell´entropia
del mondo che è a ognuno di noi singolarmente dedicata. E ce la offre nel
formato con cui possiamo servircene, archiviarla o disfarcene più facilmente, e
a costo zero.