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Minkowski Eugene, Il tempo vissuto: fenomenologia e psicopatologia,
Einaudi, 1971, p. 90-93
IL DESIDERIO E LA SPERANZA
in Minkowski Eugene, Il tempo vissuto: fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, p. 93-98
Al di sopra dell'attività e dell'attesa stanno il desiderio e la speranza. Essi sono diretti verso l'avvenire e contribuiscono a crearlo davanti a noi. E, per dire subito l'essenziale, ciò che li caratterizza in rapporto all'attività e all'attesa, è che essi le superano, vanno «oltre» ad esse, ci permettono di vedere al di sopra, allontanano da noi l'immediato per metterci in rapporto con il mediato e allargano in tal modo in maniera singolare la nostra prospettiva nell'avvenire che ci sta davanti.
Questa prospettiva, come ci sembra, non dipende dall'im-parare a prevedere ciò che può o deve accadere in un avvenire più o meno lontano, ma deriva dal saper desiderare e sperare. Ma i desideri e le speranze, mi si dirà, costituiscono lo sfondo tessuto di fili sottili e inafferrabili sul quale si svolge tutta la nostra vita psichica; sono profondamente impregnati di affettività e da essa dipendono; è indiscutibile. Anche i poeti hanno sempre cantato le aspirazioni e le speranze segrete, le gioie e le delusioni che agitano continuamente l'animo umano. Ma non c'è motivo che si debba indietreggiare davanti ai fenomeni poetici della nostra vita, dal momento che questi, non nella loro forma concreta, ma in quanto atteggiamenti vitali, prendono parte alla tessitura generale della vita. Da questo punto di vista i fenomeni del desiderio e della speranza rappresentano due dei pilastri principali nella struttura generale dell'avvenire vissuto. In quanto tali dobbiamo qui esaminarli.
Evidentemente lo faremo senza neanche tentare di riportarli, in nome di un ideale scientifico mal inteso, a sentimenti detti elementari, o di darne una teoria genetica, conferendo loro di colpo un carattere più tangibile sotto forma di istinti o di altre funzioni biologiche. Non ce n'è bisogno. Ciò che ci interessa non è questo o quel determinato desiderio, ma il desiderio e la speranza in quanto fenomeni generali, fenomeni che ci permettono di dire che nella vita c'è sempre qualcosa da desiderare e da sperare, che ci permettono di affermare l'avvenire e che contribuiscono in tal modo a costruire il quadro generale della vita, quadro nel quale verranno in seguito a disporsi tutti gli avvenimenti concreti, desideri o speranze particolari che siano.
Nella vita quotidiana il desiderio e la speranza possono apparentemente riguardare il passato. Spero che il mio amico non sia perito nella catastrofe ferroviaria di cui i giornali hanno dato notizia questa mattina, mentre si ignora ancora la lista delle vittime; purché riceva presto sue notizie. È facile rendersi conto che in questo caso si tratta di un passato sul quale non siamo ancora fissati e che pertanto assomiglia più all'avvenire che al passato; inoltre la notizia della catastrofe mi fa sperare in un messaggio del mio amico e lo attendo da un momento all'altro; dunque nella mia speranza c'è avvenire. D'altra parte, quando sarò fissato sull'irreparabile passato, la mia speranza, divenuta senza oggetto, svanirà per dar posto ad altri sentimenti, alla gioia o alla disperazione o a rimpianti.
L'attività e l'attesa erano, quanto a colorito affettivo, nettamente opposte. Abbiamo parlato di gioia elementare di vivere da un lato e del terrore dell'attesa dall'altro. Si è sorpresi, salendo un gradino più su, di trovare due fenomeni
che hanno tutti e due un valore positivo: è dolce desiderare ed è dolce sperare. Non preoccupiamoci pertanto del nostro bisogno di simmetria. Questo disaccordo apparente è, in fondo, naturalissimo. Si basa sul fatto che la vita rappresenta per noi un valore positivo e ciò non per i beni terreni che vi possiamo acquisire, né per i piaceri che vi possiamo gustare, ma proprio perché noi siamo sempre in condizione di aspirare a più di quello che abbiamo e di considerare l'avvenire pieni di speranza. È bello vivere perché è dolce desiderare e sperare. Non si può mettere in dubbio tale constatazione. «Ciò che fa della speranza un piacere cosi intenso, è che l'avvenire di cui disponiamo a nostro piacere, ci appare contemporaneamente con una moltitudine di forme, tutte sorridenti, tutte possibili. E se pure la più desiderata tra tutte si realizza, le altre andranno sacrificate e noi avremo perso molto. L'idea dell'avvenire, pregno di un'infinità di possibilità, è dunque più fecondo dell'avvenire stesso ed è per questo che c'è più fascino nella speranza che nel possesso, nel sogno che nella realtà» (Bergson). È piena di fascino soprattutto la speranza, perché ci apre davanti largamente l'avvenire.
Probabilmente mi si dirà che sono ottimista. Tutt'altro; non è questo il problema. Ottimismo e pessimismo sono atteggiamenti secondari che si richiamano tutti e due alle esperienze della vita; d'altra parte probabilmente né l'uno né l'altro sono del tutto d'accordo con se stessi. In ogni caso il modo categorico in cui abitualmente vengono contrapposti l'uno all'altro, sembra di per se stesso una prova evidente che essi derivano dall'empirismo e non dalla contemplazione dei fenomeni vitali nei loro rapporti essenziali; essi sono il prodotto di un ragionamento che si fa nell'ambito generale creato da questi fenomeni. Il pessimismo e l'ottimismo richiedono sempre prove d'appoggio, mentre il problema di sapere se accada di desiderare e di sperare nella vita non si pone neanche. Ricordo qui quanto dicevo prima a proposito del dolore sensoriale che, dopo averci dato la nozione fondamentale «di essere affetti da una causa esteriore», ci permetteva in seguito di distinguere le nostre sensazioni in gradevoli e penose. Nello stesso modo il pessimismo più estremo, ammettendo che esista, non impedisce di constatare che è la speranza a permetterci di costruire l'avvenire davanti a noi. Libero ciascuno in seguito di riempire questo quadro secon
do le proprie preferenze di immagini ottimiste o pessimiste.
Così quando James Sully nel suo studio su // Pessimismo ci parla di «ingenua fiducia» e di «istintiva speranza» e ci mostra come questa fiducia e questa speranza si degradano e si perdono progressivamente sotto l'influenza «di una pena che non si sospettava affatto, di un sentimento di stanchezza nella prosecuzione, di crudeli ferite infette dalla delusione», è chiaro che ciò ha a che fare con l'esperienza della vita e col sentimento di delusione generale più o meno ragionata che ne può risultare, ma non riguarda affatto la speranza così come la stiamo considerando qui che non è né ingenua né istintiva, né una prova di inesperienza, ma che è anzitutto costruttiva, nel senso che senza di essa l'avvenire mediato non potrebbe esistere per noi.
La nostra vita sembra piena di opposizioni «triangolari», se cosi ci si può esprimere, di questo ordine; in esse un fenomeno a forte carica sia positiva che negativa, dopo aver fornito come all'apice del triangolo un dato fondamentale della vita, vede porsi al di sotto, come agli angoli della base dello stesso triangolo, i due termini di un'opposizione intelligibile, che hanno rapporto con l'esperienza comune e che cercano in seguito di inglobare sul piano della logica il fenomeno generatore. È così di sensazioni gradevoli e penose in rapporto al fenomeno del dolore sensoriale; così è ugualmente del fenomeno dell'ottimismo e del pessimismo, o della fiducia e della sfiducia nei confronti della vita, in rapporto alla speranza generatrice dell'avvenire.
Constatare che la speranza è uno degli elementi costitutivi dell'avvenire vissuto, non è fare dell'ottimismo, e così pure non esclude il pessimismo. Per rendersene conto basta sollevarsi al di sopra dell'empirismo della vita quotidiana. Se solamente sapessimo che cosa significa «sollevarsi al di sopra». Ma questo è già un altro problema.
Quanto alla disperazione, essa è una risposta ad un avvenimento attuale; resta, nonostante il carattere di eccezionale gravita che può assumere, un «incidente» e non interviene per nulla nel tessuto dell'avvenire. «La tristezza non è che un orientamento verso il passato, un impoverimento delle nostre sensazioni e delle nostre idee, come se ciascuna di esse stesse ora tutta intera nel poco che da, come se l'avvenire ci si fosse in qualche modo chiuso» (Bergson).
Detto questo, tentiamo di estrarre dai fenomeni desiderio e speranza, astraendo dal loro contenuto sentimentale, i caratteri essenziali per i quali prendono parte alla tessitura generale della vita e del mondo. Abbiamo d'altra parte già evidenziato il punto cardinale che ci deve servire da filo conduttore; è il «più lontano»; dobbiamo dunque esaminarlo meglio, applicandolo volta per volta ai due fenomeni studiati. Cominciamo dal desiderio.
Nel desidèrio io supero l'attività, guardo oltre e in tutti i sensi. Il desiderio cosi è più ampio dell'attività. Ma che significa «in tutti i sensi»? Questo evidentemente non può riguardare che i fattori dell'attività messi in evidenza nel paragrafo precedente.
Nel desiderio mi porto in avanti verso l'avvenire, come nell'attività; vivo il tempo nella stessa direzione, ma nel farlo, guardo «più lontano» nell'avvenire, mi sento in relazione con un avvenire più distante. Questo «più lontano» del desiderio emerge nettamente se confrontiamo il desiderio e l'attività con il fenomeno della morte. Certo la morte interrompe sia la nostra attività che i nostri desideri, tuttavia finché vivo posso nei miei desideri guardare al di là della morte, mentre non lo posso fare attraverso la mia attività. Cosf, mentre nell'attività vado verso l'avvenire in modo immediato e continuo, nel desiderio è l'avvenire mediato che si apre davanti a me ed è verso di esso che dirigo il mio sguardo. In questo caso non si tratta certo di un punto più lontano, sempre su di una linea retta tracciata dall'attività. No, il «più lontano» non ha qui questo significato geometrico e lineare. Per il desiderio, l'avvenire diventa per me come più ampio. È proprio come un vero sprazzo che si espande tutto attorno nell'attività. È bene a questo punto meditare sulle parole di Bergson a proposito della speranza, quelle parole che abbiamo citato prima. In fondo, il «più lontano» senza essere preso a prestito qui dalle relazioni spaziali, mi è dato, in maniera immediata, dal desiderio stesso, e c'è da domandarsi se, partendo da questo, non finisce per trovare la sua forma intelligibile nei rapporti geometrici, rapporti che sembrano così semplici al nostro pensiero che esso vi si sofferma volentieri vedendovi l'espressione prima e la più adeguata del «più lontano», in generale.
Tuttavia, in realtà, il «più lontano» non sembra prendere origine nello spazio intelligibile, ma rapportarsi piuttosto a questa solidarietà spazio-temporale di cui abbiamo già parlato più di una volta. Perché se il desiderio apre l'avvenire davanti a noi più ampiamente di quanto lo faccia l'attività, esso supera nello stesso tempo la sfera propria a quest'ultima superandola sempre. Non posso desiderare ciò che ho sotto mano e d'altra parte, in quanto vivo, desidero più di quello che ho, ed è questo il senso stesso della vita.