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Tocqueville: La Costituzione federale degli Stati Uniti

 

C.A. de Tocqueville

 

Alexis de Tocqueville dedica la prima parte della sua Democrazia in America all'esame della costituzione federale degli Stati Uniti. Le attribuzioni concesse al governo federale, cioè al potere centrale, investono soltanto la sfera degli interessi generali, determinando con precisione i settori d'intervento. Tutte le altre questioni sono regolate dai singoli stati confederati secondo un principio di decentramento amministrativo volto a tutelare gli interessi dei cittadini: è questa la novità introdotta dalla costituzione repubblicana statunitense che, a differenza di alcune monarchie europee basate su un rigido accentramento sia del potere politico sia del potere amministrativo, introduce nella vita pubblica un prezioso elemento di libertà, pur conservando un'autorità nazionale dotata di ampi poteri sovrani.

 

Le tredici colonie che scossero simultaneamente il giogo dell'Inghilterra alla fine del secolo scorso, avevano, come abbiamo detto, la stessa religione, la stessa lingua, gli stessi costumi, quasi le stesse leggi; esse lottavano contro un nemico comune, dovevano dunque avere forti ragioni per unirsi intimamente fra loro, e fondersi in una sola nazione. Ma poiché ciascuna di esse aveva sempre avuto un'esistenza a parte e un governo proprio, e aveva creato interessi e usanze particolari, era naturale che ripugnasse loro un'unione solida e completa che avrebbe fatto sparire, nella fusione, le personalità particolari. Di qui due tendenze opposte: l'una che spingeva gli angloamericani a unirsi, l'altra a dividersi. Finché durò la guerra con la madrepatria, la necessità fece prevalere il principio dell'unione; e benché le leggi costituenti quest'unione fossero molto difettose, il legame comune resistette.

Ma, conclusa la pace, i difetti della legislazione si mostrarono apertamente e sembrò che lo Stato a poco a poco si dissolvesse. Ogni colonia, divenuta una repubblica indipendente, si impadronì dell'intera sovranità, mentre il governo federale, condannato alla debolezza dalla sua Costituzione e non più sostenuto dal sentimento del pericolo, vide la sua bandiera abbandonata agli oltraggi dei grandi popoli d'Europa, e si ridusse al punto di non poter neanche tener testa alle tribù indiane e pagare i debiti contratti durante la guerra d'indipendenza. Vicino a perire, dichiarò egli stesso ufficialmente la sua impotenza e si appellò a un potere costituente. [...]

Quando l'insufficienza della prima Costituzione federale si fece sentire, il fervore delle passioni politiche nato con la rivoluzione si era in parte calmato, mentre tutti i grandi uomini creati dalla rivoluzione erano ancora in vita. Fu questa una doppia fortuna per l'America. La poco numerosa assemblea, che si incaricò di redigere la seconda Costituzione, comprendeva i migliori spiriti e i più nobili caratteri che fossero mai apparsi nel Nuovo Mondo. George Washington la presiedeva.

Questa commissione nazionale, dopo lunghe e mature deliberazioni, offrì all'approvazione del popolo un corpo di leggi organiche che ancora ai nostri giorni regge l'Unione. Tutti gli Stati successivamente l'adottarono. Il nuovo governo federale entrò in funzione nel 1789, dopo due anni di interregno. La rivoluzione d'America finiva dunque precisamente nel momento in cui la nostra cominciava.

Una prima difficoltà si presentò agli americani. Si trattava di dividere la sovranità in modo che i diversi Stati che formavano l'Unione continuassero a governarsi da soli in tutto ciò che riguardava la loro politica interna, senza che la nazione intera, rappresentata dall'Unione, cessasse di costituire un corpo unico, capace di provvedere a tutti i bisogni generali. Questione assai complessa e difficile a risolvere.

Era impossibile fissare precedentemente, in modo esatto e completo, la parte di potere che doveva spettare a ciascuno dei due governi, fra i quali si stava per dividere la sovranità. Chi mai può prevedere tutti i particolari della vita di un popolo?

I doveri e i diritti del governo federale erano semplici e molto facili a definire, poiché l'Unione era stata formata allo scopo di rispondere ad alcuni grandi bisogni generali; invece i doveri e i diritti dei governi statali erano molti e complicati, poiché il governo statale penetrava in tutti i particolari della vita sociale.

Le attribuzioni del governo federale furono pertanto definite accuratamente, e si dichiarò che tutto ciò che non era compreso in esse rientrava nell'ambito delle attribuzioni dei governi statali. Così il governo degli Stati rappresentò il diritto comune, il governo federale l'eccezione. [...]

 

Attribuzioni del governo federale

I popoli fra loro non sono che individui. Soprattutto per comparire degnamente di fronte agli stranieri, una nazione ha bisogno di un unico governo.

All'Unione fu pertanto accordato il diritto esclusivo di fare la pace e la guerra, di concludere trattati di commercio, di arruolare eserciti, di armare flotte.

La necessità di un governo nazionale non si fa altrettanto imperiosamente sentire nella direzione degli affari interni; tuttavia, vi sono alcuni interessi generali ai quali solo un'autorità generale può utilmente provvedere.

All'Unione fu lasciato il diritto di regolare tutto ciò che si riferisce al valore della moneta; fu incaricata del servizio postale; ebbe il diritto di aprire grandi comunicazioni per unire le diverse parti del territorio.

In generale, i governi statali furono lasciati liberi nella loro sfera particolare; tuttavia siccome qualcuno di essi poteva abusare di questa indipendenza e compromettere con misure imprudenti la sicurezza dell'Unione intera, così, per casi precedentemente definiti, si permise al governo federale l'intervento negli affari interni degli Stati.

In tal modo, pur riconoscendo a ciascuna repubblica confederata il potere di modificare e cambiare la legislazione, fu peraltro a essa impedito di fare leggi retroattive e di creare nel suo seno una classe di nobili.

Infine, poiché occorreva che il governo federale adempisse agli obblighi impostigli, gli si dette il diritto illimitato di stabilire imposte. [...]

 

Poteri legislativi

Dopo aver chiuso il governo federale in un campo d'azione nettamente tracciato, si trattava di sapere in che modo esso dovesse muoversi.

Nell'organizzazione dei poteri dell'Unione, si seguì in molti punti lo stesso piano precedentemente tracciato per la Costituzione particolare di ciascuno Stato.

Il corpo legislativo federale dell'Unione si compose di un senato e di una camera dei rappresentanti.

Lo spirito di conciliazione fece seguire, nella formazione di ciascuna di queste assemblee, regole diverse.

Ho messo già in luce che, quando si era deciso di stabilire la Costituzione federale, due opposti interessi si erano manifestati che avevano dato origine a due opinioni diverse.

Gli uni volevano fare dell'Unione una lega di Stati indipendenti, una specie di congresso, in cui i rappresentanti di popoli distinti venissero a discutere alcuni punti di interesse comune.

Altri volevano riunire tutti gli abitanti delle antiche colonie in un unico popolo e creare un governo che, benché avesse una sfera limitata, potesse agire come il solo e unico rappresentante della nazione. Le conseguenze pratiche di queste due teorie erano molto diverse.

Così, se si trattava di organizzare una lega e non un governo nazionale, era la maggioranza degli Stati a far la legge e non la maggioranza degli abitanti dell'Unione. Infatti, in questo caso, ogni Stato, grande o piccolo, avrebbe conservato il suo carattere di potenza indipendente, e sarebbe entrato nell'Unione sul piede di una eguaglianza perfetta.

Invece se si consideravano gli abitanti degli Stati Uniti come formanti un solo popolo, era naturale che fosse solo la maggioranza dei cittadini dell'Unione a fare la legge.

Si comprende come i piccoli Stati non potessero consentire all'applicazione di questa dottrina, senza abdicare completamente alla loro esistenza in ciò che riguardava l'autorità federale; poiché essi da potenze indipendenti, divenivano frazioni insignificanti di un grande popolo.

Il primo sistema avrebbe accordato loro una potenza eccessiva, il secondo li annullava. In questo stato di cose, avvenne quel che avviene quasi sempre quando gli interessi sono in opposizione con il ragionamento: si fecero piegare le regole della logica.

I legislatori adottarono un termine medio che conciliasse forzatamente due sistemi teoricamente inconciliabili.

Il principio dell'indipendenza degli Stati trionfò nella formazione del senato; il dogma della sovranità nazionale nella composizione della camera dei rappresentanti.

Ogni Stato dovette inviare al Congresso due senatori e un certo numero di rappresentanti, in proporzione alla sua popolazione.

Da questo accomodamento risulta che, ai nostri giorni, lo Stato di New York manda al Congresso quaranta rappresentanti e solamente due senatori: lo Stato di Delaware due senatori e un solo rappresentante. Questo Stato è dunque nel senato uguale allo Stato di New York; mentre ha nella camera dei rappresentanti un'influenza quaranta volte minore. Così può accadere che la minoranza della nazione, dominando il senato, paralizzi completamente la volontà della maggioranza, rappresentata dall'altra camera. [...]

 

Il potere esecutivo

I legislatori americani avevano un compito difficile da adempiere: dovevano creare un potere esecutivo, che dipendesse dalla maggioranza, ma che fosse abbastanza forte per se stesso per agire liberamente nella sua sfera.

La conservazione della forma repubblicana esigeva che il rappresentante del potere esecutivo fosse sottoposto alla volontà nazionale.

Il presidente è un magistrato elettivo: il suo onore, i suoi beni, la sua libertà, la sua vita, rispondono in ogni tempo al popolo del buon impiego che egli farà del suo potere. Esercitando questo potere, egli non è d'altra parte completamente indipendente: il senato lo sorveglia nei suoi rapporti con le potenze straniere e nella distribuzione degli impieghi; in modo che esso non possa essere corrotto, né corrompere.

I legislatori dell'Unione riconobbero che il potere esecutivo non avrebbe potuto adempiere al suo compito, se non avesse avuto maggiore stabilità e forza di quella che aveva negli Stati particolari.

Decisero allora che il presidente fosse nominato per quattro anni e potesse essere rieletto. Avrebbe avuto così il tempo di lavorare al bene pubblico, e i mezzi necessari per operare.

Si fece del presidente il solo e unico rappresentante del potere esecutivo dell'Unione. Non si vollero subordinare le sue volontà a quelle di un consiglio: mezzo pericoloso, che, indebolendo l'azione del governo, avrebbe diminuito la responsabilità dei governanti. Il senato ha il diritto di annullare qualche atto del presidente; ma non può costringerlo ad agire, né dividere con lui il potere esecutivo. [...]

 

Il potere giudiziario

Un governo federale deve desiderare più di ogni altro di ottenere l'appoggio della giustizia, perché è per natura più debole, e contro di lui si possono più facilmente organizzare delle resistenze.

Se esso dovesse ricorrere sempre, alla prima occasione, all'uso della forza, non riuscirebbe a sostenersi.

Per fare obbedire i cittadini alle sue leggi, e respingere gli attacchi di cui esse fossero oggetto, l'Unione aveva dunque un bisogno particolare dei tribunali.

Ma di quali tribunali si doveva servire? Ogni Stato aveva già un potere giudiziario organizzato. Si doveva ricorrere a questi tribunali, oppure bisognava istituire una giustizia federale? È facile dimostrare che l'Unione non poteva far uso del potere giudiziario stabilito negli Stati particolari.

È necessario senza dubbio, per la sicurezza dei singoli e la libertà di tutti, che il potere giudiziario sia separato da tutti gli altri, ma non è meno necessario per l'esistenza della nazione che i differenti poteri dello Stato abbiano la stessa origine, seguano gli stessi principi, e agiscano nella stessa sfera, in una parola che essi siano correlativi e omogenei. Nessuno, immagino, ha mai pensato di far giudicare dai tribunali stranieri delitti commessi in Francia, per essere più sicuri dell'imparzialità dei magistrati.

Ora gli americani formano un solo popolo riguardo al governo federale; ma, in mezzo a questo popolo, continuano a vivere corpi politici, dipendenti dal governo nazionale per alcuni punti, indipendenti per tutto il resto, aventi una particolare origine, particolari dottrine e speciali mezzi d'azione. Affidare l'esecuzione delle leggi dell'Unione ai tribunali istituiti da questi corpi politici, equivaleva ad abbandonare la nazione a giudici stranieri.

Inoltre, ogni Stato non solo è uno straniero riguardo all'Unione, ma è anche un suo avversario quotidiano, poiché la sovranità dell'Unione non potrebbe diminuire che a profitto di quella degli Stati.

Facendo applicare le leggi dell'Unione dai tribunali degli Stati particolari, si abbandonava dunque la nazione, non solo a giudici stranieri, ma anche a giudici parziali.

Inoltre, i tribunali degli Stati particolari erano incapaci di servire a uno scopo nazionale, non solo a causa del loro carattere, ma soprattutto a causa del loro numero.

Al momento in cui fu creata la Costituzione federale, vi erano già negli Stati Uniti tredici corti di giustizia giudicanti senza appello: oggi ve ne sono ventiquattro. Come ammettere che uno Stato possa durare, quando le sue leggi fondamentali possono essere interpretate e applicate in ventiquattro maniere diverse? Un simile sistema è contrario alla ragione come alle lezioni dell'esperienza.

I legislatori americani convennero dunque di creare un potere giudiziario federale, per applicare le leggi dell'Unione, e decidere certe questioni d'interesse generale definite anteriormente con cura.

Tutto il potere giudiziario dell'Unione fu concentrato in un solo tribunale, chiamato Corte Suprema degli Stati Uniti. Per facilitare il disbrigo degli affari, le si aggiunsero tribunali inferiori incaricati di giudicare sovranamente le cause meno importanti o di decidere, in prima istanza, le contestazioni più gravi. I membri della Corte Suprema non furono fatti eleggere dal popolo o dal corpo legislativo, ma si stabilì che fossero nominati dal presidente, sentito il parere del senato.

Per renderli indipendenti dagli altri poteri, furono resi inamovibili e si decise che il loro stipendio, una volta fissato, non subisse il controllo del corpo legislativo.

[Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli, Milano 1992.]