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Amos Oz (2005), D’un tratto nel folto del bosco, Feltrinelli, Milano


 

Triste è essere bambini e poter solo immaginare, attraverso il ricordo degli adulti o illustrazioni appese alle pareti dell’aula della scuola, chi sono gli animali.

E oscuro è il mistero del bosco, in cui, una notte, tutta la fauna vivente scomparve. 

La minaccia scende con il buio e ovunque aleggia il presagio che, con l’avanzare delle tenebre, bisogna ben proteggersi nelle proprie case.

Chi sfida il folto del bosco, incauto, ne sarà punito, come è accaduto a Nimi che, dopo la sua prima incursione, ha sostituito la parola con il nitrito. 

Si mormora, nel paese, della cupa presenza di Nehi, demone del bosco, unico responsabile della cattura e del rapimento di tutti gli animali, bestie e bestiole che un tempo allietavano le case, i prati, il fiume e il vento del paese. 

Realtà o leggenda?

I bambini così crescono, sentendo raccontare e poi negare, poiché, in fondo, il sapore della fiaba incanta o spaventa, ma la realtà è sempre un’altra cosa. 

E chi si ostina a rievocare troppo o a diffondere una descrizione troppo minuziosa di un animale o di un verso o di un’orma, viene zittito e guardato con sospetto. 

Ma nelle storie c’è sempre qualcuno che sfida la congiura del silenzio.

Così Mati e Maya vogliono indagare, guardando in faccia la propria paura, ma ugualmente pronti a carpire il segreto del bosco. 

In un avventuroso viaggio verso la conquista dell’ignoto, rincontrano Nimi e, sorpresa!, ha ripreso a parlare. O meglio, non aveva mai smesso. Piuttosto il suo “nitrillo” corrispondeva ad una scelta di rottura verso chi lo canzonava e lo offendeva solo perché affermava di sentire i suoni degli animali. 

Il cammino prosegue sempre più intricato e tortuoso, a ridosso del fiume. 

Mati, il ragazzo, vorrebbe tornare indietro, ma Maya è ostinata e decisa.

Si va avanti. 

E in un giorno che non lascia incedere la notte, avviene l’incontro con Nehi, il demone del bosco.

Dal suo racconto, Mati e Maya apprendono la “sua” verità, così simile a quella di Nimi.

Anche Nehi, da piccolo, aveva appreso e sviluppato il linguaggio degli animali: il cagnesco, il micioliano, l’equese, il mucchese, il moschese … e gli adulti lo guardavano con sospetto ed imbarazzo. Persino i genitori non avevano ostacolato il suo vagabondare nel bosco, finchè Nehi aveva deciso che quella sarebbe stata la sua nuova dimora. E gli animali … avevano compiuto la stessa scelta, stabilendosi con lui. 

E questa potrebbe essere la storia.

Una separazione, un distacco dai propri simili poiché percepiti come ottusi, malevoli, insensibili. L’adozione di uno stile di vita più aereo, pacifico, sereno, di un contatto primordiale con la natura, ed il suo addestramento a non essere più crudele e nefasta. 

Ma l’autore è Amos Oz. 

Come nel romanzo Una storia d’amore e di tenebra, ritorna ancora una volta l’appassionata e disperata ricerca di ritrovare uno spazio di dialogo.

Nella storia D’un tratto nel folto del bosco la metafora che traspare è daccapo la frattura tra il popolo israeliano e palestinese e il desiderio di lanciare una traiettoria di riavvicinamento, unito alla paura del rinnovo del tormento, dell’ostilità e dell’incomprensione. 

Per questo quando Mati e Maya interrogano Nehi prospettandogli la gioia, per il loro paese, di riappropriarsi di ciò che hanno perduto grazie ad un suo ritorno, Nehi non potrà che invocare: “Parlate loro. Parlate a quelli che offendono e anche a quelli che tormentano e a quelli che sono contenti di far del male agli altri. Parlate, voi due, a chiunque sia disposto ad ascoltare. Cercate di parlare persino a quelli che prendono in giro voi, che non vi degnano che del loro disprezzo. Nan badateci, continuate a tentare di parlare”. 

E il meditabondo rientro verso casa di Mati e Maya, il continuo incalzare del nome di tutti coloro che dovranno essere informati, il timore di essere beffeggiati e comunque la reciproca promessa di riuscire a dialogare, concludono con la parola “Domani” la speranza di intravedere un possibile disegno di unione.