Www.segnalo.it

FORMAZIONE    

BIBLIOTECA / CINETECA   

POLITICHE / LEGGI    

TRACCE / SENTIERI

 

UN FILM DA VEDERE


 

 

 

 

"Io Non Ho Paura": l'incubo

di Ammaniti diventa un film

 

La sinistra storia narrata da Niccolò Ammaniti nel romanzo “Io Non Ho Paura” diventa un film. Per la regia di Gabriele Salvatores. Con tanti bambini sul set e un cattivo d’eccezione: Diego Abatantuono

 

***

 

Il talento narrativo di Niccolò Ammaniti incontra la fantasia immaginifica di Gabriele Salvatore e ne nasce un film, “Io non ho paura”, tratto dall’omonimo, eccellente romanzo dello scrittore romano. Il libro è da un anno e mezzo in classifica e ha venduto 180 mila copie. Il film, del quale Ammaniti firma anche la sceneggiatura insieme a Francesca  Marciano, dovrebbe essere pronto il prossimo febbraio. Non è la prima volta che un libro di Ammaniti viene portato sul grande schermo: è accaduto con il suo primo, controverso romanzo “Branchie”, da cui  l'omonimo film di Francesco Ranieri Martinotti, scomparso rapidamente dalle sale, e con il memorabile “Fango” da cui è stato tratto “L'ultimo capodanno”, di  Marco Risi con sceneggiatura dello stesso scrittore. E ora Ammaniti ha finito di scrivere una sceneggiatura per Alex Infascelli da un racconto  originale. “È un thriller - spiega lo scrittore - che dovrebbe partire a febbraio ma si saprà qualcosa tra un mese e mezzo”.

A confermare lo stretto legame tra le sue storie e il cinema è lo stesso Ammaniti sul set, vicino a Melfi, del film tratto da “Io non ho paura”,  che sta girando Salvatores. “Ho difficoltà - confessa Ammaniti - a scindere quello che penso di un film e di un libro. Vedo le storie che racconto per immagini, come un film  cerebrale. Sulla carta è più evidente l'aspetto psicologico e intimista. Quando scrivo le mie storie sento che c'è un film. Il cinema è stato  fondamentale come la letteratura anche se quest'ultima mi gratifica di più perché i libri si fanno con il lettore mentre il cinema ti fornisce tutto:  facce, musica, luoghi. Se dovessi scegliere direi: ‘salviamo i libri’”.

“‘Io non ho paura’ - continua lo scrittore - è nato come un soggetto, ho deciso di scriverlo passando in macchina per questi campi tra  Basilicata e Puglia. Ci vedevo la difficoltà di crescere dei bambini in un posto così ed è proprio questo aspetto della fatica che mi piace del  film. Per la sceneggiatura non ho dovuto lavorare molto, ho reso ancora più secco quello che avevo fatto nel romanzo. Di solito ho una scrittura  più barocca”. L'intento di Ammaniti era di “far parlare i bambini come degli organismi diversi dai genitori. Due specie diverse, due società differenti come interagiscono fra loro? “Nella storia - continua lo scrittore - si sa solo quello che vede Michele, il protagonista, e questo crea empatia nello spettatore. In questo film manca comunque qualsiasi forma di intrattenimento. Viene lasciato spazio alla fantasia, al mondo attraverso le favole, come quelle di Calvino. È un horror rurale e c'è la dimensione della noia, dell'estate che non passa. Non c'e mai un giudizio morale nei confronti dei genitori e Michele, il protagonista, ha anche un rapporto sadico con il bambino nel buco. Lo tira fuori, lo rimette dentro. È come un gioco in cui potrebbe fare il bene come il male. E anche con i cattivi  è pietoso”.

“Inseguire il grano giallo, alto”.  Da questa immagine è partito Gabriele Salvatores per girare il film, affidandosi a un cast di tutto rispetto: Diego Abbatantuono, Dino Abbrescia e  la spagnola Aitana Sanchez. Sul set, nelle terre assolate e magiche della zona di San Leonardo, vicino a Melfi, Salvatores racconta: “E’ un film realistico, però non è minimamente legato a un luogo preciso e riconducibile al realismo a cui siamo abituati. Ho cercato di illustrare il libro di Ammaniti, uno dei più  bei romanzi che ho letto ultimamente. È stato come fare le figurine: una è quella del giallo, del grano alto in cui i bambini scompaiono. Un campo di grano può fare molta paura, sotto c'è una vita agitata e misteriosa”. Ed è proprio tra le spighe alte della campagna del sud nell'estate torrida del 1978 che si trova un segreto pauroso, quello che scopre Michele Amitrano, 9 anni, interpretato da Giuseppe, un bambino di 12 anni di Foggiano, una frazione di Melfi.

In un buco è nascosto Mattia (Filippo, 9  anni di Rionero in Vulture), che è stato rapito e i suoi guardiani sono i genitori di Michele interpretati dalla Sanchez e Abbrescia. I due bambini  diventeranno amici, ma il segreto del loro legame verrà scoperto e a sistemare le cose arriverà da Milano Diego Abatantuono, balordo complice dei sequestratori.

“È il personaggio più cattivo che ho fatto - dice Abatantuono -. Il  libro non dà spazio a nessun tipo di equivoco. I personaggi sono ben delineati. Accanto ai bambini si fa fatica a essere cattivi. Mi sento  privilegiato in un ruolo marginale e poi non è importante quanto si sta in scena ma come vi si sta”. Anche Abbrescia è cattivo, “ma in modo  diverso - spiega - più sfigato”, mentre la Sanchez è la mamma buona.

“Non ho voluto fare un film sul sud Italia bozzettistica - spiega Salvatores - ma mettere questi personaggi piccoli in inquadrature grandi, epiche, renderli eroi. Il protagonista, Michele, è presente in tutte le pose, tutti i giorni. Ci sono temi Conradiani, toni da tragedia greca, è un film più  astratto che strettamente naturalistico. E la lingua è un misto di inflessioni pugliesi, campane, che credo sarà comprensibile ma non  identificabile. All'estero, se ci arriverà, il film sarà riconoscibile come molto italiano”.

Il film, prodotto da Maurizio Totti, Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini e Marco Chimenz, con la partecipazione di Medusa, che lo distribuirà, sarà pronto per il prossimo febbraio. Le musiche non sono ancora state scelte. Con questa storia forte, sulla crescita, che suggerisce diversi significati, Salvatores, come tanti grandi registi italiani porta piccoli  protagonisti sul grande schermo e dice sul set, tra i campi e quattro case, in parte ricostruite per il film: “I ragazzini stanno ricordandomi cose che mi ero dimenticato. Con loro devi avere le idee chiare, gli devi dire una cosa precisa, senti la responsabilità di persone che si affidano a te. cosa che mi piace di più è il rapporto tra Michele e Mattia, nel film hanno la stessa età e ad un certo punto si dicono: ma allora siamo uguali. Quello con il bambino nel buco diventa il più grande gioco possibile”.

Dai sei ai 12 anni, i bambini protagonisti sono stati selezionati fra mille ragazzini superdilettanti della zona. Una di loro, Adriana, racconta: “C'era una scena in cui  dovevamo correre e sentivo le spighe entrarmi nella maglietta e le cavallette saltare fra il grano. Ho avuto paura e ho pianto”. E Salvatores racconta che Filippo (Mattia) gli ha detto: “Vorrei fare l'attore perché posso dire la verità senza farmi male”. E proprio per lui che deve stare in quel buco sotto terra, con gli occhi che per mancanza della luce diventano una piccola fessura, è stata chiamata sul set anche una psicologa per avere un sostegno nel caso ce ne fosse stato bisogno.

Il finale che nel romanzo è aperto, nel film sarà più chiaro. Il resto - libro e sceneggiatura - sono, a giudizio di Salvatores, “molto vicini, con un lavoro di ottima sintesi”.

 

 


 

UN PROFILO DI NICCOLO' AMMANITI

 

Niccolò Ammaniti è nato a Roma nel 1966. Ha esordito nel 1994 con il romanzo "Branchie", (Editrice Ediesse, poi Einaudi, 1997). Nel 1995 ha pubblicato il saggio "Nel nome del figlio", scritto con il padre Massimo, e nel 1996 la raccolta di racconti "Fango" (Mondadori). Suoi racconti sono usciti nelle antologie "Gioventù cannibale" (Einaudi, 1966) e "Tutti i denti del mostro sono perfetti" (Mondadori, 1997).

I suoi libri sono stati tradotti in francese, tedesco, spagnolo, greco e russo. E' del 1999 "Ti prendo e ti porto via" (Mondadori), mentre nel 2001 pubblica per Einaudi "Io non ho paura".

 

 

05 marzo 2002 - Conferenza stampa
Gabriele Salvatores
Intervista al regista di
"Amnesia"

di Valerio Salvi


L'incontro per il lancio di "Amnésia" con Gabriele Salvatores più che un faccia a faccia con il regista è un'occasione per conoscere tutto il cast, una sorta di grande famiglia con Sergio Rubini, Diego Abatantuono ed il produttore Maurizio Totti. Salvatores ha voluto chiarire l'interminabile questione su "Cromosoma Calcutta", il precedente progetto di Totti e Salvatores, che ormai è ufficialmente annullato (tra l'altro la Colorado non ne detiene più i diritti) in considerazione del fatto che per ottenere un lavoro come sarebbe giusto nei confronti del libro, con set in America ed India, sarebbe stato necessario un budget hollywooddiano impensabile per una produzione italiana. Il prossimo progetto di Salvatores sarà quindi tratto dal libro di Nicolò Ammanniti "Io Non Ho Paura".
Ma veniamo alla pellicola più attuale dove, Salvatores, sempre desideroso di nuovi stimoli, si dedica alla sperimentazione soprattutto nell'ambito del montaggio e delle modalità di narrative; un desiderio che fin da "Sud" è andato crescendo: "Avrei potuto fare anche altri dieci "Mediterraneo", e me lo chiedevano, ma non ho voluto perché non avrebbe avuto senso, soprattutto per me". Il desiderio esplicito era quello di creare una serie di storie intrecciate che coinvolgessero più personaggi, ma allo stesso tempo evitando di copiare altre pellicole simili ("Pulp Fiction" di Tarantino). L'idea è stata quella di dividere il tutto in tre blocchi narrativi: uno improntato alla commedia, uno più drammatico e quello finale in cui vengono risolti tutti gli eventi in sospeso. L'ispirazione è stata il "Rashomon" di Akira Kurosawa.
Nonostante le apparenze il film è stato complesso e faticoso, alle domande incalzanti sulla possibilità che si sia trattato di una sorta di "vacanza creativa", Salvatores ha voluto specificare che seppure l'affiatamento delle troupe era elevatissimo ed il set era ad Ibiza, sono state necessarie cinque stesure della sceneggiatura per arrivare al risultato finale. L'intento era quello di mostrare l'inutilità di alcuni sforzi per ottenere qualche futile bene in più rispetto invece a valori semplici ed importanti che possono dare la felicità; ma è il pubblico che deve comunque costruirsi il "suo" film, montando nella sua testa le varie sequenze nel modo che preferisce.
Bisogna sempre considerare che se un regista decide di fare un film non lo fa tanto per farlo, ma viene spinto da una precisa esigenza: la volontà, anzi la necessità di esprimere qualcosa e poi è fondamentale che sia sincero. Il pubblico si accorge sempre se queste due cose mancano in una pellicola.
Il film non è comunque autobiografico (Salvatores non ha figli), anche se vuole essere un bilancio che Salvatores ha voluto fare alle soglie dei cinquanta anni, è piuttosto basato sulle esperienze degli stessi attori. Diego Abatantuono, che si è sentito parte in causa, ha messo molto di se stesso in Sandro. Come a teso a precisare il suo lavoro lo porta spesso in giro per il mondo, lontano dai figli, che non esitano a fargli notare la sua assenza. Anche Martina Stella ha una situazione familiare che ricalca quella del suo personaggio.
Rubini sostiene che fino ad oggi i film erano sull'eterno complesso di questa generazione di non voler crescere, ma ora i tempi sono diversi, c'è una nuova generazione di attori ed autori che si impegnano in questo e finalmente lui e Diego possono dedicarsi a momenti diversi della vita. Storicamente siamo stati forse la generazione più immatura della storia, non abbiamo potuto far riferimento alle generazioni precedenti poiché il contesto sociale è radicalmente mutato; dobbiamo vivere la nostra vita e fare i nostri conti.

Io non ho paura

Ecco come Salvatores ha scelto il romanzo di Ammaniti per realizzare un film presentato con successo a Berlino e che a giorni sarà nelle sale cinematografiche di tutta Italia.
Scopriamo, tra l'altro, che la bellissima storia era già nata per il cinema e solo successivamente è diventata un libro e che i bambini protagonisti sono stati scelti fra gli abitanti della zona di Candela. Ma le curiosità non finiscono qui.


Come è arrivato alla scelta di questo romanzo per realizzare il suo nuovo film?

A volte il libro si sceglie per la copertina e per il titolo, può sembrare superficiale dirlo, ma per me è così. Io non ho paura mi aveva attratto per questa frase e soprattutto per quel "io non ho paura", quel rafforzamento in cui c'è l'affermazione di un proprio sguardo, ma anche la differenza rispetto agli altri. Quando ho scoperto che quel "io" è un bambino di dieci anni e tutta la storia è raccontata attraverso i suoi occhi, ho capito che la cosa cominciava ad essere interessante.


Quanto è importante in tutta la storia l'ambientazione nel Sud Italia?

È vero che la storia è ambientata in questo Sud Italia martoriato, varie volte sfruttato e dimenticato, ricordato solo quando fa comodo, ma è anche vero che il romanzo (prima ancora del film) supera questo dato: non è sicuramente un'indagine sul Sud, e non è neppure un romanzo sui rapimenti. Non so quanto Nicolò Ammanniti sia contento di questo, ma riecheggia certe descrizioni di Melville o di Conrad (Il compagno segreto ad esempio o La linea d'ombra) in maniera quasi precisa: in mezzo ad un campo di grano giallo, alto, pieno di sole, c'è un buco, un buco nero che nasconde qualcosa... Oltretutto i campi di grano possono essere molto spaventosi per un bambino. Un bambino di dieci anni emerge poco e quindi è come se fosse nell'acqua, c'è un "sotto" che è tutto da scoprire. Sono questi i temi che più mi hanno interessato.


Come si è sviluppato in questo film il rapporto tra cinema e letteratura?

Niccolò in realtà aveva scritto questa storia per farne un film a basso costo, anzi avrebbe voluto girarlo lui personalmente. Poi questo soggetto è diventato un romanzo e ora un film: un "avanti e indietro" che si colloca molto bene nel contesto di un forte rapporto tra letteratura e cinema. Quello che sto tentando di fare da tanto tempo è raccontare la realtà cercando di superare da una parte il naturalismo e dall'altra parte il realismo esasperato, che rappresentano comunque parti costituenti del cinema. A questo scopo si può raccontare una storia di fantascienza cercando di superare la claustrofobia di certi giochi, oppure si può partire da una storia d'amore che si svolge ai tempi del protagonista, oppure, ed è questo il caso, un thriller, un noir visto attraverso gli occhi di un bambino: un filtro non realistico. Per darvi un esempio di ciò che intendo dire, il romanzo è tutto raccontato in prima persona: il bambino, il nostro protagonista è alto circa 1 metro e trenta e la macchina da presa di Io non ho paura è sempre a un metro e trenta da terra. Questa scelta obbliga a trovare delle soluzioni narrative alternative.


Il film ha una sua datazione precisa? È la stessa del romanzo? Ha un significato?

È una domanda molto interessante. Il film non vuole rappresentare un preciso momento storico così come non lo fa neanche il romanzo. Però, sottolineando che a un certo punto della storia vengono citate due canzoni di Mina, Niccolò mi ha detto, senza spiegarmene bene il motivo, che ha pensato al 1978. C'è il bellissimo Romanzo criminale, di De Cataldo che è ambientato in quegli anni; è l'anno del rapimento di Moro, ma non so bene perché Niccolò abbia pensato proprio a quell'anno: gli abiti, le canzoni, le automobili, La gazzetta del Mezzogiorno che viene letta, le notizie che si sentono al telegiornale dette da Emilio Fede per il TG1 sono del 1978 però... non saprei dire perché. Il film è volutamente atemporale. In effetti se il pubblico all'estero lo vedesse capirebbe che non è l'Italia di oggi ma neanche quella dell'altro ieri, non è, per intenderci, l'Italia nera degli anni Cinquanta e Sessanta.


Una curiosità: come è stata fatta la selezione dei bambini protagonisti?

Innanzitutto abbiamo visto persone originarie della zona in cui volevamo girare il film, 540 solo tra i bambini. Avevo bisogno di protagonisti provenienti da quella zone soprattutto per un problema di linguaggio, per l'uso di quella lingua arcaica e strana, contaminatissima, tra il campano e il pugliese, con qualcosa di greco, reminiscenze albanesi e inflessioni della Lucania e della Basilicata. È una lingua scarsamente diffusa che sa di cose antiche, però poco riconoscibili. Al di là della lingua esisteva anche una questione legata ai luoghi. Io credo che mettendo un bambino non dico milanese ma anche solo napoletano in un campo di grano si sarebbe paralizzato. Se vi capita di passare vicino a Candela (nei pressi di una uscita dell'autostrada tra Napoli e Bari) vedrete un oceano di grano spazzato sempre da un vento fortissimo. Non credo di aver mai visto una cosa di simile in vita mia. Mettere un bambino di città in una situazione del genere, avrebbe voluto dire impedirgli di esprimersi. In più il film è pieno di animali, di natura nascosta, di salti, di arrampicamenti sugli alberi... Ho cercato di rendere quei ragazzi dei veri protagonisti, senza espressioni finte: è sufficiente mettersi davanti a loro per farli trasformare in grandi attori.