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Magris Claudio, RAGIONI DELLA LEGGE RAGIONI DEL CUORE
Corriere della sera 13 maggio, 2002, p.
Una recente sentenza, che ha assolto un uomo accusato di avere staccato il
respiratore che teneva in vita la moglie da mesi in coma irreversibile (e in
condizioni tali da indurre i giudici a dubitare che potesse essere considerata
viva), è stata comp rensibilmente accolta da un consenso pressoché unanime. I
giudici sono stati lodati per aver saputo risolvere umanamente - ancorché
ricorrendo a un espediente giuridico probabilmente fragile - un caso estremo di
conflitto tra una intollerabile disper azione individuale e la norma che,
tutelando universalmente l' esistenza e i diritti di ognuno, vieta di uccidere.
È bene che quei giudici abbiano trovato il modo di non aggiungere inutilmente
dolore a dolore. Molti commenti favorevoli a quella sente nza hanno tuttavia
avuto dei toni sconcertanti e hanno rivelato una mentalità sempre più diffusa e
preoccupante, una insofferenza per la legge in generale e per le sue norme. Non
si è visto in quel verdetto una tragica eccezione da accettare per la t ragicità
di quella situazione eccezionale, ma quasi una festosa vittoria delle ragioni
del cuore su quelle della legge, il momento liberatorio di un processo che
dovrebbe portare a indebolire sempre di più la forza cogente del diritto per
ascoltare s empre di più la voce di ogni singolo individuo, il suo irripetibile
e ineffabile stato d' animo che lo induce a compiere le sue azioni, pure quelle
che ledono gravemente le norme e anche le persone. Non si tratta solo dell'
eutanasia, che è un aspett o fra i tanti, ma di ogni comportamento dell'
individuo dinanzi ai drammi dell' esistenza. La legge, si è sentito ripetere,
«non può contenere tutta la vita, le sue infinite pieghe e le sue inestricabili
complicazioni, le sue scelte tragiche e i suoi dilemmi». Tutto questo è vero,
anzi ovvio. Se Pascal diceva che la ragione non conosce tutte le ragioni del
cuore, nemmeno il codice civile e quello penale possono pretendere di conoscere
e classificare tutte le sfumature dell' anima e dei suoi grov igli. Non è in
primo luogo l' osservanza di una legge, umana o religiosa, a fare di un uomo un
uomo, a infondergli la capacità di discernere il bene dal male, di vivere
liberamente il proprio rapporto con gli altri, con se stesso e col proprio
destin o. La vita di un individuo - la sua passione, la sua paura, la sua forza
di amare o la sua aridità, gli dèi che venera e i fantasmi che lo perseguitano -
scorre al di qua o al di là di ogni legge, faccia a faccia con l' inconcepibile
e abusivo mestie re di vivere, vero e proprio lavoro nero. Ma tutto ciò non
svaluta la legge. Il diritto non è un gretto appiattimento delle diversità e
delle inestricabili complicazioni umane; non ignora che ogni individuo è un
abisso unico e spesso insondabile di s entimenti e si trova coinvolto in
contraddizioni irripetibili. Ma, a differenza di chi declama le profonde ragioni
del cuore pensando in realtà che esista solo il suo cuore, la legge parte da una
conoscenza più profonda del cuore umano, perché sa che esistono tanti cuori,
ognuno con i suoi insondabili misteri e le sue appassionate tenebre, e che
proprio per questo solo delle norme precise, che tutelano ognuno, permettono al
singolo individuo di vivere la sua irripetibile vita, di coltivare i suo i dèi e
i suoi démoni, senza essere impedito né oppresso dalla violenza di altri
individui, come lui preda di inestricabili complicazioni del cuore ma più forti
di lui. La legge è come la democrazia: è un valore freddo, una regola che non
penetra il mistero della vita, ma consente a ognuno di vivere il proprio
mistero, la propria passione, il proprio delirio. Certo, nessuna norma generale
può capire - e dunque veramente giudicare - i sentimenti, le pulsioni, le
contraddizioni che sono alla base di ogni gesto criminoso, anche il più efferato
e bestiale. La ragione non conosce a fondo le ragioni del cuore che spingono il
torturatore del lager a straziare le sue vittime, ma semplicemente sa che pure
quelle vittime hanno un cuore che ha diritto di vivere e dunque che è necessario
impedire e punire, con una norma generale, il gesto di quel torturatore. Nel
vecchio bellissimo film Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang, l' assassino di
bambine rivendica con accenti strazianti la sua diversità , le tempeste del suo
animo che lo spingono a quegli atti infami - le sue «inestricabili
complicazioni» del cuore sono realmente dolorose, ma sono indifferenti al dolore
altrui, che invece la legge ascolta, condannando l' assassino per impedire altro
dolore. La ragione - e la legge - hanno spesso più fantasia del cuore, capace
solo di sentire le proprie «inestricabili complicazioni» e incapace di
immaginare che esistano pure quelle altrui. Il cuore, diceva Manzoni, sa assai
poco, appena un po' d i ciò che gli è stato raccontato; spesso è tutta una gran
confusione, come scrive Stefano Jacomuzzi. Qualificare l' omicidio o il furto
come reati non basta per capire i diversi motivi per i quali diverse persone li
compiono, ma chi si appella a inef fabili motivazioni dell' animo per sfuocare
la gravità di quei reati capisce ancor meno le persone che li commettono. Il
legislatore che punisce la corruzione negli appalti pubblici è un artista che sa
immaginare la realtà, perché in quella corruzion e vede non l' astratta
violazione di una norma ma, ad esempio, le cattive attrezzature di cui - causa
quella corruzione - viene dotato un ospedale, in luogo di quelle efficaci che
esso avrebbe avuto grazie a un' asta corretta: dietro quel reato ci so no dunque
malati curati peggio, individui concreti che soffrono. Solo la capacità di
astrarre permette di capire la concretezza della vita, di sapere che esiste
anche la vita concreta di chi in quel momento non possiamo vedere né toccare. La
democraz ia è poetica, è ricca di fantasia, perché ci fa sentire che esistono
individui che non vedremo mai, e di cui giustamente non ci importa nulla, ma che
hanno il nostro stesso diritto di vagabondare, sognare, delirare. Chi sa vedere
solo l' immediatezza , non vede niente; chi vede solo gli alberi davanti a lui,
e non è capace di pensare il bosco, non sa cosa siano quegli alberi, che magari
s' illude di conoscere bene. A chi dice, stoltamente o truffaldinamente, che per
capire la mafia bisogna essere siciliani, Sciascia risponde, nel Giorno della
civetta, col suo capitano Bellodi che - proprio perché viene da lontano, da
Parma, e ha militato nella Resistenza e non nel Movimento autonomista siciliano
- capisce la mafia meglio di chi le vive accan to, dei mafiosi stessi e talora,
come accade nei buoni libri, dello stesso scrittore. Indebolire la legge, in
nome dello spontaneo processo della vita che in tutti gli àmbiti - individuale,
politico, economico, sociale - procederebbe per il meglio si gnifica solo
lasciare i deboli alla mercé dei forti, spianare la strada alla violenza e all'
ingiustizia, abbandonare la realtà all' arbitrio del più potente. Una cosa è
sfoltire l' intricata selva di leggi che finiscono per essere di ostacolo a se s
tesse, un' altra cosa è voler sottrarre - come spesso tende a fare
pericolosamente e talora sfacciatamente il nostro governo - al controllo della
legge àmbiti e azioni da cui può dipendere l' esistenza delle persone. La
crescente complessità e la sca la sempre più vasta dei fenomeni e delle
relazioni politico-sociali-economiche rende ancor più necessario il controllo
del diritto e uno Stato che renda efficace tale controllo a difesa dei deboli, a
tutela dell' ambiente, a protezione della vita di tutti. Il modello può essere
l' impero romano, con la sua legge, non il Far West dei pistoleros, caro agli
ultras anarchici del liberismo selvaggio. Abbiamo e avremo sempre più bisogno di
certezza del diritto. Un altro sofisma è quello, continuamente ripetuto, secondo
cui la legge dovrebbe adeguarsi al sentire comune e conformarsi all' evoluzione
della realtà - termine assai vago, perché non si capisce cosa sia questa realtà
cui ci si dovrebbe conformare come se si fosse fuori di essa, mentre in vece la
realtà è il risultato del continuo confronto in cui ognuno, concorrendo così a
formarla, afferma i propri valori. Secondo quel sofisma, bisognerebbe punire di
meno o non punire più un reato quando esso viene praticato su larga scala. In
base a questo principio, durante la Repubblica di Weimar i giudici simpatizzanti
col nazismo cercavano di non applicare le norme che punivano le violenze
antisemite, sostenendo che esse non corrispondevano più al sentire comune dei
tedeschi. Quanto più un reato si diffonde, tanto più occorre perseguirlo, se si
pensa che vìoli i diritti dei cittadini, quanto più la criminalità aumenta,
tanto più occorre reprimerla, per tutelare i cittadini, e ciò vale per il furto,
la corruzione, la concussione, la ra pina, la violenza ad ogni specie - compresa
quella bestiale commessa in nome del calcio - l' abuso di potere da parte di
organi dello Stato, l' istigazione all' odio razziale. Quando il terrorismo si è
maggiormente diffuso e sembrava accettato più de l consueto, negli anni
Settanta, è stato giusto intensificare la sua repressione, così com' è stato
necessario reprimere la corruzione quando essa stava diventando un costume quasi
abituale. Un crimine è tanto più nocivo - e va tanto più perseguito - quanto più
si diffonde; mille rapine non possono indurre a tollerarle come un' abitudine.
La legge non esaurisce certo le esigenze della coscienza, ma è anche il
tentativo di calarle concretamente nella realtà, facendo malinconicamente i
conti con i limiti e i compromessi di quest' ultima. Le sue ragioni sono diverse
da quelle del cuore, ma non necessariamente loro nemiche. Sappiamo bene come i
cavilli giuridici possano favorire la peggiore ingiustizia. Ma anche il
formalismo apparentemente più arido può venire talora in soccorso del cuore. Nel
Mercante di Venezia, Porzia si accorge che l' amato Bassagno è turbato per la
sorte dell' amico Antonio e lo libera da questo turbamento salvando Antonio dal
terribile contratto con Shylock grazie a d un espediente cavilloso, ma posto al
servizio dell' umanità. La sua sottigliezza giuridica salva anche l' amore: «Voi
non giacerete accanto a Porzia con l' animo inquieto», lei aveva detto infatti
allo sposo, vedendo che il dolore per l' amico gli inceppava il pieno abbandono
alla felicità amorosa. E' quel formalismo sofisticato che, sciogliendo il
dramma, ridona ai due amanti la libertà della passione. Claudio Magris