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Luciana commenta:
Amélie Nothomb, Acido solforico (traduzione di Monica Capuani)
Voland, 2005
Amélie Nothomb “Acido solforico” (2006), Voland, Roma
Concentramento: questo avrebbe potuto essere il titolo dell’ultimo, già diffusissimo e discusso romanzo di Amélie Nothomb “Acido solforico”, anche se poi, vedremo, nella scelta di questa denominazione sarà celata la sorpresa più umana che questa storia vuole narrare.
La provocatoria autrice dà libero sfogo, in tonalità crescenti, alla rabbia scatenata dall’effetto distruttivo culturale e massificato che l’oggetto “televisione” può perpetrare nella mente umana.
E non poteva adottare mezzo migliore.
Concentramento, infatti, è il titolo di un reality show [1]che supera ogni livello di creatività mediatica e che, ci si augura, non diventi fonte ispiratrice per probabili future idee di effettiva produzione televisiva.
Lo stile di conduzione del programma non è dissimile da quelli reali, attuali propinati dalle reti televisive pubbliche e private: riprese di vita vissuta su un set[2] artificiale, scandite da regole ben precise e alla continua ricerca di misurarsi con un’audience[3] di alto livello.
In questo caso, però, il set artificiale è quello non molto dissimile dal campo di concentramento e poiché “è finita l’epoca della funzione e del buonismo” i requisiti delle persone reclutate riguardano caratteristiche particolari: saper picchiare, insultare, reggere alla commozione che i torturati possono suscitare. Questo per coloro che diventeranno kapò[4].
I prigionieri, invece, non possono conoscere i nomi dei propri compagni di sventura, vengono tatuati con una sigla di identificazione e, nel corso delle puntate, la loro esclusione dalla trasmissione avverrà tramite l’eliminazione fisica, momento più atteso dal pubblico, ma che, fortunatamente, l’autrice non descrive nel dettaglio, lasciando comunque intuire l’applicazione di abnormi torture.
Particolare non trascurabile cui gli organizzatori tendono: l’attenzione a non scivolare nella pura esibizione della TV del dolore, ma la nobile ricerca dell’estetica del dolore, ovvero quella forma di attrazione che cattura e seduce per una sorta di perversa bellezza, provocata dall’atrocità più disumana, nel ricercare un equilibrio tra l’accanimento violento e la non soppressione di chi lo subisce.
L’obiettivo infatti non è la “sporca” uccisione a freddo dei prigionieri, ma causare il loro lento ridursi a poveri corpi smagriti che, incapaci di produrre lavoro, dovranno necessariamente essere eliminati.
Le due protagoniste principali del romanzo sono Pannonique e Zdena.
La prima, prigioniera, bella, intelligente, orgogliosa e di classe; la seconda, kapò, ottusa, senza titolo di studio, affascinata dal fatto di poter entrare nel mondo televisivo dove, finalmente, potrà conquistare identità e riconoscimento per le sue potenzialità.
Avviene quasi naturalmente che l’aguzzina si senta fatalmente attratta dalla sua perseguitata, di cui implora la conoscenza del nome, perché è solo “quando la parola è una parola di lusso, e cioè un nome, [che] la sua missione è rivelare bellezza”.
CKZ 114, (questo il numero di matricola di Pannonique), diventa presto polo di interesse per la sua fierezza, per il suo coraggio, per la capacità di promuovere rispetto invitando tutti i compagni a darsi del lei per reciprocamente ricordarsi che “ a differenza di loro, noi siamo individui civilizzati”.
Ma queste qualità di CKZ 114 hanno un costo: dietro la maschera della resistenza si nasconde un travaglio profondo che culminerà nel transitorio tentativo di identificarsi addirittura in Dio, pur di potersi adirare con qualcuno che sicuramente in quel frangente non esiste più.
Le varie scelte di CKZ 114 tese a procrastinare l’accadere di eventi drammatici modificheranno profondamente il rapporto tra Pannonique e Zdena, anche se non sempre produrranno l’effetto salvifico sperato.
CKZ 114 infatti inizierà col rivelare il proprio nome per salvare l’amica dai condannati a morte, richiederà di poter parlare con gli organizzatori per denunciare le violenze sessuali profuse ad una piccola dodicenne che però ne determineranno la sua soppressione, accuserà gli spettatori della loro unica responsabilità di colpevolezza per creare una sorta di cellula di resistenza all’interno del campo che darà come unica conseguenza l’innalzamento dell’audience, contratterà il desiderio della kapò di godere della sua carne per ottenere la liberazione di tutti i prigionieri.
Dal suo canto, la kapò Zdena, nel susseguirsi delle pagine del romanzo, matura la consapevolezza del suo non valere nulla, del suo essere vuota. Ma non è sufficiente per farla desistere dal suo vano tentativo di disporre sessualmente di CKZ 114.
E quando persino gli altri prigionieri disprezzeranno il non cedimento di CKZ 114 di fronte agli inviti di Zdena, Pannonique lancia la sua ultima sfida: chiedere al pubblico - che nel frattempo è diventato interattivo e designa esso stesso attraverso la digitazione del codice dei prigionieri chi deve essere eliminato - di votarla all’unanimità.
Solo questo gesto potrà riscattarli dalla loro colpevolezza di dare nutrimento ad uno spettacolo così sciagurato.
Nell’intervallo dell’attesa dell’esito della votazione, un drammatico confronto tra CKZ 114 e Zdena produrrà il colpo di scena atteso. “Quel che c’è di mostruoso in lei è la kapò, non è Zdena. Smetta di essere una kapò, e non sarà più un mostro”.
Zdena accetta l’invito.
Ecco pertanto che mentre CKZ 114 si avvia incontro al suo supplizio, Zdena si presenta sul campo con una serie di bottiglie molotov, minacciando il loro lancio se qualcuno dell’esercito non si precipiterà a liberarli dallo show.
Così realistici da far venire i brividi i commenti riportati dagli spettatori, che al momento del verdetto finale raggiungono il 100% dell’audience: “Quando vedo una cosa del genere, sono contento di non avere la televisione! “ ripete indignato chi, senza televisore, si autoinvita dai vicini per assistere alla diretta di Concentramento.
Asciutto, incisivo, rapido è lo stile narrativo.
Una triste rappresentazione del nostro esistere contemporaneo che sta attendendo il suo eroe, ben sapendo che, come dice Pannonique durante il suo commiato con Zdena, “E’ così, l’eroismo: è per niente”, vanificando la debole insistenza di quest’ultima nel rivendicare una forma di riconoscimento per l’atto compiuto.
A proposito. L’acido solforico è la sostanza che avrebbe consentito l’esplosione della molotov. In realtà si tratta di vino, ma l’illusione ottica del colore rosso è sufficiente a dare credibilità alla minaccia.
Da leggere in un fiato e da meditare a lungo.
[1] "Spettacolo-realtà", usato per definire un programma che è basato sulle riprese di situazioni reali, non sceneggiate, ma presentate in un contesto narrativo
[2] Il luogo dove vengono effettuate le riprese cinematografiche
[3] numero di spettatori che seguono uno spettacolo televisivo
[4] nei lager nazisti, prigioniero responsabile dell’ordine interno di una baracca