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SCHEMA di PIANO SANITARIO NAZIONALE
2002 – 2004 |
SINTESI
Marzo 2002 |
INDICE
Presentazione
il nuovo scenario ed i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale….……………………………
pag. 4
Parte prima
i progetti obiettivo
Progetto 1
"Attuare l’Accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza"…….…………………. " 5Progetto 2 "Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali
per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili".…………………………………… " 5
Progetto 3 "Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria
e delle tecnologie biomediche"….…………….………………………………………………………… " 6
Progetto 4 "Potenziare i fattori di sviluppo (o "capitali") della sanità"..…….……………………………… " 7
Progetto 5 "Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità".…………… " 9
Progetto 6 "Ridisegnare la rete ospedaliera ed i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza
e per gli altri Ospedali"..…………………………………………………………………………………… " 10
Progetto 7 "Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza".…………………………………………………… " 12
Progetto 8 "Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari..……… " 13
Progetto 9 "Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione
e la comunicazione pubblica sulla salute"...………………………………………………………… " 14
Progetto 10 "Promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza"….……………………… " 15
Parte seconda
gli obiettivi generali
1. La promozione della salute……………………………………………………….………..pag. 16
I tumori………………………………………………………………………………………..………………….. " 16
Le cure palliative……………………………………………………………………………………………….. " 17
Il diabete e le malattie metaboliche…………………………………………………………………… . " 18
Le malattie respiratorie e allergiche……………………………………………………………..……… " 19
Le malattie reumatiche ed osteoarticolari…………………………………………………………….. " 19
Le malattie rare……………………………………………………………………………………………….… " 19
Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione……………………………………….…. " 20
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)
e le malattie a trasmissione sessuale…………………………………………………………….… " 21
Gli incidenti e le invalidità…………………………………………………………………………………… " 21
Le lesioni cerebrali……………………………………………………………………………………………… " 22
La medicina trasfusionale……………………………………………………………………………………. " 22
I trapianti di organo………………………………………………………………………………………….… " 23
2
. L’ambiente e la salute…………………………………………………………..pag. 24L’inquinamento atmosferico………………………..……………………………………………………….… " 24
L’amianto…………………………………………………………………………………………………………….. " 25
Il benzene……………………………………………………………………………………………………………. " 25
La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento……………………………………………………….. " 25
Le acque di balneazione…………………………………………………………………………………………. " 26
L’inquinamento acustico…………………………………………………………………………………………. " 26
La medicina del lavoro…………………………………………………………………………………………… " 27
I campi elettromagnetici………………………………………………………………………………………… " 27
Lo smaltimento dei rifiuti……………………………………………………………………………………….. " 28
Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici e di altra natura………………" 29
3
. La sicurezza alimentare e la sanità veterinaria….…………..….. " 314
. La salute e il sociale……………………………………………………………………………. " 32Le fasce di povertà e di emarginazione…………………….…………………………………………….. " 32
La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente……………..………………………..…….. " 32
La salute mentale………………………………………………………………………………………………….. " 34
Le tossicodipendenze……………………………………………………………………………………………. " 36
La sanità penitenziaria………………………………………………………………………………………….. " 39
La salute degli immigrati……………………………………………………………………………………….. " 39
Ringraziamenti a coloro che hanno collaborato alla stesura del presente Piano
…………….………" 41
PRESENTAZIONE
Il nuovo scenario ed i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale
Lo schema di Piano Sanitario 2002-2004 è radicalmente differente dai piani che l'hanno preceduto. Le ragioni di questo cambiamento risiedono nelle modificazioni sociali e politiche che sono intervenute in questi ultimi anni. Già la stessa modificazione del nome del Ministero da Ministero della Sanità a Ministero della Salute è significativo. Infatti, anche se il Servizio Sanitario Nazionale è un importante strumento di salute, non è l'unico; il benessere psicofisico si mantiene se si pone attenzione agli stili di vita, all'ambiente, all'alimentazione, evitando gli stili che possono risultare nocivi. Per quanto riguarda lo scenario politico istituzionale, il recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta assumendo l'aspetto di una reale devoluzione. E’ quindi naturale che il Piano Sanitario Nazionale, coerente con questi cambiamenti, si trasformi da atto programmatico per le Regioni in progetto di salute, condiviso ed attuato con le Regioni in modo sinergico ed interattivo.
Compito fondamentale dello Stato è assicurare per quanto possibile l'etica dei sistemi operativi e quindi dare garanzia ai cittadini che i loro diritti costituzionali sono rispettati. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale, pur essendo mediamente soddisfacente, non sempre riesce a garantire equità al sistema; basti pensare a questo proposito al problema delle liste d'attesa per le patologie che non possono attendere, al doppio canale di pagamento delle prestazioni generato dalla libera professione intramoenia negli Ospedali, alle differenze quali-quantitative nei servizi erogati nelle varie aree del Paese, agli sprechi e all'inappropriatezza delle richieste e delle prestazioni, al condizionamento delle libertà di scelta dei malati, all'insufficiente attenzione posta al finanziamento e all'erogazione dei servizi per cronici ed anziani.
Lo schema di Piano Sanitario attuale si apre quindi con un forte richiamo all'etica del sistema e ai sette principi di Tavistock che costituiscono un punto di riferimento, cui la Nazione nel suo Servizio Sanitario deve tendere. Gli obiettivi strategici del Piano vengono discussi nella Parte Prima, mentre la Parte Seconda illustra gli Obiettivi Generali.
PARTE PRIMA
I Progetti Obiettivo
Progetto 1 "Attuare l’Accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza"
Il primo di essi riguarda i Livelli Essenziali ed appropriati di Assistenza, la loro manutenzione e soprattutto l'uniformità della loro realizzazione sul territorio nazionale. I Livelli Essenziali di Assistenza sono il primo frutto concreto dell'Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in materia sanitaria l'8 agosto 2001 e hanno appunto il compito di garantire su tutto il territorio nazionale uguali prestazioni ai cittadini. Essi includono per la prima volta il concetto di garanzia dell'assistenza erogata e di appropriatezza. Infatti le prestazioni per essere considerate essenziali devono essere appropriate e questa appropriatezza deve essere periodicamente verificata dalle Regioni.
Nell’ambito dell’Accordo, particolare importanza riveste la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie, sottolineata più volte anche dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio e anch'essa obiettivo di primaria importanza per il cittadino. A seguito dell'Accordo Stato-Regioni del 14 febbraio 2002 le Regioni oggi dispongono di strumenti addizionali di flessibilità per affrontare e risolvere il problema delle liste di attesa. Esse si assumono inoltre l'obbligo di verificare periodicamente le liste e renderle pubbliche onde permettere ai cittadini la verifica della bontà delle iniziative. Per i prossimi tre anni gli obiettivi saranno quelli di sviluppare un sistema di indicatori pertinenti e continuamente aggiornati per il monitoraggio dell'applicazione dei LEA, aggiornare con cadenza periodica i livelli essenziali di assistenza in termini di indicatori di appropriatezza e di tipologia delle prestazioni tramite un'apposita Commissione Nazionale nominata dalle Regioni e dal Ministero della Salute, rendere pubblici i tempi di attesa per le prestazioni appropriate, filtrando quelle non appropriate e ponendo in priorità quelle relative alle patologie più invalidanti ed urgenti.
Progetto 2 "Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili"
Il secondo importante obiettivo è quello di creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili. Premesso che la cronicità e la vecchiaia non sono stati finora affrontati nel nostro Paese con la dovuta attenzione e con i dovuti strumenti, si ritiene che questo obiettivo sia ormai indifferibile: la popolazione anziana cresce continuamente e con essa crescono le pluripatologie e le invalidità. Sempre più diviene necessario integrare davvero la prestazione sanitaria con l'assistenza sociale, cosa che oggi non sempre avviene e crea grave disagio ai pazienti e alle loro famiglie. L'anziano e il disabile inoltre chiedono di poter essere assistiti al loro domicilio, evitando il ricovero improprio in strutture ospedaliere o in residenze sanitarie assistenziali, non appena questo è possibile. Mancano Centri di degenza riabilitativa post-acuta e di sollievo, Centri diurni nei quali gli anziani possono essere assistiti, manca soprattutto un sistema di presa in carico globale dell'assistito che ne risolva i bisogni sanitari e sociali e lo guidi all'interno di una rete di servizi dove spesso egli si sente disorientato. Altre nazioni hanno già provveduto a costituire un adeguato fondo assicurativo contro i rischi della non-autosufficienza o comunque a reperire risorse capaci di assicurare all'anziano divenuto non-autosufficiente e alla sua famiglia la possibilità di continuare una vita dignitosa. Il nostro Paese ancora non ha provveduto ad affrontare questo problema in modo adeguato ed è quindi tempo che ciò avvenga.
Bisogna anche sviluppare la cosiddetta ospedalità a domicilio ovvero trasferire a domicilio del paziente alcuni servizi oggi erogati solo dall'Ospedale, incluse le cure palliative, le terapie infusionali, la dialisi, etc. Viene presentato nel Piano un modello di cura ed assistenza a domicilio che integra l'assistenza specialistica di tipo ospedaliero, quella territoriale con i servizi sociali.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
Per i tre anni di applicazione del Piano vengono fissati i seguenti obiettivi:
avviare lo studio per l’identificazione di una adeguata sorgente di risorse per la copertura dei rischi di non-autosufficienza;
la sperimentazione di forme di "governo della rete" che integrino le competenze degli Ospedali, delle ASL e dei Comuni, con ricorso anche all’utilizzo di gestori di servizio privato nelle aree di sperimentazione.
Progetto 3 "Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche"
Sempre più frequentemente emerge in sanità l'intolleranza dell'opinione pubblica verso disservizi e incidenti, che originano dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualità e che vanno dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure codificate, agli evidenti sprechi.
La normativa ISO 9000 progettata anche per la sua applicazione in sanità, dopo il successo ottenuto nell’industria e negli altri servizi, definisce un insieme di regole, che includono l’organizzazione aziendale, le responsabilità, la analisi minuziosa dei processi, la formazione del personale e le verifiche esterne da parte di soggetti accreditati, con rilascio della certificazione.
L'istituto della certificazione è, quindi, diverso da quello dell'accreditamento previsto dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992 n. 502. L’accreditamento, infatti dovrebbe essere il processo attuato dalle Regioni per ammettere gli erogatori, cioè le strutture autorizzate e certificate, a fornire servizi finanziati dal Fondo Sanitario Regionale, dopo adeguata contrattazione delle tipologie e dei volumi di prestazioni e dei relativi prezzi. Il processo di accreditamento prevede ulteriori requisiti degli erogatori di servizi certificati, ma non dovrebbe sostituirsi al processo di autorizzazione e a quello di certificazione e l'intera materia deve quindi essere riesaminata e migliorata, anche perché non si può ammettere che la mera esistenza dei requisiti richiesti per l’accreditamento dia automaticamente diritto agli erogatori di servizi ad operare per il Servizio Sanitario Regionale.
La certificazione degli erogatori di servizio può contribuire a rafforzare il controllo della collettività, che si sostituisce al controllo burocratico, finora esercitato dallo Stato. Il ruolo di un Osservatorio di parte terza indipendente, capace di misurare i risultati delle prestazioni erogate e certificate, deve completare questa nuova forma di controllo della società sui servizi sanitari.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
Nel corso dei tre anni saranno perseguiti i seguenti obiettivi, cui corrispondono altrettante azioni:
- promuovere all’interno di ogni Azienda Sanitaria la costituzione di un Servizio della Qualità con l’obiettivo di portarlo alla certificazione secondo la norma ISO 9000;
- assegnare al Servizio della Qualità una valenza strategica, tramite la sua collocazione in staff ai vertici dell’azienda e collegare il Servizio ai singoli Reparti operativi della struttura attraverso referenti di Reparto;
- sostenere i Servizi della Qualità nella redazione di un Manuale della Qualità;
- rivedere l’attuale normativa sull’accreditamento;
- promuovere la nascita dell’Osservatorio per la Qualità, che proceda alla progettazione e realizzazione di un sistema articolato di monitoraggio e reporting;
Progetto 4 "Potenziare i fattori di sviluppo (o "capitali") della sanità"
Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di "capitale": umano, sociale e fisico.
Il "capitale umano", ossia il personale del Servizio Sanitario Nazionale, è quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La Pubblica Amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del personale e alla promozione della professionalità e molti strumenti utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.
Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 diventa, infatti, realtà l’acquisizione dei crediti per tutti gli operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla Commissione Nazionale per l’Educazione Medica Continua. Ben più importante, inizia, secondo l’Accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e grazie all’adesione di varie organizzazioni e associazioni inclusi gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie e le Società scientifiche italiane, l’aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi aziendali per il personale, utilizzando anche e soprattutto la rete informatica.
Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione infermieristica e delle altre professioni sanitarie, per le quali si impone la nascita di una nuova "cultura della professione", così che il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della classe medica sia dell’utenza, all’autentico fondamento epistemologico del nursing. In questo senso va letto il Decreto Legge 12 novembre 2001 n. 402, convertito nella Legge 8 gennaio 2002 n. 1, che consente alle strutture sanitarie di avvalersi di infermieri professionali e altri professionisti che lo desiderino per esercitare un’attività libero-professionale per alcuni versi analoga a quella consentita ai medici, e che permetta loro una migliore gratificazione economica, oltre alla possibilità di avere pari accesso alle qualificazioni universitarie. Si è, inoltre, ritenuto importante consentire agli operatori socio-sanitari di svolgere alcune attività assistenziali, a seguito di corsi di formazione.
Gli investimenti per l’edilizia ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla Legge 11 marzo 1988 n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non sono ancora stati utilizzati per una serie di difficoltà incontrate sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di progettualità e di realizzazioni.
Alla luce delle necessità di oggi, una consistente parte delle risorse dovrebbe essere utilizzata per realizzare Centri di Eccellenza, capaci di offrire uniformemente sul territorio nazionale prestazioni di alta specialità e di trattenere così nella Regione i pazienti che attualmente sono costretti ad emigrare per vedere soddisfatti alcuni dei loro bisogni di salute. L’investimento in Centri di Eccellenza è strategico anche in vista della libera circolazione dei pazienti nell’Unione Europea, di cui già si è cominciato a discutere.
Il risultato finale deve, in sintesi, prevedere la sinergia di interventi mirati a:
- dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
- valorizzare le figure del medico e degli altri operatori sanitari;
- utilizzare i fondi ancora disponibili per le strutture e attrezzature ospedaliere, dedicando buona parte degli investimenti ai Centri di Eccellenza distribuiti strategicamente su tutto il territorio nazionale e tra loro collegati in rete con scambi di conoscenze e personale;
- alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacità gestionali e rallentano l’innovazione, consentendo loro una gestione imprenditoriale finalizzata anche all’autofinanziamento;
- investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento della società civile e strumento per rapportare i cittadini alle Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati;
Progetto 5 "Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità"
Il recente accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha sancito in maniera positiva la convergenza di interesse tra Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente così da creare una forte coscienza della autoformazione e dell’aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie professionali impegnate nella sanità.
Un elemento caratterizzante del programma è la sua estensione a tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio è evidente: nel momento in cui si afferma la centralità del paziente e muta il contesto dell’assistenza, con la nascita di nuovi protagonisti e con l’emergere di una cultura del diritto alla qualità delle cure, risulta impraticabile la strada di una formazione élitaria, limitata ad una o a poche categorie professionali, e diviene obbligo morale la garanzia della qualità professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della équipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse professioni sanitarie e tecniche.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni
La necessità di coinvolgere una utenza di oltre 800.000 professionisti impone gradualità nell’introduzione e nell’attuazione del sistema. Alla luce di ciò, e delle considerazioni sopra riportate, si ritiene che gli obiettivi raggiungibili nei prossimi tre anni siano i seguenti:
a) avvio della fase a regime (dal 2002), con apertura di un sito Internet dedicato, che accetterà la registrazione di eventi formativi i cui crediti, assegnati secondo griglie predisposte dalla Commissione Nazionale e valutata da referees anonimi indicati dalle Società Scientifiche, saranno oggetto di certificazione ufficiale ai sensi della Legge;
b) attuazione (dal gennaio 2002) della formazione intra-aziendale, come base per garantire una adeguata offerta formativa, in grado di soddisfare tutte le categorie professionali interessate;
c) graduale applicazione dell’obbligo formativo, definito in dieci crediti per il 2002, venti crediti per il 2003 e trenta crediti per il 2004;
d) attuazione della formazione a distanza per tutti gli operatori, compresi i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i liberi professionisti, mediante approvazione ed accreditamento delle piattaforme di e-learning e dei loro contenuti da parte della Commissione Nazionale tenendo conto del fatto che i medici di medicina generale hanno già sviluppato un sistema di informazione dei loro componenti mediante trasmissione di dati e immagini per via satellitare e simili iniziative sono state intraprese anche da altre Associazioni professionali;
e) definizione dei criteri per il passaggio dall’accreditamento degli eventi formativi a quella dell’accreditamento dei providers, mediante la delega ai soggetti previsti dalla Legge ed in possesso di requisiti di idoneità, alla produzione di eventi formativi ed all’attribuzione dei relativi crediti;
f) implementazione di un sistema di controllo sulla qualità degli eventi, dei providers e del programma generale di Educazione Continua in Medicina (ECM) affidato prevalentemente alle Società Scientifiche e alla loro Federazione;
g) attuazione di un programma di verifica e di adeguamento "in progress", allo scopo di portare il sistema alla piena funzionalità alla fine del triennio;
h) utilizzazione dei crediti per la conferma della validità dell’esame di abilitazione professionale e loro valorizzazione come titoli di carriera.
Progetto 6 "Ridisegnare la rete ospedaliera ed i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali"
Per molti anni l’Ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza dalla propria residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben 1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili.
Negli ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre delle attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e tempestive. Un piccolo Ospedale generale diviene assai più utile se si attrezza con un buon Pronto Soccorso di primo livello, una diagnostica di base e un Reparto di osservazione e si connette con uno o più Centri di alta specialità ai quali inviare i casi più complessi, rinunciando ad attuare procedure diagnostiche o terapeutiche non più sufficientemente moderne.
Accanto a questa rete di Ospedali minori, che meglio possono divenire Centri Distrettuali di Salute, è però necessario potenziare un numero limitato di Centri di Eccellenza di altissima specialità e complessità, situati strategicamente su tutto il territorio nazionale. Molti di questi Centri già esistono, ma parte di essi richiede un forte rilancio.
A tal fine occorre che le Regioni sappiano realizzare uno strategico e coraggioso ridisegno della loro rete ospedaliera, superando anche resistenze di settore o interessi di parte, ed è anche necessaria una forte azione di comunicazione con la popolazione interessata per la quale può essere utile il coinvolgimento dei Sindaci delle aree metropolitane, che dispongono oggi di notevoli poteri.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni:
- costruire e potenziare, in accordo con le Regioni e con i Sindaci di alcune città metropolitane, alcuni Centri di Eccellenza e collegare in rete tali Centri in modo da realizzare un proficuo scambio di personale e conoscenze;
- validare il modello sperimentale per trasferirlo, progressivamente e in accordo con le Regioni interessate, ad altri Centri di Eccellenza e grandi Ospedali metropolitani;
- prendere a modello alcune specialità mediche, come l’ematologia, che hanno già istituito una rete coordinata fra i Centri operanti sul territorio nazionale per migliorare l’assistenza ai pazienti in ogni area del Paese;
- attivare servizi di consulenza a distanza, compresa la telematica, per i medici di medicina generale e per gli specialisti e sviluppare i mezzi per il trasporto sanitario veloce;
- attivare, in accordo con le Regioni, alcune sperimentazioni in altrettanti IRCCS, in cui gli enti siano trasformati in Fondazioni di tipo pubblico onde migliorare la gestione di tali importanti istituti. A questo proposito è necessario cogliere l’opportunità delle essenziali modifiche relative all’assetto istituzionale offerte, in via sperimentale, dall’art. 28, comma 8, della Legge Finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448, che prevede le seguenti possibilità:
1) inserire le Regioni e lo Stato pariteticamente nell’organo di governo dell’Ente. Per questo si è pensato sulla scorta di esperienze straniere di trasformarli in Fondazioni, con un Consiglio di Amministrazione a maggioranza pubblica che garantisca la missione pubblica, ma anche con la possibilità di ammettere privati mecenati (ovvero economicamente disinteressati, quali ad esempio le Fondazioni bancarie) che possano apportare capitali, fermo restando la natura pubblica degli Enti, come previsto dall’art. 28 della Legge Finanziaria 2002;
2) attivare e/o partecipare società che gestiscono attività produttive al fine di generare risorse da utilizzare nella ricerca e nella gestione, incluso il superminimo per il personale;
3) la Fondazione può affidare la gestione dei servizi in tutto o in parte a terzi. L’affidamento della gestione totale è difficile possa avvenire negli attuali IRCCS, il cui personale dipendente opera con contratto di lavoro di diritto pubblico. La soluzione relativa all’affidamento della gestione totale si può prevedere eventualmente per gli IRCCS che sorgano ex novo.
I vantaggi attesi da queste sperimentazioni sono i seguenti:
1) dare alle Regioni la possibilità di partecipare direttamente al governo degli IRCCS pubblici;
2) aumentare le risorse disponibili per la gestione e la ricerca tramite l’inserimento di privati mecenati disinteressati nel Consiglio di Amministrazione e tramite lo sviluppo di attività produttive cogestite con i privati. Per il personale che oggi opera con rapporto di lavoro di diritto pubblico non vi è ragione di alcun timore, in quanto la finalità pubblica della Fondazione garantisce che il rapporto di lavoro esistente, di diritto pubblico, non verrà modificato;
3) ridurre in tal modo il disavanzo a carico del pubblico, rispettando nel frattempo la missione pubblica (cioè evitare la selezione dei pazienti);
4) riunire gli IRCCS per aree tematiche di ricerca in una rete che opera con scambio di conoscenze e personale, così da elevare il livello della disciplina trattata in tutto il Paese, compreso il Meridione dove oltre tutto si pensa di attivare qualche nuovo IRCCS.
In una parola si vuole rilanciare gli IRCCS pubblici che oggi si confrontano spesso malamente con quelli privati, soprattutto per l’efficienza della gestione e per il gradimento della popolazione, creare reti di Centri di Eccellenza capaci di sostenere il confronto con simili presidi in Europa, dotare questi Centri di più risorse per la gestione e la ricerca, mantenere il controllo e la missione pubblica di questi importanti motori di sviluppo della medicina italiana.
Progetto 7 "Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza"
Le Linee Guida 11 aprile 1996 n. 1, forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza e sulle Unità operative che compongono i Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla base di tali indicazioni il sistema dell’emergenza sanitaria risulta costituito da:
- un sistema di allarme sanitario assicurato dalla centrale operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale (118);
- un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi di soccorso distribuiti sul territorio;
- una rete di servizi e presidi funzionalmente differenziati e gerarchicamente organizzati.
Un aspetto che necessita un approfondito esame è relativo al problema di disincentivare gli accessi "impropri" al Pronto Soccorso, da parte di cittadini che vi accedono di propria iniziativa, saltando le tappe del medico di medicina generale o dei presidi territoriali.
Per perseguire questa finalità si può ipotizzare il pagamento per le prestazioni richieste in Pronto Soccorso, ma non urgenti. Alcuni propongono che tutti i cittadini possano accedere al Pronto Soccorso di qualsiasi Ospedale, sottoponendo al pagamento delle prestazioni i pazienti che non ricadano nelle seguenti fattispecie:
- pervenuti a bordo di un’ambulanza per emergenza;
- inviati dalla Guardia Medica Territoriale;
- inviati dal proprio medico di medicina generale;
- inviati da uno specialista ospedaliero o del territorio.
E’ però anche necessario adeguare le potenzialità assistenziali dei Pronto Soccorso migliorando la risposta del territorio alle esigenze dell’acuzie sanitaria.
Per raggiungere questo scopo si può prevedere la collocazione di un ambulatorio di continuità assistenziale nei pressi del Pronto Soccorso con organico dedicato (medici di continuità assistenziale, medici di emergenza territoriale o altri sanitari opportunamente addestrati). L’ambulatorio viene alimentato dal triage del Pronto Soccorso, riguarda le prestazioni differibili e proprie del territorio, deve essere aperto negli orari del servizio di continuità assistenziale, e nei DEA di 2° livello per 24 ore al giorno.
In questo contesto è anche opportuno promuovere l’apertura di studi medici di medicina generale sul territorio, che assicurino la presenza del medico per 12 ore al giorno e per 7 giorni alla settimana, da attuare anche attraverso gli studi medici associati.
Progetto 8 "Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari"
Il convincimento che le sfide più importanti si possano vincere soltanto con l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.
Alla luce di tutto questo, aver mantenuto la spesa pubblica italiana per la ricerca tra le più basse in Europa, rispetto al prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per il nostro Paese. Da più parti si è elevato a questo proposito il monito che, uscendo dalle difficoltà economiche momentanee, l'Italia debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche. Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende solo dalla disponibilità di fondi pubblici.
Obiettivi strategici sono:
- la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche per la autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;
- la individuazione di fonti e canali aggiuntivi di finanziamento della ricerca biomedica e sanitaria nel settore privato (fondazioni, donazioni, industria, capitali di rischio);
- la riqualificazione degli IRCCS come Centri di ricerca biomedica, anche riuniti in rete e tra loro associati;
- la identificazione di tutte le possibili modalità di interagire con la ricerca ed i capitali privati così da integrare i fondi pubblici per la ricerca con fondi privati;
- la collaborazione tra MIUR e Ministero della Salute, con particolare riferimento ai progetti strategici, già individuati, della post genomica, della nuova ingegneria biomedica, delle neuroscienze, della qualità alimentare e del benessere;
- la realizzazione di reti strutturali e progetti coordinati fra diverse Istituzioni collegate con il Ministero della Salute (ISS, IRCCS, IZS, ISPESL) anche per l’accesso al Sesto Programma Quadro Europeo di Ricerca, ai fondi del PNR 2001-2003 e ai fondi per i progetti di ricerca industriale ex Legge 297/99.
Del tutto recentemente, il Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca ha presentato al CIPE per approvazione le Linee Guida del Governo per lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, che includono e ampliano gli obiettivi suddetti.
Progetto 9 "Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute"
Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di molte patologie è legata agli stili di vita. Infatti:
a) oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso, numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l’artrosi, l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica della prevenzione delle malattie connesse all’alimentazione è la necessità di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto i gruppi ad alto rischio.
b) Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attività fisica riveste un ruolo fondamentale.
c) Il fenomeno del tabagismo è molto complesso sia per i risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la pesante compromissione della salute e della qualità di vita dei cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi (non fumatori).
L’odierna normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici risulta essere limitata ed inefficace nella sua applicazione. Il divieto di fumo, così come regolamentato sostanzialmente dalla Legge n. 584 dell’11 novembre 1975 e dalla direttiva 14 dicembre 1995, non è sufficiente. Questa normativa, nel tentativo di puntualizzare i luoghi ove è vietato fumare e di affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti dall’autorità necessaria, ha di fatto creato incertezze e difficoltà che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.
Al fine di attivare una più incisiva azione di dissuasione, con l’articolo 52, comma 20, della Legge Finanziaria 2002 sono state inasprite le sanzioni per i trasgressori del divieto di fumo prevedendo una sanzione amministrativa da 25 a 250 Euro, raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini fino a 12 anni. Contemporaneamente, sono state intensificate e stimolate procedure di controllo e rilevamento delle infrazioni da parte delle forze dell’ordine.
Un ulteriore sviluppo normativo dovrà prevedere l’applicazione del divieto di fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti.
Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e più incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potrà essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in età scolare e alle donne in età fertile.
La pianificazione e la realizzazione di efficaci campagne di comunicazione da parte delle Istituzioni si scontra con l’affollamento di messaggi sui mass media, sostenuto da forti investimenti delle aziende a fini commerciali.
I fondi pubblici non possono competere con le somme a disposizione delle imprese private e ciò minimizza giocoforza l’impatto e i risultati delle campagne di comunicazione istituzionale, riducendone la visibilità presso il pubblico.
Si ritiene pertanto di adottare, come progetto sperimentale da avviare a partire già nel primo semestre del 2002, il modello di comunicazione istituzionale, poggiato su tecniche di pubblicità sociale, già sperimentato, in particolare nel mondo anglosassone.
Tali tecniche sono basate su un’alleanza tra le finalità pubbliche e sociali e le finalità di aziende private per costruire una partnership con una o più "cause", per il raggiungimento di un beneficio comune, nell’ovvia esclusione dei conflitti diinteresse.Rispetto ad altre forme di collaborazione del pubblico con il privato, il nuovo modello di comunicazione istituzionale protegge l’indipendenza e la correttezza della comunicazione della causa poiché è interesse dell’azienda partner che l’operazione sia di alto profilo.
Il vantaggio per una comunicazione istituzionale effettuata secondo questo modello, oltre all’ovvio aumento delle risorse finanziarie a disposizione, è la possibilità che il messaggio sia trainato presso un determinato target dalla credibilità di un marchio noto e familiare, che venga associato alla causa nella sua comunicazione.
Progetto 10 "Promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza"
L’impiego razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo che il farmaco riveste nella tutela della salute.
L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza, costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza dei pazienti nell’assunzione dei medicinali. Più in generale, bisogna puntare sul buon uso del farmaco.
Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco possono essere così definiti:
offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la valutazione dell’appropriatezza della farmacoterapia e l’impatto delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in base alla Legge 405 del 2001;
attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei farmaci;
porre il farmaco fra i temi nazionali dell’Educazione Continua in Medicina (ECM); rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai cittadini; promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi.
PARTE SECONDA
Gli obiettivi generali
Questa seconda parte è suddivisa in quattro Capitoli: la promozione della salute, l'ambiente e la salute, la sicurezza alimentare e la sanità veterinaria, la salute e il sociale.
1. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE
Nella prima parte "La promozione della salute" vi sono i Capitoli "Vivere a lungo", "Vivere bene", "Combattere le malattie". Tra le malattie da combattere figurano al primo posto le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari che rappresentano ancora il 43% dei decessi registrati in Italia, ed i tumori che, malgrado i progressi fatti, ancora costituiscono il 28% circa della mortalità complessiva.
I tumori
Le morti prevenibili da tumori sono legate ad una modificazione di alcuni stili di vita e ancora vi è spazio per agire per prevenire il fumo, il consumo di alcool, le abitudini alimentari scorrette e l'esposizione a particolari fattori di rischio. Altro tema sul quale è necessario concentrare più sforzi sono gli screening di comprovata efficacia e in particolare il pap-test, la mammografia, la ricerca del sangue occulto nelle feci.
Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla mancanza di "ospedalizzazione a domicilio" vi è la scarsità di adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente due: 1) la gran variabilità della casistica clinica non consente ai tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi e terapia di questa patologia; 2) la necessità di fronteggiare tutte le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unità di Radioterapia presenti sul territorio nazionale).
L'oncologia è una disciplina che coinvolge molti enti con diverso interesse principale, perché non essendo ancora nota la causa etiologica è necessaria un'intensa attività di ricerca che comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e la ricerca clinica propriamente detta. In questo complesso d'attività sono coinvolti:
1) l'Università e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che hanno come obiettivo fondamentale la ricerca di base,
2) gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), il cui bersaglio principale è la ricerca traslazionale,
3) gli Ospedali che, assieme agli IRCCS e alle Cliniche Universitarie, si occupano anche di ricerca clinica,
4) le organizzazioni non governative di supporto.
Si è però venuta a creare una situazione non bene definita, perché questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati essenzialmente perché manca un accordo formale sulla suddivisione di compiti tra enti diversi.
Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare una discussione su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato un'iniziativa definita "European Cancer Research Iniziative" ,il cui scopo essenziale è di aiutare la Commissione Europea a definire i contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso della discussione è però emersa come prioritaria la necessità di risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni Oncologiche europee è di definire un modello di centro oncologico cui dare tre obiettivi prioritari:
1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
2) favorire la parità tra pazienti e medici;
3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in Europa.
Nell'ambito di tali proposte, si intendono perseguire in Italia una serie di iniziative, d'intesa con le Associazioni per la ricerca e per la lotta contro il cancro, finalizzate a:
- realizzare un Progetto-modello di Centro Oncologico traslazionale (IRCCS);
- affiancare agli IRCCS esistenti una serie di Centri Ospedalieri, creando così una rete oncologica in grado di soddisfare le richieste emergenti dal territorio, di favorire la collaborazione tra Enti e l’uso di protocolli avanzati, di costituire un’"Alleanza contro i tumori", allargando la partecipazione anche alle Associazioni e al volontariato;
- realizzare un progetto di formazione del personale anche attraverso scambi di conoscenze ed esperienze e il rientro di personale dall’estero.
Le cure palliative
Lo sviluppo delle cure palliative è legato, ad alcuni fattori di fondamentale importanza. Tra questi: la possibilità di un maggior controllo del dolore cronico maligno attraverso il ponderato uso di analgesici comuni, inclusi gli oppiacei, ed il riconoscimento che i disturbi neuro-psichici richiedono un trattamento aggiuntivo con anticonvulsivanti o antidepressivi; un miglior controllo degli altri sintomi presenti; un maggior rispetto della volontà del paziente circa la propria morte; una miglior comprensione del ruolo dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale nei pazienti terminali; un rifiuto dell’accanimento terapeutico.
In particolare, attraverso una corretta valutazione e scelta degli analgesici, circa l’80% del dolore da cancro può essere contenuto con farmaci poco costosi che il paziente può autonomamente somministrarsi per bocca ad intervalli regolari, permettendo una assunzione più agevole e praticabile anche a domicilio, seppure con dosaggi aumentati rispetto alla somministrazione per iniezione.
Il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nell’utilizzazione dei farmaci oppiacei e presenta ancora una insufficiente diffusione sull’intero territorio dei Centri per le cure palliative con una distribuzione geografica disomogenea. Questa situazione fa sì che solo un numero limitato di pazienti terminali possano giovarsi di cure efficaci ed integrate del dolore e della sofferenza psicologica, mentre la maggior parte di essi sono condannati a mesi di sofferenze evitabili.
Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative è necessario quindi:
- rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci antidolorifici, migliorando la disponibilità degli oppiacei, semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente;
- individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione:
- promuovere una maggiore diffusione dei Centri ed una maggiore integrazione tra l’Ospedale ed il domicilio del malato;
- avviare la formazione dei medici e del personale sanitario con l’istituzione di insegnamenti di medicina palliativa, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi europei.
Il diabete e le malattie metaboliche
L’incidenza del diabete di tipo 2 è in aumento in tutto il mondo occidentale ed anche nei Paesi in via di sviluppo e, la diagnosi viene posta in fase più precoce rispetto al passato. A questo va aggiunto che l’obesità è pure in forte aumento ed occorre ricordare che essa è un alto fattore di rischio per la comparsa della malattia diabetica.
Vi è oggi ampia evidenza che il counselling individuale finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare la dieta (riducendone il contenuto di grassi totali e di grassi saturi e aumentandone il contenuto in fibre) e ad aumentare l’attività fisica, riduce il rischio di progressione verso il diabete del 58% in 4 anni.
In questo settore, gli interventi devono essere orientati a sviluppare:
sistemi di sorveglianza per definire meglio e monitorizzare la dimensione della malattia diabetica;
counselling individuale ad opera dei Centri per il diabete finalizzato al miglioramento degli stili di vita; tali Centri potrebbero assumere anche il ruolo di Centri per la lotta all’obesità;
programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare per il diabete mellito in età evolutiva, con l’obiettivo di ridurre i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente (cecità, amputazioni degli arti);
strategie per migliorare la qualità di vita dei pazienti, attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.
Le malattie respiratorie e allergiche
Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza mirati, la conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed ambientali, nonché dell’efficacia dei metodi per la riduzione dell’esposizione agli allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la valutazione dell’impatto di tali metodi sulla salute. E’ necessario inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il personale sanitario, e per i pazienti e le loro famiglie.
Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
Tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidità attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette è stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.
L’osteoporosi è una patologia del metabolismo osseo di prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni, e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia nella vita della donna del 40% contro un 15% nell’uomo. Particolarmente temibile è la frattura femorale per l’elevata mortalità (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche ad essa associate. I più noti e importanti fattori di rischio per l’osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve entità, la menopausa precoce per la donne, l’amenorrea prolungata, il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di corticosteroidi, il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture. Fondamentale quindi è la prevenzione, con misure volte a migliorare lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani, e con l’impiego delle metodiche densitometriche nei soggetti a rischio.
Le malattie rare
Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000 patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il 10% delle patologie che affliggono l’umanità. Malattie considerate rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in via di sviluppo.
Per la loro rarità, queste malattie sono difficili da diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono ancora terapie efficaci.
Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio 2001 n. 279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo 29 aprile 1998 n. 124, prevede:
- l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l’informazione e la formazione, ridurre l’onere che grava sui malati e sulle famiglie. La rete è costituita da presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche. Tra questi vengono individuati i Centri interregionali di riferimento per le malattie rare, ai quali è affidato, oltre alle funzioni assistenziali, il coordinamento dei presidi secondo metodologie condivise (Registro interregionale, consulenza e supporto ai medici del Servizio Sanitario Nazionale, scambio di informazioni, attività formativa degli operatori sanitari e di informazione per i cittadini);
- l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, per poter avere a livello nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle diverse malattie rare;
- la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284 patologie (congenite e acquisite) ai fini dell’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;
- la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni, lo sviluppo delle attività di ricerca tese al miglioramento delle conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.
Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in termini di controllo di alcuni malattie prevenibili con le vaccinazioni.
Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione degli obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie:
- entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il 2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;
- entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.
Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture vaccinali. In tale quadro è anche importante:
- individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli eventi epidemici;
- sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a vaccinazione;
sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena;
controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di viaggi;
diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle malattie infettive;
partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell'Unione Europea;
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a trasmissione sessuale
In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da metà del 1996 si è osservato un decremento nel numero di nuovi casi, dovuto in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove infezioni si è stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di quanto accadeva tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni ’90 non tende più alla diminuzione.
A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
- il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio dell'infezione da HIV;
- il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti infettivi;
- il miglioramento della qualità della vita delle persone infette da HIV;
la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella popolazione giovanile;
lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;
il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate precocemente e la cui attesa di vita è molto prolungata, è un problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo futuro.
Gli incidenti e le invalidità
I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a partire dalla fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell’Italia, con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro circa 20.000 invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la prima causa di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause maggiori di invalidità (più della metà dei traumi cranici e spinali sono attribuibili a questi eventi).
Gli interventi principali di prevenzione riguardano:
- la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a motore a due ruote;
gli standard di sicurezza dei veicoli;
l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e seggiolini);
le migliori condizioni di viabilità (segnaletica stradale, illuminazione, condizioni di percorribilità) nelle zone ad alto rischio di incidenti stradali;
la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al rispetto dei limiti di velocità e della segnaletica stradale nonché alla riduzione della guida sotto l’influsso dell’alcool;
il potenziamento del trasporto pubblico.
Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero mostra un andamento in continua crescita, con un numero di casi di circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono soprattutto ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la metà di questi incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici).
Le lesioni cerebrali
Tra gli obiettivi strategici va considerato quello di realizzare sul territorio nazionale una rete di presidi per il trattamento delle lesioni cerebrali, ognuno dei quali costituito da tre distinte subunità:
1) Unità neurologica e neurochirurgica per il trattamento del paziente acuto, dotata di terapia semi-intensiva (Stroke Unit);
2) al termine del periodo acuto diviene necessario il ricovero del paziente in Unità di Riabilitazione per il recupero. In questo ambito è necessario sviluppare anche una ricerca atta a realizzare nuovi metodi e nuovi presidi e protesi capaci di migliorare il recupero del malato;
3) se il recupero non è possibile o è stato ottenuto quello possibile, il paziente deve essere avviato a Strutture Residenziali o a domicilio. Le terapie domiciliari sono possibili, ma gravano pesantemente sulle famiglie e quindi spesso si rendono difficili. Nei presidi per la cronicità a tempo indeterminato devono afferire anche i soggetti in stato vegetativo permanente provenienti dalle Rianimazioni, che oggi si trovano in difficoltà non sapendo dove trasferire questi pazienti.
Il complesso delle tre Unità sopra descritte, riunite in rete sul modello già descritto per i Centri di Eccellenza, può costituire lo strumento adatto a risolvere un grave problema assistenziale e nel contempo a sviluppare una ricerca applicata che in questo ambito è estremamente necessaria.
La medicina trasfusionale
Gli obiettivi primari dell’autosufficienza regionale e nazionale, i più elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo modello di sistema trasfusionale, il cui quadro organizzativo sia di tipo dipartimentale con criteri di funzionamento e di finanziamento definiti sulla base:
- delle attività di produzione, comprendenti la selezione ed i controlli periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e degli emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e placentare (sangue da cordone ombelicale), nonché la raccolta di plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati;
- delle attività di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione del sangue e dei suoi prodotti, anche per l’urgenza.
Con l’intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in tutto il territorio nazionale il numero dei donatori volontari periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora esistenti in alcune Regioni.
I trapianti di organo
Nel corso dell’ultimo triennio l’incremento complessivo del numero di donazioni e della qualità dei trapianti in Italia ha portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee, e il numero dei donatori di organo è aumentato del 42,3%, con un incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.
Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:
- ridurre il divario fra le Regioni in termini di attività di reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per milione di abitanti;
- prevedere sistemi di verifica sull'efficacia dell'attività dei coordinatori locali, contestualmente al riconoscimento di incentivi;
- prevedere che in tutte le rianimazioni si attuino procedure per reperire tutti i potenziali donatori e sia disponibile la commissione per l’accertamento della morte;
- predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto;
valutare e rendere pubblici i risultati delle attività di prelievo e trapianto di organi;
rendere sempre più oggettivi e trasparenti i criteri di ammissione del paziente al trapianto.
2. L'AMBIENTE E LA SALUTE
L'inquinamento atmosferico
Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie ambientali europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al 34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del monossido di carbonio.
I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono, che sono prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili, anch’essi in misura preponderante, al traffico su strada.
Il peso del traffico non deve comunque far dimenticare che un contributo all’inquinamento atmosferico urbano, minore in valore percentuale ma pur sempre alto in valore assoluto, deriva dagli impianti di riscaldamento; questo comparto, ora che l’industria pesante ha praticamente abbandonato l’ambiente urbano, resta, insieme al traffico, di fatto l’unica sorgente di inquinamento. In questo settore il diffondersi degli oli combustibili leggeri e soprattutto del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette praticamente altri inquinanti) e il rafforzamento delle politiche di controllo sugli impianti in esercizio da parte delle Autorità istituzionali (Province e Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche se molto ancora potrebbe e dovrebbe essere fatto (è oggi realisticamente immaginabile, grazie ad una ulteriore estensione dell’impiego del metano e a politiche di obblighi di manutenzione, un dimezzamento delle emissioni da impianti di riscaldamento entro un periodo di 3-5 anni).
Recenti studi epidemiologici indicano che l’inquinamento atmosferico nell'ambiente esterno delle 8 maggiori città italiane ha un impatto sanitario rilevante in termini di mortalità, ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di malattie respiratorie (WHO-ECEH, 2000).
Per quanto riguarda gli aspetti essenziali di prevenzione e protezione ambientale nelle aree urbane è prioritario assicurare il rispetto delle vigenti normative in materia di livelli consentiti di inquinanti atmosferici e adoperarsi per abbattere ulteriormente i livelli del PM10 e degli altri inquinanti. Il conseguimento di questo obiettivo richiede una serie complessa di interventi essenzialmente relativi al traffico automobilistico e agli impianti di riscaldamento.
In particolare, è importante:
-
ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando strumenti legislativi e fiscali, migliorando le caratteristiche tecniche dei motori dei veicoli e la qualità dei carburanti;-
ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti fisse, identificando le fonti inquinanti, migliorando i processi tecnici e cambiando i combustibili.A causa della struttura particolare delle città italiane, questi due tipi di interventi dovrebbero prevedere restrizioni severe e regolamentazione del traffico nelle aree urbane, tenendo in considerazione tutte le tipologie di veicoli esistenti compresi i ciclomotori. Questi ultimi contribuiscono significatamene all’aumento delle concentrazioni di inquinanti pericolosi, come il benzene.
L’amianto
E' prioritaria una più idonea strategia per la bonifica dei siti dove si lavorava amianto e una verifica della presenza di residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.
E’ necessario, poi, elaborare ed adottare d’intesa con le Regioni, Linee Guida che indirizzino l'attività delle strutture sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale delle persone esposte in passato ad amianto.
Il benzene
Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per l'uomo, l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il benzene può essere emesso sia come prodotto di combustione (che si forma a partire dai componenti della benzina, in particolare idrocarburi aromatici), sia in forma di sostanza incombusta, per evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei veicoli.
Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene significativi e considerevolmente variabili.
L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene è stato perseguito con successo attraverso la riduzione del benzene nella benzina, ma è indispensabile continuare con determinazione gli sforzi intrapresi.
La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantità sufficienti di acqua per tutto l’anno, circa il 13% degli Italiani non riceve sufficienti quantità di acqua per un quarto dell’anno e circa il 20% per due/tre quarti dell'anno. Queste proporzioni non sono ugualmente distribuite in tutto il Paese. La maggior parte delle popolazioni del Sud e delle isole non riceve quantità sufficienti di acqua per almeno un quarto dell’anno.
Inoltre, in molte parti d’Italia, per le quali vi sono dati disponibili, i caratteri organolettici dell’acqua come torbidità, colore, odore o sapore sono di bassa qualità. La proporzione della popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto è elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.
Per il prossimo futuro occorrerà promuovere le seguenti azioni:
- riduzione della quantità di prodotti impiegati in agricoltura e autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto sull’ambiente e sulla salute umana;
- adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto sull’ambiente;
- promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali effetti dei contaminanti chimici dell’acqua potabile sulle funzioni riproduttive umane;
- miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;
- ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;
- incremento della tutela delle acque dai processi di contaminazione urbana, agricola o industriale;
intensificazione dell’attività di controllo dei contaminanti chimici, fisici e biologici delle acque potabili con l’esclusione dell’erogazione delle acque non conformi.
Le acque di balneazione
La normativa italiana relativa al controllo delle acque di balneazione ha fissato, per gli indicatori microbiologici di contaminazione fecale, valori limite più restrittivi rispetto alla direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa italiana considera "acque di balneazione" le acque nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata dalle Autorità e non vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che "acque di balneazione" sono da considerarsi quelle dove la balneazione è praticata da "un congruo numero di bagnanti". Questo comporta che in Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi dall’inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento, tutte le acque siano considerate "acque di balneazione".
L’osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le campagne di controllo svolte in base al Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470, porta a riconoscere un generale miglioramento della qualità delle acque delle zone costiere italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata.
L'inquinamento acustico
Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del traffico veicolare è soltanto uno degli strumenti per migliorare la qualità ambientale, e deve essere integrata con altre azioni individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla pianificazione urbanistica, alla viabilità e conseguente regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento dell’attività di controllo e repressione dei comportamenti eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti, alla zonizzazione acustica (classificazione del territorio comunale in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento acustico comunale.
La medicina del lavoro
Per quanto riguarda l’esposizione negli ambienti di lavoro, quattro sono i livelli di azione da intraprendere per ridurre l’incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:
- migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite una più corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;
- incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla corretta applicazione della vigente legislazione in materia, in particolare destinando almeno l’1% del personale sanitario della ASL alla vigilanza e alla prevenzione, come previsto da "Carta 2000";
- completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dal Decreto Legislativo 15 agosto 1991 n. 277;
- attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle aziende che vogliono attuare interventi di riduzione della rumorosità negli ambienti di lavoro.
I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati i maggiori sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello estrattivo.
I campi elettromagnetici
Negli ultimi anni si è verificato un aumento senza precedenti del numero e della varietà di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e distribuzione dell’energia elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare (sorgenti a radio frequenza e microonde), nonché altre apparecchiature usate in medicina, nell’industria e nel commercio. Tali tecnologie, pur di grande utilità, generano continue preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.
Un recente rapporto scientifico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1999) ha evidenziato che, secondo la letteratura scientifica oggi disponibile, non sussiste alcuna prova convincente del fatto che l’esposizione a campi di radio-frequenza (RF) possa abbreviare la vita dell’uomo o promuovere l’insorgenza del cancro. Tuttavia, lo stesso rapporto ha sottolineato la necessità di effettuare ulteriori ricerche per ottenere un quadro più completo sui rischi per la salute, soprattutto sui possibili rischi cancerogeni a seguito di un’esposizione a lungo termine a bassi livelli di RF.
Secondo il recente "Libro Bianco" sull’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (documento redatto nel novembre 2001 da un gruppo di studio coordinato dal Prof. Angelo Bernardini dell’Università La Sapienza di Roma), l’analisi delle principali ricerche e studi scientifici effettuati in campo internazionale consente di pervenire alle seguenti considerazioni:
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le uniche basi scientifiche a supporto della scelta di un criterio per la limitazione delle emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza sono quelle indicate dall’ICNIRP (International Committee for Non-Ionizing Radiation Protection);-
anche in considerazione dell’aumento dei livelli di esposizione della popolazione legato allo sviluppo di sistemi di telecomunicazione, occorre che vengano proseguiti studi e ricerche atti a fornire elementi per la valutazione di eventuali rischi non ancora accertati che consentano di ridurre l’attuale grado di incertezza scientifica;-
allo stato attuale, in assenza di risultati scientifici certi, è possibile fare ricorso a politiche cautelative a condizione che valutazioni di rischio e limiti di esposizione siano fondati su basi scientifiche e non su considerazioni improprie e arbitrarie;-
in base a quanto emerge dalla letteratura scientifica, non appare giustificato il ricorso alla definizione di nuovi valori rispetto ai limiti indicati dall’ICNIRP; l’unico approccio cautelativo attualmente applicabile consiste nell’imporre criteri di progettazione degli impianti volti a minimizzare i livelli di emissione.La normativa a tutt’oggi vigente in Italia – in attesa di una nuova generale regolamentazione di tutto il settore – (la Legge Quadro 22 febbraio 2001 n. 36 prevede infatti espressamente l’emanazione di specifici decreti attuativi) è rappresentata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992, recante i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno e il Decreto Interministeriale 10 settembre 1998 n. 381, recante "norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana".
Con la suddetta Legge Quadro n. 36, in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono stati previsti, fra l’altro, l’adozione di limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, la misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico nonché la fissazione di parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti, in applicazione dell’art. 4, comma 1, lettere a), e) e h).
Questi adempimenti si scontrano con notevoli difficoltà di ordine pratico, essendosi nel frattempo autorevoli consessi scientifici espressi a favore di una maggiore coerenza della normativa italiana con gli orientamenti formulati nella Raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione della esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Le preoccupazioni espresse da più parti si riferiscono al timore che alcuni degli approcci previsti nella citata Legge Quadro n. 36 del 2001 possano portare a decisioni non rispettose del principio costo-beneficio. L’obiettivo prioritario è quello di orientare in modo più scientificamente valido le politiche di protezione sanitaria e ambientale in questo settore, anche alla luce degli sviluppi nella valutazione del rischio e nella conoscenza scientifica.
Lo smaltimento dei rifiuti
Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonché quando lo smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie.
I principali obiettivi in questo settore sono:
- l’adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell’uomo ed elimini i danni ambientali;
- l’attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei rifiuti;
- l’incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con particolare riferimento al riciclaggio;
l’incremento delle attività di tutela ambientale per l’individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di smaltimento non idonee;
il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento.
Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici e di altra natura
Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si è presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un rischio più plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa l'Italia.
Fra le iniziative più importanti assunte immediatamente a ridosso dei tragici eventi dell’11 settembre 2001:
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è stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001 un’apposita Unità di Crisi che, fra l’altro, ha elaborato il protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica derivante da un eventuale uso del bacillo dell’antrace;-
sono stati individuati, d’intesa con le Regioni, l’ISS e l’ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di lavoro; l’Ospedale L. Sacco di Milano, l’IRCSS L. Spallanzani di Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto clinico nonché l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876 campioni di materiale sospetto);-
é stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;-
si è provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali ritenuti essenziali;-
si è fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario coordinamento per la costruzione di una elevata capacità di risposta sanitaria.Contestualmente, si è reso necessario predisporre altre misure sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili, stabilendo l’idonea pianificazione degli interventi.
In linea con il Piano Nazionale di difesa da attacchi terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato, perciò, redatto un documento di Piano che si articola in due parti: nella prima è presa in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, è trattata la minaccia chimica e radiologica.
Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:
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predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire, specifichino le modalità di svolgimento ed identifichino i diversi livelli di responsabilità;-
approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per affrontare i diversi scenari di emergenza;-
adottare procedure operative standard per la risposta a falsi allarmi;-
intensificare l’aggiornamento e la formazione di operatori sanitari;-
sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il collegamento e l’integrazione tra diversi sistemi informativi.
3. LA SICUREZZA ALIMENTARE E LA SANITA' VETERINARIA
L’impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali è stato considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficoltà di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in seguito alla stipula dell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS) nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della sicurezza igienico–sanitaria. Tali difficoltà sono, per certi aspetti, comuni a tutta l’Unione europea, ma in Italia l’adattamento è risultato, sotto diversi aspetti, più difficile.
Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei mercati), malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti del sistema di Sanità pubblica veterinaria nazionale, non è ancora sufficientemente sviluppata. Inoltre la politica della formazione appare ancora largamente inadeguata rispetto alla straordinaria velocità dei mutamenti già avvenuti e previsti nell’immediato futuro.
Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:
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definire una politica della sicurezza degli alimenti e della salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica dell’emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di sicurezza e di salute misurabili e verificati;-
ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle zoonosi, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ai consumatori italiani;-
ridurre l’incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive nelle popolazioni degli animali domestici, con particolare riferimento alle infezioni della lista A dell’OIE, alla brucellosi bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonché alle encefaliti spongiformi trasmissibili.Da quanto premesso scaturisce con forza la necessità di un Piano Nazionale per la Sicurezza Alimentare redatto e governato da un apposito ufficio di coordinamento che, prendendo le mosse dalla riorganizzazione a livello nazionale resa necessaria dall’avvio dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, definisca in modo fortemente integrato, con chiarezza e in maniera dettagliata, la natura e le responsabilità di diversi livelli di intervento, dei flussi di coordinamento nell’acquisizione dei dati nonché delle relative analisi e consenta di assumere e di attuare a livello più idoneo e con rapidità le decisioni indispensabili per il conseguimento degli obiettivi summenzionati.
4. LA SALUTE E IL SOCIALE
Le fasce di povertà e di emarginazione
Numerosi studi hanno documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalità non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti.
Effetti diretti della povertà e dell'emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali, dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.
Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 4.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 4.4); e (v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 4.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per l'assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilità e capacità di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa punto di incentivi a carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile.
La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalità infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia è sceso di più del 75%, dal 20,5 del 1975 al 5,47/1.000 del 1997. Si tratta di uno dei più significativi miglioramenti registrati nell'Europa occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali (Sicilia, Basilicata, Campania) il tasso di mortalità infantile nel 1997 era di 7,57/1000 nati vivi, rispetto al 3,86 delle Regioni con il tasso di mortalità più basso (Veneto, Lombardia). La mortalità neonatale (entro le prime quattro settimane di vita, ed in particolare entro la prima) più elevata nelle Regioni del Centro-Sud, è responsabile della maggior parte di tale mortalità
Nella valutazione dello stato di salute della popolazione infantile un importante indicatore è il peso alla nascita dei neonati a termine. Esso è influenzato dallo stato sociale e da altri fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT). L'incidenza di basso peso alla nascita non è cambiata in maniera significativa nel corso degli ultimi 15 anni.
La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentavi di razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 493 nel 1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita nel 50% degli Ospedali, ed il pronto soccorso pediatrico è presente nel 30% degli Ospedali. La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei punti nascita è ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate: tra queste poco meno della metà ha meno di 500 parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.
L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuità assistenziale sul territorio, ha determinato, nel 1999 un tasso di ospedalizzazione del 119‰, un valore significativamente più elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad esempio il Regno Unito (51‰) e la Spagna (60‰).
Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del Parlamento Europeo del 1986), ancora più del 30% dei pazienti in età evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area pediatrica. L’area pediatrica è "l'ambiente in cui il Servizio Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e l'adolescente".
Gli obiettivi per i prossimi tre anni:
pianificare l'assistenza perinatale attraverso la centralizzazione delle gravidanze a rischio in Ospedali dotati di Terapia Intensiva Neonatale;
attivare il Servizio di trasporto di emergenza neonatale in ogni Regione;
ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo del 10‰ per anno;
incrementare l’adozione di strutture socio-sanitarie alternative, quali l'ospedalità a domicilio ed in strutture residenziali funzionalmente collegate con gli Ospedali;
articolare gli interventi di Guardia Pediatrica e di Pronto Soccorso, secondo un modello interdisciplinare, che sia in grado di differenziare il luogo della accoglienza e della assistenza all'utenza da quello di ricovero, mediante la creazione, in ogni unità operativa pediatrica, di un'area di osservazione temporanea, opportunamente regolamentata;
diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con valori medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione del DRG relativi;
rendere disponibile in almeno parte delle strutture il cosiddetto parto indolore;
ottimizzare il numero di punti nascita, riducendone il numero ed incrementandone la qualità.
La salute mentale
I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perché la loro prevalenza mostra un trend in aumento e perché ad essi si associa un elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali, che pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettività.
Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale segnalano che nell’arco di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o più dei disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L'assetto organizzativo dei servizi per l'età adulta, come previsto dall'attuale normativa, prevede quattro tipologie strutturali, coordinate all'interno di un modello dipartimentale:
Centri di salute mentale per interventi sul territorio;
Servizi psichiatrici di diagnosi e cura per l'assistenza ospedaliera;
Centri diurni e day hospital per attività riabilitative in regime semiresidenziale;
Strutture per attività riabilitative in regime residenziale.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale, al momento attuale, sono:
la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture Residenziali per attività riabilitative, insieme ad una mancanza di coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l’età evolutiva, i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani; tale evidenza induce a valutare, nel rispetto del modello dipartimentale di cui al Progetto Obiettivo Salute Mentale 1998-2000, la necessità di sperimentare un modello di Coordinamento Interdipartimentale che garantisca in ciascuna Azienda Sanitaria l’integrazione funzionale con i Dipartimenti materno-infantile, anziani, tossicodipendenze e con i Distretti, garantendo certezza di presa in carico e di continuità terapeutica condivisa dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso, pubblico o privato accreditato; alla realizzazione dei programmi del coordinamento interdipartimentale devono partecipare le strutture del privato sociale ed imprenditoriale accreditate. Le Associazioni dei familiari devono essere periodicamente consultate e coinvolte dal Coordinamento;
la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per le condizioni psichiatriche che prevedono una più elevata intensità e durata dell’intervento riabilitativo;
la carenza negli organici dei Dipartimenti di Salute Mentale;
la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei bisogni di salute della popolazione;
la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida da parte dei servizi, nonché di parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione sociale nella popolazione;
la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai problemi della salute mentale in età evolutiva e nell'età "di confine", che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente ed alla quale è utile rispondere anche con il contributo, almeno in fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed imprenditoriale;
la carente gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche;
la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 e dal relativo progetto obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza del modello organizzativo ivi delineato.
A breve termine è necessario pianificare azioni volte a:
ridurre le disomogeneità nella distribuzione dei servizi e negli organici all’interno del territorio nazionale superando le discrepanze esistenti tra il Nord e il Sud del Paese ed all’interno delle singole realtà regionali, anche attraverso il ricorso al contributo di strutture private sociali ed imprenditoriali, promuovendo la realizzazione di un numero adeguato di Strutture residenziali per le condizioni psichiatriche che prevedano una più elevata intensità e durata dell’intervento riabilitativo, individualizzato sulla base dei bisogni del paziente, regolarmente sottoposto a verifica;
concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e privati superando, finalmente qualunque approccio custodialistico;
pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dei disturbi mentali in età infantile ed adolescenziale attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;
potenziare i servizi territoriali di diagnosi e quelli di day hospital o comunità di accoglienza e, soprattutto, attivare o potenziare i servizi di pronto soccorso psichiatrico o di reperibilità pubblici o privati accreditati afferenti al servizio di Salute Mentale, operanti nel corso delle 24 ore, poiché la presa in carico in tempo utile riduce in maniera altamente significativa l’incidenza di un disturbo mentale che altrimenti tende a cronicizzarsi;
assicurare la presa in carico e la continuità terapeutica dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso nel sistema sanitario, pubblico o privato accreditato, attraverso la sperimentazione di un modello di Coordinamento Interdipartimentale che garantisca in ciascuna Azienda Sanitaria l’integrazione funzionale dei Dipartimenti di Salute Mentale con i Dipartimenti materno-infantile, anziani, tossicodipendenze, con i Distretti e i Dipartimenti Ospedalieri; alla realizzazione dei programmi del coordinamento interdipartimentale parteciperanno le strutture del privato sociale ed imprenditoriale accreditate; le Associazioni dei familiari verranno periodicamente consultate dal Coordinamento;
migliorare la gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e patologie organiche, mediante l’attivazione di Servizi di Psichiatria di Consultazione e Collegamento con la medicina generale e quella ospedaliera;
promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel campo della salute mentale;
attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di familiari e di pazienti;
attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230.
Le tossicodipendenze
Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura istituzionale idonea a contrastare l’idea della sostanziale innocuità delle droghe e l’atmosfera di "normalità" in cui il loro uso, non di rado, si diffonde determinando un pericoloso abbassamento dell’allarme sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo vantaggio per il mercato criminale nell’offerta di droghe.
Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato Interministeriale di Coordinamento per l’azione anti-droga, costituito ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, si è insediato il Commissario Straordinario di Governo, in qualità di responsabile del Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga, che avrà il compito di coordinare le politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri, così da progettare un Piano Nazionale più incisivo ed efficace.
Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il 14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di tutte le componenti istituzionali direttamente interessate.
Alla luce dei dati più recenti è possibile affermare che il fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente prevalente, l'uso contemporaneo di più sostanze, dalle cosiddette droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina.
E' anche accertato come l'età del primo approccio con le sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la media della "prima esperienza" stabilizzata ormai al di sotto dei 13 anni.
Allo stesso tempo il passaggio dal consumo della cannabis a quello delle altre droghe risulta avvenire in tempi sempre più ridotti rispetto agli anni passati.
Dai dati ufficiali risulta inoltre che:
- il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, è in aumento, specialmente attraverso nuove modalità di assunzione (fumo, inalazione);
- continua il progressivo aumento, peraltro già rilevato, del consumo di cocaina, che da droga di "élite" si è trasformata rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza riguarda, infatti, fasce sempre più diversificate e giovani di utilizzatori;
- si evidenzia un costante aumento dei consumi di "ecstasy" e di amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale dei sequestri di questo tipo di droghe;
- il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le statistiche più attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed è un comportamento considerato "normale" da una parte consistente dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni soggetti istituzionali.
Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza
Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla prevenzione dalla tossicodipendenza, al recupero del valore della persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo nella società e nel mondo del lavoro.
I progetti dovranno essere orientati a:
- promuovere lo sviluppo integrale della persona;
- offrire occasioni di miglioramento dei processi di partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identità;
- contribuire a creare consapevolezza e capacità decisionali ed imprenditoriali nei giovani;
- offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della formazione e del lavoro;
- qualificare la vita in termini complessivi, come valore insostituibile.
Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente credibili e facilmente "acquisibili" dai giovani, evitando messaggi approssimativi e contraddittori quali, ad esempio, quelli che minimizzano i danni provocati dalle sostanze, con superficiali e superate distinzioni tra le droghe cosiddette "pesanti" e "leggere".
In applicazione dell'Accordo Stato-Regioni del 21 gennaio 1999, le Regioni e le ASL devono organizzare un'area dipartimentale funzionale per il trattamento, il re inserimento e la prevenzione dei problemi correlati all'uso di sostanze psicotrope, legali ed illegali, e per i comportamenti assimilabili (disturbi dell'alimentazione e gioco d'azzardo). Detta area dipartimentale deve essere inserita in un più ampio Dipartimento che comprenda anche l'area della salute mentale e l'area materno-infantile, al fine di costruire progetti comuni e coerenti, in particolare sulle "aree di confine" -quali alcolismo, doppie diagnosi, disturbi dell'alimentazione, gioco d'azzardo -e di ottimizzare le risorse.
Strutture socio-riabilitative, pubbliche e private
Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la libertà di scelta del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato sociale.
Appare quindi necessario intervenire sull'assetto legislativo attuale, affinché anche le strutture socio-riabilitative, autorizzate e dotate di apposita equipe multidisciplinare integrata, possano certificare lo stato di tossicodipendenza della persona ed avviarla, direttamente verso un programma riabilitativo.
Considerata l'entità del fenomeno e l'obiettivo di avviare un maggior numero di tossicodipendenti in percorsi riabilitativi, si rende inoltre necessaria la costituzione di misure per l'edilizia residenziale, finalizzata alla creazione di nuove strutture e al potenziamento della ricettività e/o dei servizi delle strutture già esistenti.
I tossicodipendenti in carcere
Un problema prioritario è rappresentato dalle migliaia di detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione.
Si dovranno, pertanto, snellire le procedure amministrative e potenziare le presenze di educatori e volontari all'interno delle strutture penitenziarie, per motivare il maggior numero di tossicomani detenuti a scegliere la strada del cambiamento e della riabilitazione.
Si rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture "a custodia attenuata", inserite nel quadro del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, gestite in collaborazione con le realtà del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento delle persone in programmi riabilitativi "drug-free", sia presso il carcere che in comunità vigilate.
In conclusione
si possono identificare i seguenti obiettivi prioritari:- promuovere e attivare una verifica sistematica e in costante aggiornamento delle esperienze realizzate sui vari territori, tramite le Regioni e gli Enti Locali;
- promuovere e attivare la piena realizzazione della parità di prestazione tra sistema pubblico e privato sociale accreditato -attraverso l’ ulteriore evoluzione del modello organizzativo dipartimentale della assistenza– prevedendone il diretto coinvolgimento a livello delle Aziende Sanitarie Locali, anche in fase di programmazione delle risorse;
- promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella logica dell’ integrazione interistituzionale;
- inserire nel programma di abbattimento dell’uso e dell’abuso, oltrechè le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione dell’alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere l’ azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze comportamentali (es.: gioco d’azzardo);
- attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;
- migliorare la presa in carico, da parte dei SerT e degli interventi privati accreditati, dei soggetti inviati dalle prefetture per l’ attuazione di programmi terapeutici, valorizzando l’approccio multidisciplinare e gli strumenti propri della valutazione multidimensionale, allo scopo di attivare progetti assistenziali e riabilitativi personalizzati e coinvolgenti il nucleo familiare;
- promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti, danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti;
- produrre Linee Guida e protocolli terapeutici per gli interventi in campo sociale e sanitario;
- attivare sinergie con le Forze dell’Ordine sia sulla repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo fondamentale di prevenzione attraverso le informazioni, le analisi e i collegamenti internazionali;
- attivare il monitoraggio delle informazioni e della comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa quotidiana;
- utilizzare gli spazi normativi già esistenti (Legge 45/99, DPR 309/90) e quelli fortemente innovativi in corso di perfezionamento (revisione del Decreto Ministeriale 444/90) per provvedere alla rivitalizzazione dei SerT, alla riformulazione dei profili e/o della formazione delle figure professionali coinvolte (medici, psicologi, psichiatri, operatori, educatori), alla sperimentazione integrata sul territorio, con le Regioni e col privato sociale, delle opzioni farmacologiche e dei trattamenti e garantendo, in particolare:
a) costante attenzione alle condizioni di salute, sia fisica che psichica;
b) l’ offerta, a livello territoriale, qualunque sia la struttura pubblica o privata accreditata di accesso alla rete dei servizi, di trattamenti di disintossicazione e l’avvio e il monitoraggio di programmi socio-riabilitativi condotti in condizioni "drug free".
La sanità penitenziaria
Nell’anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e 2.266 donne), nonostante le infrastrutture avessero una disponibilità di 35.000 posti distribuiti nei 200 istituti esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano extracomunitari, 14.602 (27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548 (2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e 695 (1,3%) alcooldipendenti.
Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:
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attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione globale della persona, sia nel carcere che in comunità di recupero vigilate, nella logica di modelli organizzativi che equiparano strutture pubbliche e private accreditate secondo un modello dipartimentale nel quale siano previsti anche momenti di integrazione interistituzionale;-
attivare programmi per la riduzione dell’incidenza delle malattie infettive fra i detenuti;-
migliorare la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione a favore dei detenuti.
La salute degli immigrati
Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal Ministero dell’Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606 persone, pari a circa il 2,9% dell’intera popolazione italiana (la media europea è del 5,1%).
Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di elasticità dell’offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di salute di questi nuovi gruppi di clienti.
Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:
- migliorare l’assistenza alle donne straniere in stato di gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.;
- ridurre l’incidenza dell’HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione mirata a questa fascia di popolazione;
- raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;
- ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.
RINGRAZIAMENTI
La redazione del presente Piano non sarebbe stata possibile senza la fattiva ed intelligente collaborazione delle persone elencate di seguito (componenti del Gruppo Pensiero Strategico): Marco Campari, Cinzia Caporale, Emanuele Carabotta, Antonella Cinque, Guido Coggi, Carla Collicelli, Lorenzo Lamberti, Franco Mandelli, Michelangelo Tagliaferri.
Hanno inoltre collaborato:
Walter Canonica, Roberto Cardea, Leoluca Crescimanno, Giovanni De Girolamo, Cristina Di Vittorio, Enrico Garaci, Alessandro Ghirardini, Daniele Giovanardi, Donato Greco, Antonio Guidi, Roberto Iadicicco, Teresa Loretucci, Novella Luciani, Mario Maj, Claudio Mencacci, Aldo Morrone, Alessandro Nanni Costa, Ludovico Perletti, Maurizio Pocchiari, Guido Pozza, Antonio Randazzo, Giovanni Rezza, Stefano Signorini, Francesco Tancredi, Vittorio Silano, Michele Tansella, Piergiorgio Zuccaro.