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SAROYAN WILLIAM, LA COMMEDIA UMANA,
OVERSEAS EDITIONS, Inc New York, 1945
Che cos'è che tieni in mano? Una
lettera? Ho finito di parlare. Via, leggi la tua lettera, ragazzo.»
«E una lettera di mio fratello Marco,» disse Omero". «Non ho ancora avuto un
momento per aprirla.»
«Aprila dunque,» disse il vecchio telegrafista. «Leggi la lettera di tuo
fratello. Leggila ad alta voce.»
«Vuoi sentire quello che dice, signor Grogan?» disse Omero.
«Sì, se non ti dispiace, mi farebbe molto piacere di sentirla, » disse il
vecchio telegrafista, e fece un'altra bevuta.
Omero lacerò la busta, tirò fuori la lettera di suo fratello Marco, la
spiegò, e cominciò a leggere molto lentamente.
«Caro Omero» — lesse. «Prima di tutto, ogni cosa che mi appartiene in casa è
tua ormai — da dare poi a Ulisse quando tu non saprai più che fartene: i
miei libri, il grammofono, i dischi, i miei vestiti quando ti staranno, la
bicicletta, il microscopio, gli arnesi da pesca, la collezione di minerali e
tutte le altre cose che mi appartengono son tue. Le cedo a te, piuttosto che
a Bellina, perché ora sei tu l'uomo della famiglia Macauley di Itaca. Quello
che ho guadagnalo l'anno scorso alla fabbrica, l'ho dato alla Mamma,
naturalmente, per essere d'aiuto in casa. So però che non può minimamente
bastare, e presto la mamma e Bellina penseranno di mettersi a lavorare. Non
ti posso chiedere di impedirglielo, ma spero che penserai da te a non
permetterglielo. Credo che lo farai, perché io pure farei così. Certo la
Mamma vorrà andare a lavorare e Bellina pure. Ma questa sarà per te una
ragione di più per opporti. Non so come farai tu a mandare avanti la baracca
e a, studiare nello stesso tempo, ma ho fiducia che troverai la maniera. La
Mamma riceve la mia paga di soldato, salvo qualche dollaro che devo tenere
per me, ma questi quattrini non possono bastare. M'è difficile chiedere
tanto a te, quando io stesso non ho cominciato a lavorare prima di
diciannove anni; ma ho una strana fiducia che tu sarai capace di fare quello
che non è riuscito di fare a me.
Tu mi manchi molto, si capisce, e penso a te costantemente. Sono sereno, e
anche se non ho mai creduto nelle guerre, — e so che sono assurde, anche
quando sono necessarie, — sono orgoglioso di servire il mio paese, che per
me significa Itaca, la nostra casa e tutti i Macauley.
Non riconosco nemici al mondo, perché nessun essere umano può essere mio
nemico. Chiunque esso sia, di qualunque colore abbia la pelle, per quanto
errate possano essere le sue opinioni, mi è amico, e non nemico, perché egli
non è diverso da me. Io non ce l'ho con lui, ma con quella parte di lui che
prima di tutto cerco di distruggere in me stesso.
Non mi sento un eroe. Non sono portato a sentimenti di questo genere. Non
odio nessuno. Non mi sento neanche patriottico, perché è naturale per me
amare il mio paese, i suoi abitanti, le sue città, la mia casa e la mia
famiglia. Preferirei non essere soldato. Preferirei che non ci fossero
guerre, ma siccome sono soldato e siccome una guerra c'è, è da un pezzo che
mi sono proposto di fare il possibile per essere un buon soldato.
Non so affato che cosa mi aspetti, ma qualunque cosa sia, sono umilmente
pronto ad accettarla. Ho una gran paura — te lo devo dire; ma so che quando
verrà il momento, farò il mio dovere, e forse anche un po' più del mio
dovere; ma voglio che tu sappia che io non obbedisco a nessun comando, ma
solo a quello che mi comanda il cuore. Mi faranno compagnia ragazzi di tutta
l'America, di migliaia di città come Itaca. Potrei morire in questa guerra.
Devo farmi coraggio e dirtelo. Non mi piace per niente l'idea di morire. Più
di ogni altra cosa al mondo desidero tornare a Itaca, e vivere molti, molti
anni con te, con mia madre, mia sorella e mio fratello. Desidero tornare per
Maria e per la casa e la famiglia che metteremo su insieme. E probabile che
si parta presto — per il fronte. Non si sa quale fronte, ma è sicuro che
partiremo presto. Può darsi quindi che tu non riceva più lettere mie per un
pezzo. Spero però che questa non sia la mia ultima lettera. Se così fosse,
sentimi vicino lo stesso. Non credere che io sia andato via per sempre. Fa
che gli altri rron lo credano. Ho un amico qui che è orfano — un trovatello;
è strano che fra tutti i ragazzi proprio lui sia diventato mio amico. Si
chiama Tobey George. Gli ho parlato di Itaca e della nostra famiglia. Un
giorno lo porterò a Itaca con me. Quando leggerai questa lettera, non essere
triste. Sono contento di essere io quello dei Macauley che è in guerra,
perché sarebbe peccato, e non sarebbe giusto, che fossi tu.
Posso scriverti ora quello che non ti ho mai potuto dire a voce. Tu sei il
migliore dei Macauley. Devi seguitare ad essere
il migliore. Niente te lo deve impedire. Hai quattordici anni, ora, ma devi
vivere fino a venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta. E negli anni
della tua vita, devi vivere per l'eternità. Credo che lo farai. Io ti
guarderò sempre. Tu rappresenti quello per cui noi combattiamo. Sì, tu, mio
fratello. Come potrei dirti queste cose, se fossimo insieme? Tu mi
salteresti addosso e ti metteresti a far la lotta con me, e diresti che son
pazzo; ma malgrado tutto, quello che ho detto è vero. Ora scriverò qui il
tuo nome, perché tu te ne ricordi: Omero Macauley. Ecco quello che sei. Mi
manchi molto. Non vedo l'ora di rivederti. Quando questo si avvererà, quando
saremo di nuovo insieme, faremo la lotta, e mi lascerò buttare a terra da te
in salotto, davanti alla Mamma e a Bettina e. a Ulisse, e forse anche a
Maria; ti lascerò vincere, perché sarò tanto felice di rivederti. Dio ti
benedica. Addio. Tuo fratello, Marco. »