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CALVINO, LEZIONI AMERICANE
L’esattezza
Cercherò prima di tutto di definire il mio tema. Esattezza vuol dire per me
soprattutto tre cose:
1) un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato;
2) l'evocazione d'immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano
abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, "icastico", dal greco
eikastikòs;
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle
sfumature del pensiero e dell'immaginazione.
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno
sembrare ovvii? Credo che la mia prima spinta venga da una mia
ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato
in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio
intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a
un'intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo
parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se
preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante
volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle
mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d'insoddisfazione di cui posso
rendermi conto. La letteratura - dico la letteratura che risponde a queste
esigenze - è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che
veramente dovrebbe essere.
Alle volte mi sembra che un'epidemia pestilenziale abbia colpito l'umanità
nella facoltà che più la caratterizza, cioè l'uso della parola, una peste
del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di
immediatezza, come automatismo che tende a livellare l'espressione sulle
formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a
smussare le punte espressive, a spegnere
ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.