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DOCUMENTO
SULL’APPLICAZIONE DEI LEA
Premessa.
Con il DPCM 29 novembre 2001[1]sui
LEA si pongono le basi per escludere dalla piena competenza del Servizio
sanitario tutti i cittadini ultradiciottenni non autosufficienti a causa di
malattie cronico degenerative che vengono costretti a contribuire alle spese per
le prestazioni socio – sanitarie, fatto salvo l’intervento economico dei
Comuni.
Rilevato che in tal modo viene minato alla base il
principio di universalità del diritto soggettivo alla salute e di equità di
trattamento delle persone malate e che, inoltre, si accollano ai cittadini in
condizioni di maggior debolezza (ed in seconda istanza ai Comuni) oneri
insopportabili si ritiene opportuno segnalare, in premessa, l’ampiezza della
mobilitazione che – su tali tematiche - si è creata a livello regionale.
Nel mese di dicembre 2001 la Città di Torino, La
Provincia di Torino ed il “Coordinamento permanente dei consorzi socio
assistenziali della provincia di Torino”, nel corso di una conferenza stampa,
denunciavano gli effetti del DPCM 29 novembre 2001[2]sui
LEA osservando, tra l’altro, che “già
il precedente DPCM ‘Turco Veronesi’ aveva prefigurato un nuovo equilibrio
tra sanità e servizi sociali, peggiorativo per i cittadini e gli enti locali.
Tuttavia tale atto esprimeva indirizzi e linee guida da ‘tradurre’ a livello
regionale con gli enti locali. Il nuovo DPCM, invece, non rimanda ad alcuna
forma di ‘concertazione’ tra Comuni e Regioni, fissando standard cogenti che
richiedono immediata applicazione”.
Nel testo del comunicato stampa si affermava che
“se non saranno posti correttivi, la
sanità potrà forse far quadrare i conti, ma scaricando sui cittadini e sugli
enti locali oneri insopportabili, minando alla base l’idea della gratuità del
Servizio sanitario nazionale e di garanzia di cure per tutti e specie per i più
deboli”.
La conferenza si concludeva con la richiesta “alla
Regione, e soprattutto al Presidente Ghigo, anche in quanto Presidente della
Conferenza Stato Regioni, di prendere un’immediata iniziativa per modificare
il decreto, concertare un atto applicativo regionale con gli enti locali,
assicurare al comparto socio assistenziale quelle risorse umane e materiali che
i nuovi compiti necessariamente richiedono”.
I contenuti della conferenza stampa vengono
ripresi, nei mesi successivi, dagli ordini del giorno votati da molti Consigli
Comunali in tutta la Regione ed agli organismi di rappresentanza degli Enti
locali viene richiesto di assumere inizative idonee a tutelare le
Amministrazioni chiamate in causa dal decreto.
In parallelo si sviluppa la mobilitazione delle
associazioni di volontariato A.V.O, S.E.A Italia, U.T.I.M, C.P.D, D.I.A.P.S.I,
C.S.A, A.I.M.A, Gruppi di Volontariato Vincenziano, Società di S. Vincenzo
De’ Paoli che – con l’adesione del Forum per il Volontariato e del Forum
per il Terzo Settore – avviano una raccolta di firme a sostegno di una
petizione sui LEA indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai
Ministri dell’Economia e delle Finanze, ai Presidenti del Consiglio e della
Giunta della Regione Piemonte ed ai Consiglieri.
Con la petizione si richiede al governo “di
revocare il decreto che contrasta sia con le esigenze ed i diritti fondamentali
dei cittadini, sia perché viola le leggi vigenti”[3].
Si richiede inoltre alla Regione Piemonte “di
non applicare il Decreto e di tutelare il diritto alla salute ed alle cure per
la fascia più debole della popolazione piemontese, diritto sancito dalla
Costituzione e dalle leggi nazionali approvate dal Parlamento e tutt’ora
vigenti, che affermano la competenza del SSN nei confronti di tutti i cittadini
malati e che non possono essere abrogate da un decreto amministrativo”.
L’iniziativa rappresenta una svolta significativa
nell’azione del volontariato che assume, in tal modo, la rappresentanza sociale delle “fasce
più deboli della popolazione – malati cronici giovani, adulti, anziani anche
non autosufficienti, disabili fisici, psichici e sensoriali, malati
psichiatrici, di Alzheimer, con AIDS, oncologici e con altre patologie croniche
– che necessitano di assistenza infermieristica, di prestazioni terapeutiche,
fisioterapiche e riabilitative al domicilio o presso strutture diurne e
residenziali”. Persone che “hanno
bisogno delle cure per vivere, per non soffrire e, in molti casi, per potersi
reinserire nella vita normale” e che siccome “necessitano di cure anche per tutta la vita, in conseguenza del decreto
rischiano di scendere sotto la soglia di povertà e saranno costrette a
ricorrere all’elemosina della pubblica assistenza oppure dovranno rinunciare
alle cure”.
Merita infine menzionare l’iniziativa dei Comuni
di Nichelino, Collegno, Grugliasco, Rivoli e Torino che - in sintonia con i
contenuti espressi dalle associazioni di volontariato - hanno presentato ricorso
al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio contro la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute ed il Ministero
dell’Economia e delle Finanze “per
l’annullamento, previa sospensione, del DPCM del 29/11/2001, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 08/02/2002, allegato 1 C, intitolato ‘Area integrazione
socio – sanitaria”.[4]
La ricaduta dei
decreti sul sistema locale dei servizi sociali.
I decreti penalizzano
le situazioni locali nelle quali i servizi si sono sviluppati garantendo
alla popolazione interventi e prestazioni secondo “livelli” qualitativamente
e quantitativamente più elevati di quelli “essenziali” (e non più uniformi),
previsti dalla normativa nazionale di attuazione della “riforma Bindi”.
E’ interessante esaminare nel dettaglio la
situazione che si verrebbe a creare con l’applicazione dei LEA secondo i
criteri suggeriti dalle schede di rilevazione sulla ricaduta economica del
decreto elaborate dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione:
·
L’assistenza
tutelare alla persona malata - erogata
con i protocolli regionali che regolano l’assistenza domiciliare integrata (A.D.I;
A.D.P) - ha un costo medio di circa 1.500.000 vecchie lire (per una media di 45
giorni di intervento) attualmente ad intero carico del sistema sanitario. Con
l’applicazione del decreto all’assistito verrà richiesto di contribuire
nella misura di 750.000 lire. L’esenzione del cittadino comporterebbe, per i
servizi sociali dei Comuni Associati, un notevole aggravio finanziario. Di
contro, la non esenzione provocherebbe il rifiuto delle dimissioni
dall’ospedale dei malati post acuti
con relativo aggravio di costi per il sistema sanitario.
·
L’ospitalità
in un centro diurno per disabili che
pratichi una retta di 140.000 lire giornaliere comporterà una contribuzione -
da parte della persona disabile
portatrice di handicap grave - quantificata in 42.000 lire. Se l’handicap
risulta di grado diverso è previsto l’addebito della retta piena[5].
In questo caso si registrerebbe un aumento contributivo a carico sanità sui
disabili gravi di circa il 10%, abbondantemente compensato dall’accollo totale
delle spese per i “non gravi” -
attualmente a carico sanità per il 60% della retta – agli utenti (attualmente
esenti) o ai Comuni.
·
L’ospitalità
in un centro diurno per malati di
Alzheimer o per anziani cronici non
autosufficienti che pratichi una retta di 90.000 lire giornaliere comporterà
una contribuzione da parte della persona assistita quantificata in 45.000 lire.
Attualmente la spesa è a intero carico sanità ed è pertanto difficile
quantificare l’onere che verrebbe a gravare sui Comuni.
·
L’ospitalità
in una comunità “a bassa intensità assistenziale” per malati di mente che pratichi una retta di 125.000 lire giornaliere
comporterà una contribuzione da parte della persona assistita quantificata in
75.000 lire. Ad oggi tali spese gravano sul fondo sanitario e l’aggravio di
spesa per i comuni (nell’ordine di molte centinaia di milioni) può essere
quantificato esclusivamente dai servizi sanitari che hanno in carico i pazienti.
·
L’ospitalità
in una struttura residenziale per disabili
gravi che pratichi una retta di 270.000 lire giornaliere comporterà una
contribuzione da parte dell’ospite quantificata in 81.000 lire. Se il disabile
non è grave, ma è “privo del sostegno
familiare”[6],
contribuirà nella misura di 162.000 lire. Agli ospiti che non rientrano nelle
due fattispecie previste dal decreto verrà praticata la retta piena. Anche in
questo caso al minor aggravio di spesa per i disabili gravi fa riscontro
l’aumento di spesa o l’accollo totale delle rette per interventi rivolti ai
“non gravi”.
·
Alla persona
non autosufficiente (non necessariamente anziana) ospitata in una Residenza
Sanitaria Assistenziale che pratichi una retta di 150.000 lire giornaliere
verranno richieste 75.000 lire di contribuzione. Anche in questo caso si
determina un notevole aggravio di spesa per gli utenti e/o per i Comuni.
·
Al malato di AIDS che benefici di una “lungo assistenza in regime
residenziale” in una struttura con una retta di 170.000 lire giornaliere verrà
richiesto di contribuire nella misura di 51.000 lire. Si tratta, anche in questo
caso, di un nuovo onere per i Comuni (di difficile quantificazione) in quanto a
tutt’oggi le spese sono poste a carico sanità.
Prestazioni
socio - sanitarie e competenze istituzionali.
L’integrazione tra sociale e sanitario presuppone
che siano chiari i diritti delle persone ,
definiti i soggetti deputati a garantirli, certe le risorse per attuarli.
Alla luce della normativa con la quale si intende
regolare l’erogazione delle prestazioni sociali e sanitarie è dunque
opportuna una approfondita riflessione.
Si tratta in sostanza di capire se l’impianto
normativo realizzato metta davvero la
parola fine alla possibilità della fascia più debole della popolazione di esigere
dal sistema sanitario le prestazioni necessarie ad assicurare il diritto alla
salute.
L’articolo 3 septies del D.Lgs.502/92 e s.m.i
sviluppa nel dettaglio il concetto di
integrazione socio – sanitaria fornendo, al primo comma, una definizione
delle prestazioni socio – sanitarie.
“Si
definiscono prestazioni socio sanitarie tutte le attività atte a soddisfare,
mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che
richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in
grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di
cura e quelle di riabilitazione”.
Il secondo comma dell’articolo individua due
tipologie di prestazioni socio – sanitarie:
a)
le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, ovvero le “attività
finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione,
rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie
congenite e acquisite”;
b)
le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le “attività
del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di
bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato
di salute”.
Alle tipologie di cui sopra si aggiungono le prestazioni
ad elevata integrazione sanitaria che il quarto comma definisce come “caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della
componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno –
infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenza da droga,
alcool e farmaci, patologie per infezioni da Hiv e patologie in fase terminale,
inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico – degenerative”.
Pur rinviando “all’atto
di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera n) della
legge 30 novembre 1998, n. 419” l’individuazione delle prestazioni da
ricondurre alle tipologie a), b) e di quelle da inserire nella fattispecie delle
prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, nell’articolo in oggetto
vengono fissati alcuni punti fermi in ordine al problema delle competenze
istituzionali.
Le prestazioni
sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono “assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di
assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e
dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti – obiettivo nazionali e
regionali”.
Le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria “sono
di competenza dei comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti
previsti dalla legge regionale ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n.112”.
L’individuazione del soggetto competente ad
erogare le prestazioni sanitarie a
rilevanza sociale è, nell’articolo esaminato, meno precisa
e va ricercata nel precedente articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), ove
si afferma – con riferimento alle funzioni e risorse del distretto sanitario
– che quest’ultimo deve garantire “l’erogazione
delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed
elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria
se delegate dai comuni”.
In sintesi il quadro delle competenze - delineato con legge dello
Stato - risulta così composto: alle ASL compete l’erogazione delle prestazioni
sanitarie a rilevanza sociale connotate
da specifica ed elevata integrazione e di quelle ad elevata integrazione sanitaria; ai Comuni quelle sociali
a rilevanza sanitaria (salvo delega alle ASL).
Alla competenza
ad erogare le prestazioni è collegata, in modo però diversificato,
l’attribuzione dell’onere finanziario
degli interventi. Infatti se vi è perfetta coincidenza tra gestione e
“pagamenti” per quanto attiene alle prestazioni sociosanitarie ad elevata
integrazione sanitaria (fondo sanitario) ed a quelle sociali a rilevanza
sanitaria (fondi comunali), per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale si
procede diversamente.
L’articolo 3 septies, comma 3, del D.Lgs 502/92 e
s.m.i demanda infatti ad uno specifico “atto di indirizzo”
l’individuazione, sulla base dei principi e criteri direttivi fissati
nell’articolo, non solo delle prestazioni da ricondurre alle tipologie
individuate dalla legge ma anche “i
criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle Unità sanitarie
locali e ai comuni”.
Nella fattispecie delle prestazioni
sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata integrazione,
avremo dunque - secondo questa chiave di lettura - una titolarità in capo all’Unità sanitaria locale - che dovrà
gestire gli interventi attraverso il distretto di cui all’art.3 ter del
decreto legislativo - ed una competenza
finanziaria da suddividere tra fondo sanitario e fondo assistenziale.
A tali indirizzi sembra conformarsi il D.P.C.M
14.02.2001 “Atto di indirizzo e
coordinamento in materia di prestazioni socio – sanitarie” che,
addirittura, attribuisce alle ASL le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale
anche se non connotate da specifica ed
elevata integrazione.
L’articolo 3, comma 1, del decreto afferma
infatti che le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, in quanto tali, sono
“di competenza delle aziende unità
sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti
personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale,
domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali”.
Lo stesso articolo, al comma 3, con riferimento
alle prestazioni socio – sanitarie ad elevata integrazione sanitaria conferma
che “sono erogate dalle aziende
sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in
regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e
semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del
bisogno socio – sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione
delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza”.
Infine, al comma 2 dell’articolo, nel ribadire
che le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono “di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa,
da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi” precisa che esse “si
esplicano attraverso:
a)
gli interventi di sostegno e promozione a favore
dell’infanzia, dell’adolescenza e delle responsabilità familiari;
b)
gli interventi per contrastare la povertà nei
riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni
personali o sociali;
c)
gli interventi di sostegno e di aiuto domestico
familiare finalizzati a favorire l’autonomia e la permanenza nel proprio
domicilio di persone non autosufficienti;
d)
gli interventi di ospitalità alberghiera presso
strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione
dell’autonomia, non assistibili a domicilio;
e)
gli interventi, anche di natura economica, atti a
favorire l’inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia
psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente
in materia di diritto al lavoro dei disabili;
f)
ogni altro intervento qualificato quale prestazione
sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza
secondo la legislazione vigente.
Dette
prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono
erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza”.
L’articolo 3 septies, comma 3, del D.Lgs 502/92 e
s.m.i rinviava tra l’altro al decreto la definizione dei livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilevanza
sanitaria. Gli interventi che definiscono le prestazioni sociali a rilevanza
sanitaria elencati nell’atto di indirizzo del 14.02.2001 costituiscono
pertanto il livello essenziale delle
prestazioni sociali assegnate alla competenza dei comuni che vengono così
chiamati:
·
ad erogare, nelle
fasi estensive e di lungo assistenza, le prestazioni sociali a rilevanza
sanitaria definite dagli interventi elencati dall’articolo 3, comma 2, lettere
a), b), c) d) ed e) del DPCM 14.02.2001;
·
ad erogare
inoltre, in base alla successiva lettera f), ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito
tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
Nella sostanza il decreto - pur confermando le competenze istituzionali indicate dalla legge di
riferimento – rinvia alle regioni la concreta definizione delle prestazioni
socio – sanitarie di cui all’articolo 3 septies del D.Lgs. 502/92 e s.m.i
limitandosi ad indicare alcuni criteri di riferimento:
·
l’assistenza
socio-sanitaria viene prestata sulla base di “progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni
multidimensionali”;
·
le prestazioni
sono definite tenendo conto della natura del bisogno, della complessità,
dell’intensità e della durata dell’intervento assistenziale;
·
l’intensità
è stabilita in base a fasi temporali: la fase intensiva, quella estensiva ed
infine la fase di lungo assistenza.
Appare evidente dall’esame della tabella “prestazioni
e criteri di finanziamento”, allegata al DPCM, che le fasi dovranno
scandire le competenze finanziarie dei
soggetti istituzionali chiamati in causa: la prima fase - di
durata breve e definita - dovrebbe coincidere con la piena attribuzione
degli oneri al comparto sanitario; nella fase estensiva - di
medio o prolungato periodo -
dovrebbero intervenire finanziariamente sia la sanità che l’assistenza; nella
fase di lungoassistenza gli oneri delle prestazioni verrebbero a gravare in gran
parte sul comparto assistenziale.
Se l’atto di indirizzo risolve - attraverso la
suddivisione in fasi - il problema della competenza finanziaria lascia però
aperto quello relativo alla individuazione dei soggetti deputati a garantire, dal punto di vista istituzionale, il complesso
delle prestazioni. Dalla percentuale di spesa attribuita non si può infatti far
derivare – sempre ed in modo automatico - la titolarità istituzionale.
E’ significativo il caso delle prestazioni di “Cura
e recupero funzionale di soggetti non autosufficienti non curabili a domicilio,
tramite servizi residenziali a ciclo continuativo e diurno, compresi interventi
e servizi di sollievo alla famiglia” rivolti ad “Anziani
e persone non autosufficienti con patologie cronico degenerative”.
Nella tabella allegata al decreto si pone a carico
del SSN il 100% degli oneri derivanti dall’assistenza in fase intensiva e
dalle prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva. Nella fase di
lungo assistenze semiresidenziali e residenziali, il costo addebitato al fondo
sanitario si riduce al 50% e per la restante parte interviene l’utente e/o il
comune.
Le prestazioni erogate in ambito semiresidenziale e
residenziale in quest’ultima fase sembrerebbero afferire alla tipologia degli
interventi sanitari a rilevanza sociale di
competenza istituzionale delle Unità sanitarie locale per i quali è
prevista – dalla legge – la compartecipazione finanziaria dei comuni. Di
contro, se fossimo in presenza di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, ai Comuni verrebbe richiesto di farsi
carico, in toto, dell’intervento e della relativa spesa.
Detta in altri termini: alle Unità sanitarie
locali compete l’attivazione e la gestione - in forma diretta,
convenzionata o accreditata - delle strutture semiresidenziali e
residenziali destinate ad anziani e persone non autosufficienti con patologie
cronico degenerative. Ai Comuni il decreto assegna esclusivamente l’onere di
contribuire alla spesa per la quota non coperta dall’utente.
La suddetta attribuzione di competenze non
rappresenta una novità perché - in base alle leggi vigenti - le competenze gestionali delle RSA già gravano per intero sul comparto sanitario.
Se si esamina la tabella del decreto nella parte
riferita ai disabili gravi si giunge però alla conclusione che anche per quanto attiene alle
prestazioni in regime semiresidenziale e residenziale rivolte ai disabili gravi
spetta alle Unità sanitarie locale fornirle ai cittadini, fatto salvo
l’obbligo dei comuni ad intervenire finanziariamente. Del resto si tratta di
“attività finalizzate alla promozione
della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di
esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite” che,
come tali, afferiscono alla tipologia
della prestazioni sanitarie a rilevanza sociale.
Questo secondo esempio complica certamente il
quadro perché, attualmente, sono i comuni, in genere, a gestire i Centri socio terapeutici e le Comunità
per disabili gravi. Non è dunque forse un caso che nel decreto si preveda
la possibilità che l’assistenza possa avvenire “in strutture accreditate sulla base di standard regionali”.
Per completare lo scenario normativo di riferimento
è opportuno esaminare il DPCM 29.11.2001 che, all’allegato 1.C, definisce i
livelli essenziali di assistenza (LEA)
con riferimento all’area dell’integrazione socio sanitaria per capire se
introduce novità nella definizione delle competenze istituzionali fissate dalla
decreto legislativo di riferimento e ribadite – nelle linee generali –
dall’atto di indirizzo del 14.02.2001.
Nella premessa dell’allegato si afferma che “Nella
tabella riepilogativa, per le singole tipologie erogative di carattere socio
sanitario, sono evidenziate, accanto al richiamo alle prestazioni sanitarie,
anche quelle sanitarie di rilevanza sociale ovvero le prestazioni nelle quali la
componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili
e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle
risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale. In particolare,
per ciascun livello sono individuate le prestazioni a favore di minori, donne,
famiglia, anziani, disabili, pazienti psichiatrici, persone con dipendenza da
alcool, droghe e farmaci, malati terminali, persone con patologie da HIV”.
Se la congiunzione “ovvero”
è da intendersi come “oppure” si
è in presenza di una tipologia di prestazioni non prevista dal D.Lgs.502/92 e
s.m.i. In tal caso “le prestazioni nelle
quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente
distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non
attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario
nazionale” vanno ricondotte comunque - pena l’illegittimità dell’atto
amministrativo per violazione della legge dalla quale trae origine - alla
tipologia delle prestazioni sanitarie a rilievo sociale (in quanto assogettate a
contribuzione da parte delle ASL e degli utenti/comuni).
Se, di contro, con quel termine, si intendeva specificare
che tra le prestazioni sanitarie di rilevanza
sociale rientrano anche quelle “a
componente non distinguibile” (ma finanziariamente attribuibile) allora
vale quanto già detto con riferimento all’atto di indirizzo del 14.02.2001.
In buona sostanza si ritiene di poter sostenere che
i due decreti amministrativi attuativi del
D.Lgs.502/92 e s.m.i assegnano comunque la titolarità delle prestazioni
assogettate ad una suddivisione della spesa tra diversi soggetti istituzionali
al comparto sanitario in quanto rientranti – come del resto indica la
legge di riferimento - tra le prestazioni
sanitarie a rilevanza sociale.
A tutti i soggetti deboli menzionati dai decreti le
ASL dovranno dunque assicurare (pur
con contribuzione a carico degli interessati), tra le altre prestazioni,
l’assistenza residenziale e semiresidenziale presso strutture che la normativa
esaminata assegna alla loro titolarità.[7]
Del resto non è una novità in quanto, già nel
1996, la Corte di Cassazione aveva sentenziato che “le
prestazioni sanitarie, al pari di quelle a rilievo sanitario, sono oggetto di un
diritto soggettivo, a differenza di quelle socio – assistenziali, alle quali
l’utente ha solo un interesse legittimo”.[8]
A questo punto non resta che tornare alla lettura
del disposto dell’articolo 3 septies del D.Lgs.502/92 e s.m.i – legge dalla
quale sia l’Atto di Indirizzo che il DPCM sui LEA traggono fondamento – che,
al comma 8, recita testualmente: “Fermo
restando quanto previsto dal comma 5 (le prestazioni sociosanitarie ad
elevata integrazione sono garantite dalle ASL e comprese nei LEA) e dall’articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c) (l’erogazione
delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed
elevata integrazione, gravano sul distretto sanitario) le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni
e aziende sanitarie garantiscono l’integrazione, su base distrettuale, delle
prestazioni socio sanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti
e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali socio
– sanitari”.
E dunque la Regione che – anche con l’autonomia
ed i nuovi poteri che le derivano dalla modifica del testo costituzionale - deve
mettere in condizione i comuni e le aziende sanitarie di garantire “l’integrazione,
su base distrettuale, delle prestazioni socio sanitarie di rispettiva competenza”.
Si è già detto che per ricondurre la pratica
dell’integrazione sui giusti binari, è necessario far chiarezza sui diritti
delle persone e sui soggetti deputati a garantirli avendo certezza delle risorse
per attuarli. E’ dunque essenziale che i competenti Assessorati Regionali
facciano propria la convinzione che tra i presupposti per l’avvio di un
processo virtuoso di integrazione, rientra il riconoscimento della esclusiva
titolarità del sistema sanitario a garantire il diritto alla salute a
fronte della piena responsabilità a
rendere esigibile il diritto all’assistenza da parte del sistema dei servizi sociali.
La
“gestione integrata dei processi assistenziali socio – sanitari” è
essenziale ma implica la chiara
definizione dei soggetti istituzionali chiamati a garantire i servizi e ad
erogare, tramite questi, le diverse prestazioni. La discriminante, certo non
sempre facile da individuare, è rappresentata dalla condizione di salute: i
servizi ed i presidi preposti alla cura ed alla riabilitazione delle persone
malate – siano esse minori, adulte o anziane ed affette da patologie croniche
oppure acute – devono essere affidati al comparto sanitario a prescindere
dalle professionalità (sociali o sanitarie) necessarie all’erogazione delle
prestazioni e dagli oneri di spesa eventualmente previsti.
E’ dunque alle aziende sanitarie o a quelle
ospedaliere che il cittadino deve potersi rivolgere per tutelare i propri
diritti in tema di salute. Così come è dai Comuni che si deve pretendere il
rispetto degli standard di servizi e prestazioni rivolte ai soggetti individuati
dalla legge 328/2000. Fatta questa chiarezza si
può e si deve lavorare insieme, sia sul piano della programmazione
regionale e locale degli interventi che nella pratica operatività quotidiana
delle professionalità espresse da entrambi i settori.
Considerazioni e proposte sui criteri e sulle
modalità di applicazione del decreto sui LEA
MACRO LIVELLO ASSISTENZA
TERRITORIALE AMBULATORIALE E DOMICILIARE
1.
Assistenza
programmata a domicilio (ADI e ADP).
Per
quanto attiene ai punti: a), b),c), d), f) si concorda con i contenuti espressi
dal DPCM.
Per quanto riguarda
la lettera e) prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla
persona – 50% si precisa quanto segue:
·
Gli interventi erogati all’interno
dei protocolli ADI e ADP sono esplicitamente riservati a persone affette
da patologie: si ritiene quindi che debbano rientrare nella fattispecie delle
prestazioni socio – sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui
all’art. 3 septies, comma 4, del D.Lgs.n.502/92 e s.m.i. Tali interventi
devono quindi essere assicurati dalle
ASL competenti per territorio con oneri di spesa a carico del fondo sanitario.
·
Si concorda sulla compartecipazione
(nella misura del 50%) alla spesa generata dall’attivazione di interventi
assistenziali domiciliari a beneficio di anziani
di norma ultra65enni e di disabili
gravi per i quali le competenti Unità di Valutazione abbiano certificato
una condizione di parziale o totale non autosufficienza. L’intervento,
specificamente finalizzato ad evitare o quantomeno a ritardare il ricovero in
struttura, potrà venire svolto sia attraverso i normali servizi di assistenza
domiciliare che attraverso l’erogazione di assegni o di crediti finalizzati
all’acquisto delle prestazioni assistenziali da parte degli utenti e/o dei
loro famigliari.
Nella
malaugurata ipotesi che si vogliano assogettare a contribuzione le prestazioni
di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona erogate nell’abito
dei protocolli ADI ed ADP si fa rimarcare che si è comunque in presenza di attività sanitarie a rilevanza sociale
di competenza delle ASL che dovranno
quindi provvedere direttamente alla riscossione delle quote di contribuzione
poste a carico dell’utenza secondo criteri fissati dalla Regione. Agli Enti
gestori competerebbe solamente l’integrazione economica per le persone in
condizioni di indigenza.
2.
Assistenza
sanitaria e socio sanitaria alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie a
tutela della maternità per la procreazione responsabile e l’interruzione
della gravidanza.
Per
quanto attiene al punto a) si concorda appieno con la formulazione del decreto
dando atto che l’esplicita l’attribuzione alle ASL della competenza ad
erogare “Prestazioni riabilitative e
socio riabilitative a minori ed adolescenti” costituisce una meritoria
assunzione di responsabilità da parte del sistema sanitario. E’ appena il
caso di precisare che ove le prestazioni professionali di servizio sociale
professionale venissero svolte da personale appartenente ai ruoli degli Enti
gestori (come spesso avviene per le attività consultoriali) le spese dovranno
esser poste a carico delle ASL territorialmente competenti.
3.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore delle persone con problemi psichiatrici e/o
delle famiglie.
Si
concorda con quanto epresso nel punto a) dando atto che l’inserimento delle
prestazioni socio riabilitative presso
il domicilio tra le competenze del Servizio Sanitario rappresenta un obiettivo
miglioramento delle possibilità di intervento. Ove tali presationi vengano
svolte, come accade in taluni casi, da personale messo a disposizione dagli Enti
Gestori delle funzioni socio – assistenziali le spese dovranno esser poste a
carico dei dipartimenti di salute mentale territorialmente competenti
4.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di tossicodipendenti e/o delle famiglie.
Si
concorda con il contenuto dei punti a) e b) con la necessaria precisazione che,
con il venir meno della condizione di dipendenza da sostanze, l’ex
tossicodipendente viene equiparato agli altri cittadini e, conseguentemente,
potrà beneficiare degli interventi socio assistenziali e delle prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria - di cui all’art. 3 septies, comma 2, del
D.Lgs.n.502/92 e s.m.i. - con gli stessi criteri in uso per il resto della
cittadinanza. E’ pertanto opportuno che, nel definire la condizione
di dipendenza, si adottino i criteri a suo tempo indicati dal DPCM 8 agosto
1983 (decreto “Craxi”) che assegnava alle Unità sanitarie locali il compito
di provvedere alla “cura e al recupero
fisico – psichico dei tossicodipendenti relativamente sia alla fase
terapeutica di disassuefazione fisica sia a quella diretta alla rimozione della
dipendenza psicologica dalla sostanza stupefacente o psicotropa”.
5.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
disabili fisici psichici e sensoriali.
Si
concorda con quanto epresso nel punto a) dando atto che l’inserimento delle
prestazioni socio riabilitative presso
il domicilio tra le competenze del Servizio sanitario rappresenta un obiettivo
miglioramento delle possibilità di intervento. Ove tali presationi vengano
svolte, come accade in taluni casi, da personale messo a disposizione dagli Enti
Gestori delle funzioni socio – assistenziali le spese dovranno esser poste a
carico delle ASL territorialmente competenti.
Con
riferimento al punto b) si plaude all’esplicito inserimento tra i LEA
dell’assistenza protesica ai cittadini disabili.
6.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di malati terminali.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) . Se nell’ambito dei protocolli
d’intervento sanitari venissero
richieste prestazioni domiciliari di assistenza alla persona attraverso
personale messo a disposizione dagli Enti Gestori o se a questi ultimi
venisse richiesto di fornire interventi di sostegno economico finalizzati
all’acquisto diretto di prestazioni da parte dei famigliari, gli oneri di tali
prestazioni dovranno venire assunti dal Servizio Sanitario.
7.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a persone affette da AIDS.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) . Se nell’ambito dei protocolli
d’intervento sanitari venissero
richiesti interventi educativi o prestazioni domiciliari di assistenza alla
persona attraverso personale messo a disposizione dagli Enti Gestori o se a
questi ultimi venisse richiesto di
fornire interventi di sostegno economico finalizzati all’acquisto diretto di
prestazioni da parte dei famigliari, gli oneri di tali prestazioni dovranno
venire assunti dal Servizio Sanitario.
MACRO
LIVELLO ASSISTENZA TERRITORIALE SEMIRESIDENZIALE.
8.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore
delle persone con problemi psichiatrici e/o delle famiglie.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) in particolare per quanto attiene
all’erogazione delle prestazioni riabilitative e socio riabilitative in regime semiresidenziale. Con riferimento a
queste ultime si ritiene opportuno precisare che ove esse vengano erogate
nell’ambito di Centri Socio Terapeutici (CST) o nell’ambito di Centri per
Attività Diurne (CAD) destinate a disabili e gestiti dai soggetti istituzioanli
titolari delle funzioni socio – assistenziali gli oneri di spesa dovranno
gravare per intero sul fondo sanitario.
9.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
disabili fisici, psichici e sensoriali.
Con
riferimento ai punti a) e b) si propongono alcune riflessioni.
Giova
in primo luogo ricordare la formulazione dell’art. 26 della legge 833/1978:
“Le prestazioni sanitarie dirette al
recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche,
psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità
sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’unità sanitaria locale,
quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede
mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita
l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge,
stipulate in conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della sanità,
sentito il Consiglio sanitario nazionale”.
Un
primo punto fermo va dunque individuato nell’obbligo delle unità sanitarie
locali ad erogare – attraverso i propri servizi – le prestazioni dirette non
solo al recupero funzionale, ma anche a quello sociale
dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali.
Alla
concreta attuazione del disposto dell’art. 26 si è data attuazione, nella
Regione Piemonte, ottemperando alle successive ulteriori indicazioni fornite
dall’atto di indirizzo dell’8 agosto 1983 (decreto “Craxi”) che così
specificava: “Rientrano tra le attività
socio – assistenziali di rilievo sanitario, con imputazione dei relativi oneri
sul fondo sanitario nazionale, i ricoveri in strutture protette, comunque
denominate, sempre che le stesse svolgano le attività di cui all’art.1.[9] Le prestazioni in esse erogate devono esser
dirette, in via esclusiva o prevalente: alla riabilitazione o alla rieducazione
funzionale degli handicappati e dei disabili, nell’ambito degli interventi
previsti dall’art.26 della richiamata legge 833 del 1978”.
Nel
lungo lasso di tempo che è intercorso dalla fase di attuazione della normativa
citata la Regione ha dunque sempre provveduto:
·
A
riconoscere che le prestazioni erogate presso le strutture diurne e residenziali
per disabili
(di norma gestite dai servizi socio – assistenziali) erano
dirette in via prevalente alla
riabilitazione o alla rieducazione funzionale degli handicappati e dei disabili.
Nell’ambito delle convenzioni tra USSL/ASL ed Enti gestori è infatti
prevista – in ottemperanza alle disposizioni regionali - la compartecipazione
del fondo sanitario alle spese di gestione in misura complessivamente superiore
al 60%.
·
A stipulare apposite convenzioni “con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche
in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in
conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della sanità, sentito il
Consiglio sanitario nazionale” al fine di assicurare le prestazioni
dirette in via esclusiva “: alla riabilitazione o alla rieducazione funzionale degli handicappati
e dei disabili, nell’ambito degli interventi previsti dall’art.26 della
richiamata legge 833 del 1978”. In questa seconda fattispecie gli oneri
gravano per intero sul fondo sanitario, come del resto prevede la normativa di
riferimento.
I
servizi di riabilitazione o alla
rieducazione funzionale degli handicappati e dei disabili della Regione
Piemonte sono dunque attualmente organizzati con modalità conformi alle
direttive espresse nelle “Linee guida del Ministero della sanità per le
attività di riabilitazione” che definiscono la riabilitazione come “un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del
quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile
sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione
possibile delle sue scelte operative….Di conseguenza, il processo
riabilitativo riguarda, oltre che aspetti strettamente clinici anche aspetti
psicologici e sociali.
Nel
documento – pubblicato sulla G.U 30 maggio 1998,n.124 – si precisa inoltre
che la fase dell’intervento riabilitativo definita “di mantenimento e/o di prevenzione della progressione della disabilità”,
si caratterizza “con diverse tipologie
di interventi riabilitativi sanitari abitualmente integrati con l’attività di
riabilitazione sociale”. Nella fase “estensiva
o intermedia” gli interventi “sono
erogati presso le seguenti strutture pubbliche e private ad hoc accreditate: 1)
le strutture ospedaliere di lungodegenza; 2) i presidi ambulatoriali di recupero
e rieducazione funzionale territoriali e ospedalieri; 3)i presidi di
riabilitazione extraospedaliera a ciclo diurno e/o continuativo; 4) i centri
ambulatoriali di riabilitazione; 5) le Residenze Sanitarie Assistenziali; 6) le
strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio – assistenziale ed i
centri socio – riabilitativi, ex art. 8 della legge 104 del febbraio 1992,
nonché al domicilio dell’utente” . L’utilizzo di tali strutture ha lo
“scopo di garantire assistenza
qualificata che soddisfi sia i bisogni primari che psichici ed affettivi; di
potenziare o mantenere il livello di autonomia acquisito per la miglior
conservazione possibile del benessere psico fisico; di perseguire
l’integrazione sociale degli utenti favorendo costanti collegamenti con
l’ambiente esterno”.
Per
quanto attiene ai progetti riabilitativi ed ai programmi attuativi il documento
precisa che la durata è fissata, di norma, in 240 giorni fatta eccezione per
“i pazienti affetti da gravi patologie a
carattere involutivo (Sclerosi multipla, Distrofia muscolare, Sclerosi laterale
amiotrofica, malattia di Alzheimer, alcune patologie congenite su base
genetica), con gravi danni cerebrali o disturbi psichici, i pluriminorati anche sensoriali, per i quali il progetto
riabilitativo può estendersi anche oltre senza limitazioni”.
In
applicazione delle citate linee guida “le
Regioni, ai sensi del D.P.R 14 gennaio 1997, provvedono alla classificazione dei
presidi di riabilitazione extraospedaliera pubblici e privati, ivi comprese le
strutture di riabilitazione intensiva ed estensiva extraospedaliera già
convenzionate con il servizio sanitario ex art.26 L.833/78, secondo la tipologia
dell’attività come definita dalle presenti linee guida. Le Regioni, in
particolare, tengono conto che i presidi e i centri di riabilitazione extraospedaliera erogano interventi di riabilitazione
intensiva ed estensiva o intermedia a ciclo diurno e/o continuativo rivolti al
recupero funzionale e sociale di soggetti portatori di disabilità fisiche,
psichiche, sensoriali o miste dipendenti da qualunque causa”.
Da
questa lettura dell’impianto normativo di riferimento deriva la considerazione
che il decreto sui LEA non obbliga ad introdurre alcuna innovazione. Si limita
infatti a fissare una quota di contribuzione pari al 30% da porre a carico dei
soli disabili gravi che beneficiano di
prestazioni diagnostiche, terapeutiche, riabilitative e socio riabilitative in
regime semiresidenziale senza, di contro, prevedere alcuna contribuzione a
carico di tutti gli altri disabili.
Confidando
che i competenti Assessorati Regionali vogliano confermare gli indirizzi sino ad oggi forniti si ritiene pertanto di
aderire all’indicazione di prevedere una compartecipazione alla spesa per
l’inserimento nei Centri dei disabili
gravi nella misura del 30%. Affinchè tale spesa non venga però a gravare
per intero sugli utenti (che attualmente compartecipano esclusivamente alle
spese per mensa e trasporti), si dovrà provvedere, da parte della Regione, al
finanziamento della stessa nell’ambito del fondo destinato agli Enti Gestori
delle funzioni socio – assistenziali.
In
ogni caso la non auspicabile introduzione di modifiche al vigente impianto
normativo di attuazione dell’art.26 da parte della Regione Piemonte
comporterebbe:
·
L’obbligo di attivazione da parte delle ASL di proprie
strutture per l’erogazione di prestazioni diagnostiche, terapeutiche,
riabilitative e socio riabilitative in regime semiresidenziale con relativo
aggravio degli oneri di spesa sul fondo
sanitario. Salvo diversi accordi con gli Enti gestori saranno,in tal caso,
le ASL che dovranno provvedere alla riscossione delle quote di contribuzione
eventualmente poste a carico degli utenti fatta salva la possibilità, per
questi ultimi, di beneficiare di interventi economici di sostegno all’acquisto
del servizio erogati a cura dei servizi socio – assistenziali.
·
La necessità di reperire comunque ulteriori risorse sul
fondo dell’assistenza per consentire il mantenimento dei livelli di
servizio attualmente forniti dagli Enti gestori che si vedrebbero privati delle
quote di compartecipazione sanitaria finalizzare a compensare, in parte, le
spese sostenute per l’erogazione delle attività riabilitative e socio
riabilitative svolte presso i propri centri diurni. Tali prestazioni verrebbero
infatti “declassate” ad attività
sociali a rilievo sanitario e, come tali, assegnate
all’esclusiva competenza dei comuni.
Si
concorda infine con quanto espresso al punto c) e, con riferimento al punto d),
si plaude all’inserimento dei disturbi
comportamentali all’interno delle patologie che danno luogo alla presa
in carico globale dei minori da parte dei servizi neuropsichiatrici.
10.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di tossicodipendenti.
Si
concorda con il contenuto dei punti a) e b) con opportuno rimando a quanto
esposto al punto 4 – “Attività sanitaria e socio sanitaria a favore di
tossicodipendenti e/o delle famiglie”.
11.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
anziani.
Per quanto riguarda
la lettera a) prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale
delle abilità per non autosufficienti in regime semiresidenziale, ivi compresi
interventi di sollievo – 50% si precisa quanto segue:
·
Gli interventi terapeutici e di
recupero funzionale delle abilità erogati all’interno di strutture
semiresidenziali per anziani sono esplicitamente rivolti a persone affette da patologie o con esiti da patologie: si ritiene quindi che
debbano rientrare nella fattispecie delle
prestazioni socio – sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui
all’art. 3 septies, comma 4, del D.Lgs.n.502/92 e s.m.i. La fornitura di tali
prestazioni compete dunque all’ASL territoriale, con oneri di spesa a carico
del fondo sanitario, per tutto il tempo necessario ad espletarle.
·
Si concorda sulla compartecipazione (nella misura del 50%)
alla spesa generata dall’attivazione di interventi volti al mantenimento
funzionale delle abilità e più in generale all’assistenza personale in
regime semiresidenziale effettuati a beneficio di anziani
di norma ultra65enni in condizioni di
non adeguata autonomia personale. Affinchè tale spesa non venga a gravare
totalmente sugli utenti, si dovrà provvedere, da parte della Regione, al
finanziamento della stessa nell’ambito del fondo destinato agli Enti Gestori
delle funzioni socio – assistenziali.
Si
ritiene inoltre opportuno ribadire che la titolarità
delle strutture semiresidenziali per
anziani non autosuficienti – siano esse a gestione diretta, convenzionata
o accreditata - è di competenza delle ASL
per le ragioni esposte nella parte del documento riferita alla competenze
istituzionali. Salvo diversi accordi con gli Enti gestori, saranno quindi le
ASL che dovranno provvedere alla riscossione delle quote di contribuzione poste
a carico degli utenti fatta salva la possibilità, per questi ultimi, di
benefeciare di interventi economici di sostegno all’acquisto del servizio
erogati a cura dei servizi socio – assistenziali.
12.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di persone affette da AIDS.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) in particolare per quanto attiene
all’erogazione delle prestazioni sanitarie e socio sanitarie in regime semiresidenziale. Con riferimento a queste
ultime si ritiene opportuno precisare che ove esse vengano erogate da operatori
messi a disposizione dagli Enti Gestori le spese degli interventi verranno
assunte dal Servizio sanitario.
MACRO
LIVELLO ASSISTENZA TERRITORIALE RESIDENZIALE
13.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore
delle persone con problemi psichiatrici e/o delle famiglie.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) e cioè che le spese per prestazioni
diagnostiche, terapeutiche, riabilitative e socioriabilitative
in regime residenziale debbano essere assicurate dal servizio sanitario con
oneri a carico del fondo sanitario. Coerentemente non si ritiene assolutamente
condivisibile l’addebito agli utenti o ai Comuni del 60% degli oneri di tali
prestazioni se fornite in strutture a
bassa intensità assistenziale. Si ritiene che tutti gli interventi rivolti
a pazienti con patologie psichiatriche non assogettabili a rivalutazione clinica ai sensi della DGR 118 – 7609 del 3.4.1996
debbano essere forniti dal Servizio Sanitario. Ai Comuni ed agli Enti Gestori
spetta esclusivamente la fornitura delle prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria di cui all’art. 3 septies, comma 2, del
D.Lgs.n.502/92 e s.m.i. - con gli stessi criteri in uso per il resto della
cittadinanza.
A
sostegno di tale tesi si cita nuovamente il DPCM 8 agosto 1983 : ““Rientrano tra le attività socio – assistenziali di rilievo sanitario,
con imputazione dei relativi oneri sul fondo sanitario nazionale, i ricoveri in
strutture protette, comunque denominate, sempre che le stesse svolgano le
attività di cui all’art.1.[10] Le prestazioni in esse erogate devono esser
dirette, in via esclusiva o prevalente: ………alla cura e al recupero fisico
– psichico dei malati mentali, ai sensi dell’art.64 della legge 23 dicembre
1978 n. 833, purchè le suddette prestazioni siano integrate con quelle
dei servizi psichiatrici territoriali”.
Le
strutture in questione rientrano appieno nella fattispecie delle strutture
protette (in questo caso denominate “a
bassa intensità assistenzale”) che erogano prestazioni dirette in via prevalente
(se non esclusiva) alla cura e al recupero
fisico – psichico dei malati mentali. Come tali sono affidate alla
titolarità dei servizi di salute mentale con oneri a carico del fondo
sanitario.
Del
resto tra gli obiettivi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a
perseguire “nell’ambito delle sue
competenze” - individuati dall’art. 2 comma 2, lettere f) della legge
833/78 – rientra “la tutela della
salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi
psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da eliminare ogni forma di
discriminazione e di segregazione, pur nella specificità delle misure
terapeutiche, e da favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei
disturbati psichici”.
Se
poi anche si volesse far riferimento alla tipologia delle prestazioni sanitarie a rilievo sociale di cui all’art. 3 septies,
comma 2, del D.Lgs.n.502/92 e s.m.i la titolarità rimarrebbe comunque in capo
alle ASL che dovrebbero quindi provvedere direttamente alla riscossione dei
contributi da richiedere all’utenza; fatta ovviamente salva la possibilità
per questi ultimi di beneficiare di interventi economici di sostegno a cura
degli Enti gestori delle funzioni socio assistenziali che dovranno garantirli
– come previsto dall’art.1, comma 3, della legge 328/2000 – “secondo i principi di …copertura finanziaria e patrimoniale, …..autonomia
organizzativa e regolamentare degli enti locali”.
14.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
disabili fisici, psichici e sensoriali.
Si
condivide la piena assunzione – espressa al punto a) - delle competenze (anche
finanziarie) da parte del Servizio Sanitario in ordine all’inserimento
residenziale della generalità dei
disabili (inclusi i soggetti con responsività minimale) e
dei minori affetti da disturbi
comportamentali o da patologie neuropsichiatriche – affermata al punto b).
Nulla da osservare anche per quanto contenuto nel punto d).
Con
riferimento al punto c) si ritiene che l’assunzione
della piena competenza sulle prestazioni erogate in regime residenziale da parte
del Servizio Sanitario debba valere
non solo per i disabili fisici, psichici e sensoriali genericamente
intesi - come dai punti a) e d) e per
i minori di cui al punto b)- ma anche
e soprattutto per i disabili gravi (ex art. 3 legge 104/92) e
per i disabili privi di sostegno
familiare.
A
tutt’oggi la Regione si è mossa sulla base delle indicazioni fornite dal DPCM
8 agosto 1983. Si rinvia pertanto alle considerazioni formulate al precedente
punto 9 – “Attività sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi
riabilitativi a favore di disabili fisici, psichici e sensoriali”.
Anche
in questo caso infatti il decreto sui LEA non obbliga la Regione a discostarsi
dalle linee sin qui seguite: si limita infatti a fissare una quota di
contribuzione pari al 30% da porre a carico dei disabili gravi e pari al 60% per i disabili privi del sostegno familiare che beneficiano di
prestazioni terapeutiche e socioriabilitative in regime residenziale senza,
di contro, prevedere alcuna contribuzione a carico di tutti gli altri disabili.
Confidando
che i competenti Assessorati Regionali vogliano – anche in questo caso - confermare
gli indirizzi sino ad oggi forniti si ritiene di aderire all’indicazione
di prevedere una compartecipazione alla spesa per l’inserimento in struttura
dei disabili gravi nella misura del
30%.
Inoltre,
per quanto attiene alla (non ben chiara) tipologia
dei disabili privi del sostegno familiare, si propone che essa venga
ricondotta alla fattispecie di disabile grave (se ne ricorrono le condizioni) o
a quella di disabile genericamente inteso con relativa assunzione parziale o
totale degli oneri di spesa da parte delle ASL e degli Enti Gestori o delle sole
ASL. Affinchè la quota di spesa addebitata ai disabili non venga a gravare
totalmente agli utenti, si dovrà provvedere, da parte della Regione, al
finanziamento della stessa nell’ambito del fondo destinato agli Enti Gestori
delle funzioni socio – assistenziali.
In
ogni caso la non auspicabile introduzione di modifiche al vigente impianto
normativo di attuazione delle disposizioni in materia di integrazione socio -
sanitaria relativamente ai ricoveri di disabili da parte della Regione Piemonte
comporterebbe:
·
L’obbligo di attivazione da parte delle ASL di proprie
strutture per l’erogazione di prestazioni terapeutiche e socio
riabilitative in regime residenziale per l’erogazione delle prestazioni
previste dal decreto sui LEA con relativo aggravio degli oneri di spesa sul
fondo sanitario. Salvo diversi accordi con gli Enti gestori, saranno in tal
caso le ASL che dovranno provvedere alla riscossione delle quote di
contribuzione poste a carico degli utenti fatta salva la possibilità, per
questi ultimi, di beneficiare di interventi economici di sostegno all’acquisto
del servizio erogati a cura dei servizi socio – assistenziali sino al limite rappresentato dalle risorse finanziarie e patrimoniali
disponibili.
·
La necessità di reperire comunque ulteriori risorse sul
fondo dell’assistenza per consentire il mantenimento dei livelli dei
servizi residenziali attualmente forniti dagli Enti gestori ai disabili per i
quali non venisse riconosciuta una quota di compartecipazione sanitaria
finalizzare a compensare, in parte, le spese sostenute per l’erogazione delle
attività riabilitative e socio riabilitative svolte presso le proprie
strutture. Tali prestazioni residenziali verrebbero infatti “declassate” ad attività
sociali a rilievo sanitario e, come tali, assegnate
all’esclusiva competenza degli Enti locali.
15.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di tossicodipendenti.
Si
concorda con il contenuto dei punti a) e b) con le necessarie precisazioni già
formulate al punto 4 – “Attività sanitaria e socio sanitaria a favore di
tossicodipendenti e/o delle famiglie”.
16.
Attività
sanitaria e socio sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di
anziani.
Per quanto riguarda
la lettera a) prestazioni di cura e recupero funzionale di soggetti non
autosufficienti in fase intensiva ed estensiva, si ritiene che debbano venire
ricondotti a tali fasi anche gli interventi terapeutici
e di recupero funzionale delle abilità indispensabili ad anziani affetti
da patologie o con esiti da patologie. E’ quindi
opportuno che gli oneri di permanenza in strutture residenziali per non
autosufficienti - comunque
denominate - vengano assunti in misura piena dal fondo sanitario per tutto il
tempo necessario all’erogazione delle prestazioni suddette, che devono
pertanto rientrare nella fattispecie delle
prestazioni socio – sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui
all’art. 3 septies, comma 4, del D.Lgs.n.502/92 e s.m.i.
Per
quanto attiene al punto b) si concorda sulla compartecipazione –
auspicabilmente nella misura dell’attuale 40% e non del 50% indicato dal
decreto - alla spesa generata dall’attivazione di interventi volti al
mantenimento funzionale delle abilità e più in generale all’assistenza
personale in regime residenziale (anche a titolo di sollievo) a beneficio di anziani
di noma ultra65enni in condizioni di
non adeguata autonomia personale. Affinchè tale spesa non venga a gravare
totalmente sugli utenti, si dovrà provvedere, da parte della Regione, al
finanziamento della stessa nell’ambito del fondo destinato agli Enti Gestori
delle funzioni socio – assistenziali.
Si
riafferma inoltre che trattandosi di prestazioni
sanitarie a rilievo sociale - di cui all’art. 3 septies, comma 2, del
D.Lgs.n.502/92 e s.m.i - la titolarità dei servizi residenziali comunque
denominati (RSA, RAF) è in capo alle ASL che dovrebbero quindi provvedere
direttamente alla riscossione dei contributi richiesti all’utenza; fatta
ovviamente salva la possibilità per questi ultimi di beneficiare di interventi
economici di sostegno a cura degli Enti gestori delle funzioni socio
assistenziali che dovranno garantirli “secondo
i principi di …copertura finanziaria e patrimoniale, …..autonomia
organizzativa e regolamentare degli enti locali” come previsto dall’art.1,
comma 3, della legge 328/2000.
17.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di persone affette da AIDS.
Per
quanto attiene al punto a) si ritiene che le prestazioni
di cura e riabilitazione e trattamenti farmacologici nella fase di lungo
assistenza in regime residenziale, in quanto chiaramente rivolti a persone affette
da gravi patologie debbano rientrare, a pieno titolo, nella fattispecie delle prestazioni socio – sanitarie ad elevata integrazione sanitaria
di cui all’art. 3 septies, comma 4,
del
D.Lgs.n.502/92 e s.m.i. Tali interventi devono quindi essere assicurati
dalle ASL competenti per territorio con oneri di spesa a completo carico del
fondo sanitario.
Con
riferimento alle prestazioni erogate si ritiene inoltre opportuno precisare che
- ove esse vengano fornite da operatori messi
a disposizione dagli Enti Gestori - le spese degli interventi dovranno gravare
sul Servizio sanitario, al quale è affidata la competenza istituzionale di
assicurare le prestazioni secondo i livelli previsti dal decreto 29 novembre
2001.
18.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di malati terminali.
Si
concorda con quanto espresso al punto a) in particolare per quanto attiene
all’erogazione delle prestazioni sanitarie e socio sanitarie in regime
domiciliare. Con riferimento a queste ultime si ritiene opportuno precisare che
ove esse vengano erogate da operatori messi
a disposizione dagli Enti Gestori, le spese degli interventi dovranno venire
assunte dal Servizio Sanitario.
19.
Attività
sanitaria e socio sanitaria a favore di detenuti.
Si concorda appieno
con quanto previsto al punto a).
Integrazione
tra sociale e sanitario: valorizzare il ruolo degli Enti locali.
Nel ribadire con
forza la convinzione che il Servizio sanitario deve assicurare “attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del
comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e
2 della legge 23 dicembre 1978, n.833, i livelli essenziali e uniformi di
assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi
della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità
nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro
appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità
nell’impiego delle risorse” (art. 1, comma 2, D.Lgs.502/92 e s.m.i.) si
richiede venga pienamente rispettato il disposto normativo nazionale che prevede
la valorizzazione del ruolo dei Comuni nella “verifica
del raggiungimento dei risultati di salute definiti dal Programma delle attività
territoriali” che viene “proposto
sulla base delle risorse assegnate e previo parere del Comitato dei sindaci di
distretto, dal direttore generale, d’intesa, limitatatamente alle attività
socio sanitarie, con il Comitato medesimo e tenuto conto delle priorità
stabilite a livello regionale" (art. 3-quater, comma 3, lettera c), del
D.Lgs.502/92 e s.m.i)
La definizione di
assetti più funzionali alla gestione delle attività socio sanitarie - che
consentano l’effettivo esercizio di una programmazione partecipata da parte
della comunità locale – non può che avvenire attraverso la piena
applicazione del citato articolo 3-quater
che individua nel distretto
l’articolazione dell’Unità sanitaria locale più idonea per il confronto
con le autonomie locali e per la gestione dei rapporti con la popolazione.
Il
distretto - quale garante della salute e responsabile della funzione di tutela
– deve dunque assicurare i servizi di assistenza primaria relativi alle
attività sanitarie e socio-sanitarie di cui all’articolo 3-quinquies del
D.Lgs.502/92 e s.m.i nonché il coordinamento delle proprie attività con quella
dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri,
inserendole organicamente nel Programma
delle attività territoriali.
Al distretto devono
essere effettivamente attribuite – come prevede la legge - risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della
popolazione di riferimento e – nell’ambito delle risorse assegnate – al
distretto deve essere riconosciuta la necessaria autonomia tecnico gestionale ed
economico-finanziaria con obbligo di tenere una contabilità separata
all’interno del bilancio della Unità sanitaria locale.
Dopo
l’opportuno confronto tra le parti e l’auspicabile reggiungimento di un
accordo sui criteri e le modalità di applicazione del DPCM 29.11.2001 è
necessario che si dia avvio alla definizione partecipata dei Programmi delle
attività territoriali - basati sul principio della intersettorialità degli
interventi cui concorrono le diverse strutture operative – nei quali siano determinate
le risorse per l’integrazione socio-sanitaria di cui all’articolo
all’articolo 3- septies del D.Lgs.502/92 e s.m.i e le
quote rispettivamente a carico dell’Unità sanitaria locale e dei comuni, nonché la localizzazione dei presidi per i territori
di competenza.
I Comitati dei sindaci di distretto devono essere fattivamente
coinvolti nella programmazione delle
attività afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria di cui
all’articolo 3- septies del D.Lgs.502/92 e s.m.i. L’attivazione dei Comitati
dei Sindaci del distretto, può inoltre rappresentare un primo passo per
l’attuazione degli adempimenti previsti dall’articolo 4 del D.P.C.M
14.02.2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni
socio-sanitarie” che – con riferimento alle prestazioni socio-sanitarie ed
alle prestazioni ad elevata integrazione sanitaria - richiede ai Comuni di
adottare “sul piano territoriale gli
assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini
per consentirne l’esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle
suddette prestazioni”. Il Comitato può infine assolvere ai compiti che
l’articolo 19 della legge 328/2000 “legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali” assegna ai Comuni
Associati, chiamati a definire - d’intesa con le ASL, nell’ambito delle
risorse disponibili e secondo le indicazioni del piano regionale – il piano
di zona degli interventi sociali e socio-sanitari.
L’organizzazione e
il funzionamento del Comitato dei Sindaci sono stati disciplinati dalla Regione
Piemonte con la deliberazione della Giunta Regionale 11 dicembre 2000, n. 80 –
1700 alla quale si richiede venga data piena
e sollecita attuazione. Si richiede inoltre che la Regione individui
esplicitamente nei Comitati dei Sindaci del distretto l’organismo territoriale
deputato alla tutela della salute come
diritto dell’individuo e interesse della collettività – costituita, a
livello locale, dai cittadini amministrati dai Comuni.
[1] D.P.C.M 29 novembre 2001 “Definizione dei
livelli essenziali di assistenza”
[2] D.P.C.M 29 novembre 2001 “Definizione dei
livelli essenziali di assistenza”
[3] Legge 4 agosto 1955 n.692: l’assistenza deve
essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite da malattie
specifiche della vecchiaia; decreto del Ministro del Lavoro del 21 dicembre
1956: l’assistenza ospedaliera deve essere assicurata a tutti gli anziani
quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non siano
normalmente praticabili a domicilio; legge 12 febbraio 1968 n.132, art. 29:
le Regioni devono programmare i posti letto ospedalieri necessari a
soddisfare le esigenze dei malati acuti, cronici, convalescenti e
lungodegenti; legge 13 maggio 1978 n. 180: le USL devono assicurare a tutti
i cittadini, qualsiasi sia la loro età, le necessarie prestazioni dirette
alla prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie mentali; legge 23
dicmbre 1978 n. 833: le USL sono obbligate a provvedere alla tutela della
salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le
condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione, qualunque siano
le cause, la fenomenologia e la durata delle malattie.
[4]
Le motivazioni addotte sono così sintetizzate:
·
violazione di legge per violazione del combinato disposto dell’art.1
del D.Lgs. 30/12/92 n. 502 e degli artt. 1 e 2 L.23/12/78 n. 833; violazione
dell’art. 3 septies D.Lgs 30/12/92 n. 502;
·
violazione di legge per violazione degli artt.14 e 26 L. 23/12/78 n.
833; violazione della L. 13/05/78 n. 180 violazione dell’art.1 L.
05/06/1990 n. 135; violazione dell’art. 3 L. 04/08/1955 n. 692; violazione
dell’art. 29 L. 12/02/1968 n. 132;
·
violazione dell’art. 23 della costituzione; eccesso di potere per
illogicità manifesta, irregionevolezza, carenza di motivazione.
[5] Nella Regione Piemonte oltre ai tradizionali
“Centri Socio – terapeutici (CST)” per disabili gravi sono presenti i
“Centri di attività diurne (CAD)” che ospitano persone con grado di
disabilità più lieve. Non sempre le strutture sono rigidamente distinte.
In alcune situazioni il centro è frequentato da entrambe le tipologie anche
se, agli utenti, vengono proposte attività ed orari diversi (ad esempio
frequenza part time del centro abbinata ad attività esterne per disabili
con adeguato grado di autonomia). Ad oggi le spese per le attività dei
centri diurni vengono suddivise tra sanità ed assistenza a prescindere
dalla tipologia degli ospiti e delle strutture.
[6] Se la determinazione della gravità comporta
l’attivazione della commissione di cui all’art.4 della legge 104/92, la
definizione della condizione di “privo del sostegno familiare” rimanda
sicuramente ad una (non agevole) interpretazione da parte della Regione.
[7] “Le
prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza –
e tra queste quelle contenute nell’ allegato 1.C. Area dell’integrazione
socio sanitaria del DPCM 29.11.2001 – sono
garantite dal servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con la
partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla
legislazione vigente”. (art. 1, comma 3, D. Lgs.502/92 e s.m.i.)
[8] Corte di Cassazione, Sezione 1^, sentenza n.10150
del 20 novembre 1996 riferita ad un ricorso contro il DPCM 8 agosto 1985
“Atto di indirizzo e coordinamento alle regionie alle province autonome in
materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio
assistenziali ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre 1978, n. 833”
[9] L’art. 1 del DPCM 8 agosto 1983 recita
testualmente: “Le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio
– assistenziali di cui all’art. 30 della legge 27 dicembre 1983, n.730,
sono le attività che richiedono personale e tipologie di intervento propri
dei servizi socio – assistenziali, purchè siano dirette immediatamente e
in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino
in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di prevenzione, cura e/o
riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali
l’attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti”
[10] L’art. 1 del DPCM 8 agosto 1983 recita
testualmente: “Le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio
– assistenziali di cui all’art. 30 della legge 27 dicembre 1983, n.730,
sono le attività che richiedono personale e tipologie di intervento propri
dei servizi socio – assistenziali, purchè siano dirette immediatamente e
in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino
in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di prevenzione, cura e/o
riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali
l’attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti”