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IL FORTINO
Stamane, subito dopo il risveglio, quando più sovente si è soggetti a qualche breve sintomo di depressione, mi si è configurata nella mente l'immagine del fortino.
Mi avevano dato il giorno prima una brutta notizia. Un caro amico era stato ricoverato d'urgenza, il solito infarto. Le brutte notizie, secondo l'antico detto, non vengono mai sole: pochi giorni prima, era finita all'ospedale un'amica, in coma per un arresto cardiaco. Se non morirà, sopravvivrà in cattive condizioni, meglio non pensarci.
Ma non continuerò l'elenco. Quando si è raggiunta una certa età, è normale che gli amici intorno a noi, essendo coetanei, siano esposti « ai dardi », così li chiama Amleto, « della sorte avversa». A uno a uno soccombono, e restiamo sempre più soli. Fino a quando non soccomberemo noi.
Così è nata nella mia testa, stamane, l'idea del fortino. Ho pensato che è come se vivessimo, noi di età avanzata, in un fortino cinto d'assedio. Fuori c'è l'armata nemica, un'armata che non perdona, e che non ha fretta, non se ne andrà mai. Di tanto in tanto gli assedianti sparano, una pallottola va a segno, uno di noi cade, ferito o ucciso. La guarnigione si assottiglia, uno di meno. Sappiamo che non c'è scampo, alla fine soccomberemo tutti; l'esercito in grado di liberarci dall'assedio non esiste, non verrà. Siamo soli, siamo abbandonati alla nostra sorte. Forse c'è accanto a noi, nella fortezza, una persona particolare, quella che con noi ha condiviso tanti anni di vita, tante scorribande liete e meno liete, e il legame è troppo intimo perché se ne parli.
Basterà dire che l'essere in due, nel fortino, semplifica e, insieme, complica la vita.
Esser soli è poco allegro. D'altra parte, se si è in due, si sa che non ci sarà scampo, una pallottola colpirà prima una persona, poi l'altra; è quasi del tutto escluso che le colpisca insieme, tutt'e due. C'è solo da chiedersi in che ordine colpirà. Quella delle due che non sarà colpita per prima avrà la pena di assistere allo scempio dell'altra. E allora, meglio essere i primi a soccombere? Certamente sì: ma in quel caso la pena che una delle due persone evita sarà inflitta all'altra, sicché la speranza di essere i primi diventa, in verità, una forma di egoismo.
In: Piero Ottone, Memorie di un vecchio felice. Elogio della terza età, Longanesi, 2005, p. 193-194