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Formigoni spa
La sanità. La Fiera. Le ferrovie. Affidate a fedelissimi. E a uomini di Cl. Così si consolida il potere del governatore. In vista del grande salto verso la politica nazionale


di paolo biondani, vittorio malagutti e luca piana
 
Roberto Formigoni non perde un colpo. Il grande puzzle lombardo costruito attraverso un sistema di potere garantito da tre vittorie elettorali di fila non ammette cedimenti. La sua rete di relazioni politiche e d'affari, una sorta di Formigoni Spa, regge grazie ad azionisti di grande fedeltà e spirito di iniziativa riuniti dalla militanza nel movimento di Comunione e Liberazione. Ricostruire la rete non è facile. Ci vuole pazienza e attenzione. C'è dentro un po' di tutto: sanità, appalti, edilizia, trasporti e grandi infrastrutture, il business delle fiere. Dell'intero sistema si è fatto un'idea chi, alla fine di novembre, ha visitato Matching, il grande appuntamento annuale per le 33 mila aziende aderenti alla Compagnia delle Opere, network associativo di Cl. La macchina del consenso Proprio in questi giorni Formigoni si sta giocando una partita decisiva sia politica che economica. Entro il 31 dicembre il governatore della Lombardia deve chiudere la trattativa per le nomine nella sanità regionale. Sono in gioco le poltrone dei dirigenti che controllano tre quarti della spesa pubblica del Pirellone. Ma non solo. Formigoni ha un progetto più ambizioso. Raccogliere l'eredità di Silvio Berlusconi e, forte dell'appoggio di Cl, guidare il centrodestra alle prossime elezioni. Che lui spera possano venire anticipate, magari già al prossimo anno. La spesa sanitaria lombarda, cresciuta anche quest'anno da 16 a quasi 17 miliardi di euro, alimenta una macchina del consenso formidabile. Un fiume di denaro pubblico manovrato da decine di fiduciari nominati dai politici della giunta regionale. Il piatto forte sono i 44 direttori generali distribuiti fra 15 Asl e 29 ospedali-azienda, tutti in scadenza al 31 dicembre. Le grandi manovre per spartirsi queste nomine sono in pieno svolgimento. L'importanza della partita è riassunta in un'immagine: il cancello della villa di Arcore che si spalanca, a metà della scorsa settimana, per il trionfale ingresso del signor Giancarlo Abelli. In quelle ore Silvio Berlusconi sta assistendo alla dissoluzione dell'alleanza con An e Udc che lo ha portato per due volte al governo. Eppure il leader di Forza Italia trova tempo e modo di ricevere un ex democristiano di Pavia che in apparenza ha un potere solo locale. Abelli, sulla carta, è un semplice assessore lombardo alla Famiglia. Di fatto è il ras della sanità. È sua la regia politica della riforma che dal 1995 ha fatto della Lombardia il paradiso delle cliniche private. Formigoni si è formalmente riservato ogni decisione su Asl e ospedali, intestandosi tra l'altro un indirizzo email per raccogliere denunce e segnalazioni dei cittadini sui dirigenti già in carica. Abelli non nasce ciellino, ma è legato a Formigoni da un decennale patto di potere. La spartizione delle nomine sarà decisa da loro, in prima persona, fino al confronto finale con gli alleati: per An deciderà Ignazio La Russa; per la Lega il segretario nazionale Giancarlo Giorgetti; per l'Udc il numero uno regionale Luigi Baruffi. La base della trattativa sarà l'attuale mappa della lottizzazione sanitaria, che "L'espresso" è in grado di ricostruire: 29 poltrone a Forza Italia, otto ad An, sei alla Lega, una all'Udc. I più decisi a minare questo equilibrio sono i lumbard di Umberto Bossi, che puntano a raggiungere quota 14, ma faticano a reclutare fedeli tra i primari. A surriscaldare la partita è il clima di fine stagione che domina le truppe cielline: consapevoli delle ambizioni da leader nazionale di Formigoni, i fedelissimi stanno premendo per sistemarsi prima che sia troppo tardi. Di qui la corsa di decine di ciellini dei settori più vari a farsi largo tra i 509 candidati già ammessi nell'"elenco degli idonei". Dei 44 in carica, solo metà ha avuto rassicurazioni di una riconferma. Tra gli intoccabili deve trovare posto, con i formigoniani doc, almeno una mezza dozzina di "abelliani". E a complicare i giochi in Forza Italia è la perentoria richiesta di Berlusconi di riservare almeno tre poltrone a suoi fiduciari. In nome della trasparenza, l'opposizione chiedeva almeno il curriculum degli "idonei", ma la giunta lo ha negato appellandosi alla privacy. Controllando gli unici dati pubblici dei candidati, cioè nome e data di nascita, i Verdi hanno trovato ex dirigenti del Milan, veterinari, politici trombati e perfino pregiudicati. Caustico il commento del loro leader lombardo Carlo Monguzzi: «Mi accontenterei che la giunta Formigoni rispettasse il mio disegno di legge che chiede alla regione di riservare almeno il 25 per cento delle nomine a non ciellini». Le indiscrezioni più attendibili sui grandi ospedali sembrano destinate a riaccendere le polemiche. Al San Matteo di Pavia, dopo 20 anni, la giunta ha silurato Giovanni Azzaretti, sorpreso a firmare un accordo edilizio-sanitario nella doppia veste di numero uno dell'ospedale pubblico e, contemporaneamente, di presidente privato della Terme di Salice spa. Al suo posto Abelli vuole imporre Pietro Caltagirone, che tecnicamente è un pregiudicato: condannato con sentenza definitiva per abuso d'ufficio e falso ideologico per un appalto truccato nel 1998, quando amministrava il Niguarda di Milano. A quel punto la Regione lo aveva nominato direttore generale dell'ospedale di Lecco, la città di Formigoni. All'inizio del 2007, però, il bollettino ufficiale della Lombardia sembra annunciare la svolta: per evitare «discredito» e «disdoro» alla sanità regionale, i manager dovranno avere requisiti morali più severi che nel resto d'Italia. Per bloccare la nomina, dunque, basta una qualsiasi condanna, «anche non definitiva, anche sospesa condizionalmente». Per quali accuse? L'elenco comprende undici reati contro la pubblica amministrazione. Praticamente tutti, tranne il falso ideologico e l'abuso. Gli stessi per cui, oltre a Caltagirone, era stato condannato Vito Corrao, già amministratore (contestatissimo) del Fatebenefratelli, ma colpito dalla sentenza definitiva quando ormai guidava l'ospedale ortopedico Gaetano Pini. Sicuri della nomina si sentono i manager ciellini più vicini a Formigoni. Il numero uno è Claudio Lucchina, attuale superdirigente di tutta la sanità lombarda. Professionalmente indiscutibile, è appena inciampato in una brutta richiesta di rinvio a giudizio: nel 2001-2002, quando guidava l'ospedale pubblico di Varese (dove è nato), ha fatto subentrare una ditta di Gela a un'altra impresa siciliana che aveva vinto l'appalto per il nuovo padiglione di malattie infettive, dimenticandosi di chiedere al prefetto se il titolare avesse problemi di mafia. Sfortunatamente in quei giorni l'imprenditore era in galera proprio per associazione mafiosa. Lucchina avrebbe favorito l'azienda di Gela anche con una variante ritenuta illegale, che ha alzato il prezzo di 7,7 milioni di euro, approvata il 31 dicembre 2002, il giorno prima di essere promosso ai vertici del Pirellone. Di una successiva truffa alla Regione, che continuava a pagare ignorando le modifiche del progetto, risponde anche Roberto Rotasperti, il manager ospedaliero che si era fatto sequestrare i bigliettini della famosa lottizzazione di San Silvestro del 1994: i nomi dei raccomandati e, tra parentesi, le sigle dei partiti. Nella sentenza finale si legge che la lottizzazione è provata, anzi è «la base dell'intreccio perverso tra affari e politica», ma dopo una leggina del '97 «non è più prevista come reato». A quel punto Rotasperti è passato all'Asl di Sondrio. In disgrazia è invece caduto Antonio Mobilia, numero uno da un decennio della Asl Città di Milano e quindi gestore di un budget da due miliardi. Il suo partito è An, che ora gli rimprovera le simpatie per Storace. Quindi Mobilia ha organizzato la festa d'addio ai dipendenti. Preparano il brindisi inaugurale, invece, ciellini doc come Stefano Del Missier, Francesco Beretta (oggi all'Icp-Mangiagalli) e Ambrogio Bertoglio (San Gerardo di Monza). Attorno alla lottizzazione della sanità si gioca anche una straordinaria partita immobiliare: saranno i nuovi manager nominati dalla giunta Formigoni a gestire la ristrutturazioni di alcuni tra i più grandi ospedali lombardi. Appalti milionari che fanno da apripista ad altri affari spesso trasversali, come la vendita ai privati delle aree dismesse. A Milano sono già aperti i cantieri per il nuovo Niguarda, il più importante ospedale pubblico della regione, che da un decennio è un feudo di Comunione e Liberazione. Un maxi-progetto (34 sale operatorie e 1285 posti letto divisi in due grandi blocchi) che è stato contestato anche dagli organi interni di controllo, con una serie di esposti alla Corte dei conti. La prima censura riguarda la stessa progettazione, che la direzione del Niguarda ha affidato alla Nec, una società mista che si è presentata con un proprio stand all'ultimo salone Matching. Secondo l'esposto, l'incarico alla Nec, costato 3 milioni di euro, avrebbe permesso di aggirare le direttive europee (confermate dalla Corte di Strasburgo anche per le società miste) che imponevano una gara pubblica. Su questa base progettuale, nel febbraio 2005 l'esecuzione dei lavori è stata aggiudicata alla Cmb di Carpi, il colosso edilizio delle cooperative rosse, che ha regolarmente battuto concorrenti come il gruppo Techint, fresco vincitore dell'appalto per il nuovo ospedale di Legnano. Sotto accusa al Niguarda sono le presunte anomalie del "project financing", un sistema nato per scaricare la spesa su privati che si ripagano con una gestione pluriennale. Secondo l'esposto, però, due terzi dei costi (cioè 139 milioni di euro) restano a carico del Niguarda, mentre la Cmb contribuirebbe solo con 82 milioni. E in cambio al privato spetterebbero più di 35 milioni l'anno tra canone e servizi (dalla ristorazione alle pulizie), per una durata di ben 27 anni, oltre alla gestione diretta dei nuovi parcheggi, centri commerciali e farmacie interne. Ritardo continuo «Il nodo è sciolto», proclamava orgoglioso il 9 settembre scorso Formigoni mentre inaugurava i quattro nuovi binari d'ingresso a Milano, tra Bovisa e la zona Fiera, delle Ferrovie Nord. Tre mesi dopo, l'annuncio del governatore sta per diventare il bersaglio del "PolloNord", il blog che dopo alcuni mesi di chiusura forzata riaprirà il prossimo 17 dicembre per raccogliere le proteste dei pendolari (oltre 150 mila al giorno) che raggiungono Milano con i treni controllati dalla Regione. A dispetto dei proclami roboanti e dell'inaugurazione in pompa magna del nuovo tratto di ferrovia alla presenza anche del ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, i ritardi cronici, concentrati nelle ore di punta, sono diminuiti solo di poco. Peggio. Migliaia e migliaia di viaggiatori in arrivo da Como, da Varese, dalla Brianza e da Novara sono costretti a servirsi di carrozze sporche e malconce. Circa un terzo dei vagoni in circolazione è stato costruito oltre mezzo secolo fa e dei 33 treni ordinati nel 2001 all'Ansaldo, soltanto un paio potrebbero entrare in servizio regolare entro qualche settimana. Come dire, di questo passo le Nord minacciano di restare ancora a lungo un capitolo fallimentare della gestione formigoniana. Con gli anni anche le ferrovie regionali sono diventate un feudo degli uomini del governatore. La presa si è rafforzata dall'anno scorso con la nomina del varesino Raffaele Cattaneo all'assessorato Infrastrutture e Mobilità. Ai vertici operativi delle Ferrovie Nord siede invece l'amministratore delegato Marco Piuri. Quarantenni, laureati in Economia alla Cattolica, Cattaneo e Piuri si sono fatti le ossa alla Camera di commercio di Milano nei primi anni Novanta, durante la lunga presidenza dell'ex dc Piero Bassetti. Da lì Piuri si è dedicato alla consulenza aziendale, mentre Cattaneo si è messo nella scia del governatore, prima come dirigente del gabinetto di presidenza della regione e dal 2000 con i gradi di vicesegretario della Giunta. Mercanti in Fiera Cosa mi conviene? Sotto questa domanda proiettata a caratteri cubitali, mercoledì 21 novembre si è riunita alla Fiera di Milano l'assemblea della Compagnia delle Opere. La risposta implicita nella dozzina d'interventi di piccoli e piccolissimi imprenditori sfilati sul palco era che, indubbiamente, iscriversi alla Compagnia conviene. Nelle loro parole veniva raffigurata l'immagine di una lobby un po' speciale, in grado di dare concretezza alla parola fiducia, nel senso che un associato mai ne fregherebbe un altro. Vista in azione a Milano e in Lombardia, però, la Compagnia mostra un volto che supera quello semi-ufficiale di Confindustria dei cattolici vicini a Comunione e Liberazione (Cl). Il rapporto strettissimo con Formigoni ha spesso cancellato il confine tra Compagnia e istituzioni. Un esempio arriva dalla rete di 24 uffici di rappresentanza che la Lombardia ha aperto nel mondo. In sette casi, dalla California al Kazakhstan, la rappresentanza regionale è infatti costituita dagli uffici locali di Co.Export, un consorzio fondato dalla Compagnia - e finanziato dalla Regione - per favorire gli affari all'estero. Un secondo esempio arriva dalla stessa Fiera di Milano, che rappresenta un centro nevralgico cruciale, un po' per il suo ruolo di vetrina dell'industria nazionale, un po' perché con l'indotto muove un giro d'affari miliardario. Quotata in Borsa dalla fine del 2002, la Fiera ha una peculiarità. È di fatto una struttura d'interesse pubblico, con la maggioranza del capitale nelle mani di una Fondazione i cui vertici sono in gran parte nominati dalla politica, Regione e Comune in primis. Ma formalmente è un ente di diritto privato, e gli affari della sua principale controllata - la Fiera di Milano Spa - non sono sottoposti ai vincoli del pubblico, come la necessità di effettuare gare d'appalto per gli acquisti. In Fiera la lottizzazione delle poltrone ha storicamente convissuto con la presenza di manager specializzati, in una suddivisione dei ruoli non sempre serena. Nell'ultimo anno, tuttavia, gli uomini vicini a Formigoni e alla Compagnia hanno fatto man bassa di posizioni strategiche. Le due persone sul ponte di comando sono Luigi Roth e Claudio Artusi, legati dalla vicinanza alla Compagnia e soci in affari in un'azienda torinese di sistemi elettronici. Roth, 68 anni, è l'uomo forte del sistema e Formigoni l'ha voluto alla presidenza della Fondazione già dal 2001. Fino all'autunno scorso, la gestione operativa della Fiera Spa era affidata a un manager di comprovata esperienza, Piergiacomo Ferrari, che aveva condotto la società a risultati record. All'ultima tornata di nomine, tuttavia, Ferrari è stato messo alla porta. E al suo posto la Fondazione ha chiamato Artusi, 56 anni, un ingegnere con un curriculum giocato in gran parte nell'edilizia e culminato sotto il governo Berlusconi con la direzione generale dell'Anas. La colonizzazione dell'Expo milanese non si ferma però qui. La Fiera Spa svolge parte delle sue funzioni attraverso un arcipelago di società controllate. Sono centri di potere più o meno rilevanti, che si occupano direttamente dell'organizzazione delle fiere o di alcuni servizi specifici, dalle pubblicazioni editoriali al catering, e che spesso intrattengono i rapporti diretti con i fornitori. Le tre principali controllate sono Fiera Milano International, che organizza il Salone della casa (Macef); Expo Cts, che allestisce la Borsa del Turismo, le settimane della moda e la Campionaria delle qualità italiane; e infine Fiera Milano Congressi, destinata ad ereditare la sede cittadina del Portello per farne un gigantesco centro per convention. Anche qui, con le nomine decise da Artusi in primavera, i ciellini hanno fatto quasi l'en plein. A Fiera Milano International è giunto Sandro Bicocchi, ex direttore generale della Compagnia, mentre sulla poltrona di amministratore delegato della Congressi è rimasto Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia e da sempre uno dei volti politici più noti del movimento. L'unica posizione di vertice sfuggita è quella di amministratore delegato di Expo Cts, finita a Corrado Peraboni, che ha iniziato la propria carriera negli anni Novanta come parlamentare della Lega Nord, per transitare successivamente in Forza Italia. In verità gli affari della Fiera non vanno bene. Le presenze estere sono ridotte rispetto a Parigi e Francoforte; il bilancio 2007 chiuderà in perdita; Artusi ha rotto con lo storico alleato internazionale, la Reed Exhibitions, stufa di risultati non brillanti e pronta - stando alle indiscrezioni - a rivendere la quota di minoranza in Fiera International per circa 7 milioni di euro; un altro partner, la ravennate Publifiere della famiglia Ustignani, ha minacciato una causa per il disimpegno di Artusi dal salone dell'edilizia Build Up. Nonostante i momenti difficili, attorno al business della Fiera gravitano con successo numerosi imprenditori vicini alla Compagnia. Uno di questi è Antonio Intiglietta, proprietario della Gefi, la società che - dall'esterno del gruppo - organizza uno degli appuntamenti maggiori del calendario, "L'Artigiano in Fiera". Per l'evento la Gefi, secondo quanto risulta a "L'espresso", può beneficiare di un contratto d'affitto degli spazi con uno sconto del 15-20 per cento rispetto alle altre manifestazioni, comprese quelle organizzate dalle società controllate da Fiera Spa. La spiegazione è legata al fatto che pochi altri eventi occupano altrettanti spazi; è però vero che altri organizzatori, che allestiscono più manifestazioni, complessivamente pesano quanto la Gefi sul giro d'affari della Fiera. Accanto a un pezzo grosso come Intiglietta, numerosi associati alla Compagnia hanno ottenuto contratti attraverso le procedure coordinate dai vari uffici acquisti. Gli esempi si sprecano. Uno di questi è la cooperativa Laser di Manlio Gaviraghi, associato dal 1987, che da tre anni gestisce i servizi di assistenza anti-incendio, portierato e reception. Un altro è la Hotel Central Booking di Carlo Crocicchia, in affari con la Fiera dal 2003 e associato alla Compagnia dal 2004, che ha appena ricevuto l'incarico di gestire un centinaio di invitati per il Macef del prossimo gennaio. Per avere i contratti conviene iscriversi? Interpellato in merito, Crocicchia sostiene di no e se la cava con una battuta: «Non ho cavalcato questa possibilità. Adesso che mi ci fa pensare, magari lo farò in futuro».