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Perché mi inquieta la Repubblica federale
GIULIANO AMATO
da Repubblica - 18 ottobre 2004
Sono un vecchio e convinto regionalista. Partecipai con entusiasmo alla
elaborazione degli statuti regionali, mi opposi poi alle reiterate resistenze
centraliste contro il trasferimento effettivo alle Regioni delle funzioni
conferite loro dalla Costituzione, ho sempre pensato che sia più democratica e
più efficiente una organizzazione pubblica che non decide tutto al centro, ma
diffonde le responsabilità fra i governanti regionali e locali. Eppure, quando
leggo nella riforma costituzionale che sta avanzando in Parlamento che la nostra
repubblica dovrebbe diventare la "Repubblica federale italiana", sento dentro di
me una incoercibile inquietudine. E ritengo mio dovere spiegarne le ragioni,
interrogando in tal modo anche gli altri sui dubbi che assalgono me.
Perché mi inquieta la Repubblica federale
So
bene che nel contesto di una riforma fra le più controverse della nostra storia
queste proclamazioni di federalismo sono fra le poche novità quasi unanimemente
condivise (è Domenico Fisichella la bandiera quasi solitaria dei contrari). E so
anche di avere io stesso contribuito a metterle in circolazione, quando
presentai, come Ministro per le riforme del governo D´Alema, il disegno di legge
che avrebbe dato origine alla riforma poi approvata del Titolo V. Il disegno di
legge era proprio intitolato "Ordinamento federale della Repubblica" e con
queste parole intendeva aprire il nuovo Titolo V, cosa che poi non accadde,
perché il Parlamento preferì mantenere la preesistente formulazione, e cioè
"Titolo V. Le Regioni, le Province, i Comuni". Nonostante quindi le
responsabilità mie e di tanti altri, il federalismo non è ancora entrato nella
nostra Costituzione. Siamo ancora in tempo, allora, a farci le domande che
dovevamo farci prima: ma siamo davvero sicuri di volerlo? E se lo vogliamo,
perché?
Non basta accampare il bisogno di più potere diffuso e di più sussidiarietà. Né
basta evocare la giusta necessità di dotare l´Italia di una Camera più
direttamente rappresentativa delle Regioni. Il panorama sempre più variegato dei
sistemi costituzionali esistenti nel mondo ci dimostra infatti che questi
elementi non sono sufficienti a caratterizzare uno Stato come federale, perché
possono comparire anche in Stati che federali non sono. Non a caso i giuristi
parlano di un "continuum" lungo il quale si passa da ordinamenti che sono
sicuramente federali ad altri che invece non lo sono, pur essendo dotati di
forme diverse di accentuato regionalismo. Nonostante però il "continuum", la
distinzione tra federale e non federale resta ed esprime ora storie diverse, ora
aspettative diverse e soprattutto quando si tratta di aspettative è essenziale
che sia chiaro di che cosa si tratta.
Stati federali sono sicuramente quelli che hanno alla loro origine un patto
federativo fra unità statali pre-esistenti, che decisero di mettersi insieme, di
creare un livello di governo sovrastante e di conferirgli quote crescenti della
loro iniziale sovranità. A lungo si pensò che solo in questi casi si potesse
parlare di Stati federali, in ragione di una tale origine storica e dei
caratteri istituzionali che ne conseguivano: così è per gli Stati Uniti,
l´Australia, la Germania. Ma poi abbiamo avuto Stati che sono nati unitari e che
sono diventati federali ed il caso più noto è quello del Belgio. Qui non è la
storia la ragione del federalismo né lo è il bisogno di un più accentuato
rispetto del principio di sussidiarietà. La ragione è la tensione non più
gestibile fra comunità etnico-linguistiche diverse e sono tali comunità a porsi
come entità federate, con l´intenzione e l´aspettativa di ridurre al minimo le
regole comuni e di decidere il più possibile dei rispettivi destini ciascuna per
proprio conto.
Non c´è dunque federalismo senza riconoscibili ed esplicitate entità che si
federano; ed anche se poi diversi degli elementi istituzionali che ne escono
coincidono con quelli di Stati a forte regionalismo, la natura federale tende a
produrre un effetto complessivo, che fu colto con grande lucidità da Costantino
Mortati: in uno Stato regionale le leggi e le scelte delle Regioni si
inseriscono in un "sistema di norme reciprocamente armonizzante", che fa da
complessiva cornice unitaria. In uno Stato federale convivono sistemi normativi
diversi (o perché pre-esistevano o perché si vengono formando), che vengono
ridotti ad unità soltanto per aree e per settori specifici.
E allora: sono quelli testé descritti i significati del federalismo italiano?
Riconosciamo nelle nostre Regioni l´involucro istituzionale di identità etniche
e culturali diverse? Ed intendiamo correlativamente ridurre al minimo la nostra
unità ordinamentale, con leggi, tassazioni e protezioni di diritti in linea di
principio diversificate per regione, salvo aree limitate di uniformità? A
leggere il testo della stessa riforma, per non parlare di ciò che emerge dalla
legislazione delle nostre Regioni, si direbbe nell´insieme di no. La Lega ha
parlato e continua a parlare di nazione padana, ma è l´unica a farlo, non lo fa
la riforma che essa stessa sta approvando e non ci pensano proprio le Regioni,
le quali, quando tutelano la propria identità, non fanno mai riferimento a
tratti etnici o linguistici, ma alla loro qualità ambientale, ai loro prodotti
tipici, al loro profilo storico culturale (salvo i limitatissimi casi di Regioni
o Province di frontiera a speciale autonomia, che hanno gruppi etnici diversi).
Quanto all´unità ordinamentale, puntano in una direzione effettivamente diversa
le nuove competenze "esclusive" che si vogliono attribuire a tutte le Regioni,
ma è un fatto che si prevede di accompagnarle con una nuova competenza
trasversale del Parlamento nazionale, grazie alla quale esso potrà sempre
intervenire (e nelle stesse materie di competenza regionale "esclusiva") a
tutela dell´unità giuridica, sociale ed economica dello Stato.
Che cosa avrà allora di effettivamente federale la Repubblica federale italiana?
Diciamoci la verità: se la maggioranza di noi ha accettato il federalismo al
solo o prevalente scopo di usarlo come specchietto per allodole per attirare e
tener buona la Lega, abbiamo tutti commesso una grave leggerezza. Primo, perché
la Lega non è un´allodola, ma una forza politica, che necessariamente ne farà
comunque una piattaforma per dilatarne significati e conseguenze. Secondo,
perché in ragione di ciò e del peso oggettivo che la nuova cornice federale non
potrà non avere, la sua presenza in Costituzione, circondata da cautele e
contrappesi volti a negarla, ci prepara nella migliore delle ipotesi un futuro
fatto di incertezze, di contraddizioni e di conflitti. E dico nella migliore
delle ipotesi, perché ce n´è anche una peggiore, che nasce da un cattivo
pensiero che non riesco a cacciarmi dalla testa.
Non tutti sanno che quando si trattò di riconoscere la reciproca indipendenza
delle repubbliche già incluse nella Repubblica Jugoslava, lo si fece sulla base
di un lodo, il lodo della Commissione presieduta da Robert Badinter, che dilatò
enormemente i principi del pre-esistente diritto internazionale. In precedenza
il diritto alla auto-determinazione e quindi alla secessione era stato
riconosciuto, soprattutto nei processi di decolonizzazione, a chi avesse una
originaria indipendenza e avesse subito un´occupazione straniera. Badinter lo
riconobbe alle repubbliche ex jugoslave, solo in quanto entità federali già
dotate di un governo e di poteri autonomi, a prescindere dalla originaria
indipendenza. Io mi auguro che Umberto Bossi la secessione l´abbia messa da
parte, ma non c´è dubbio che la federalizzazione della Repubblica, sulla base
del lodo Badinter, mette un´arma legale nelle mani di chi volesse sostenerla.
La conclusione è obbligata: se le cose stanno come penso e se la larga
maggioranza del Parlamento ha assentito alla federalizzazione più per leggerezza
che per convinzione, onestà e responsabilità verso il futuro vogliono che le si
dica di no prima che sia troppo tardi e che si torni a lavorare, migliorandolo,
sul nostro bel modello di Stato regionale. Mentre, se il Parlamento andrà
avanti, sarà davvero essenziale la voce dei cittadini.