Poche
righe, su una delle più autorevoli riviste mediche, il "British
Medical Journal". Un piccolo grafico, con una curva da
fare paura. Indica il numero dei nuovi sieropositivi
registrati in alcuni paesi europei, Francia, Olanda, Svezia,
Svizzera e Gran Bretagna: cresciuti del 20 per cento negli
ultimi cinque anni. Il "British" è compassato, come
di consueto, e annuncia stringatamente ciò che molti addetti
ai lavori temevano: il ritorno dell'Aids sulla scena europea.
Quanti, negli anni scorsi, prevedevano sciagure anche per i
paesi ricchi, erano visti come uccelli del malaugurio dal
momento che le campagne di prevenzione avevano arrestato il
propagarsi del virus, e i potenti farmaci antivirali salvavano
la vita ai malati. I virus non conoscono confini, ammonivano
gli esperti, e l'enorme numero di malati e sieropositivi in
Africa (28 milioni di malati), Asia (7 milioni senza contare
il disastro cinese su cui non si hanno dati certi) e America
Latina (quasi due milioni) non tarderà a riportare Hiv anche
in Europa.
Studiosi come Stefano Vella, presidente dell'International
Aids Society, ha perso la voce per ammonire in ogni occasione
che bisognava curare i poveri del mondo perché l'Aids non si
ferma al confine. E questo è il messaggio che verrà lanciato
con forza nella sei giorni della Hiv Conferenza Internazionale
sull'Aids, prevista da 6 al 12 luglio, proprio in Europa, a
Barcellona.
Cassandre? Mica tanto, a giudicare dal grafico che compare sul
"British Medical Journal": tra il 1995 e il 2000 le
autorità sanitarie di diversi paesi europei hanno registrato
un aumento del 20 per cento delle infezioni da Hiv,
principalmente di quelle causate da rapporti tra
eterosessuali, mentre calano (leggermente) quelle dovute a
rapporti omosessuali.
«Il trend registrato dal Bmj per alcuni paesi del nord
europeo è rintracciabile anche in Italia e in Spagna»,
commenta Giovanni Rezza, direttore del Centro Operativo Aids
dell'Istituto Superiore di Sanità: «Nel nostro paese, su
circa 4 mila nuove infezioni stimate ogni anno, almeno l'80
per cento avviene per via sessuale. I colpiti sono uomini tra
i 40 e i 60 anni che segnalano come unico elemento di rischio
il fatto di avere avuto rapporti con una prostituta». Anche
lo studio Icona (Italian cohort of naive antiretroviral
patients, un gruppo di circa 5 mila sieropositivi seguiti su
tutto il territorio nazionale da 67 centri clinici coordinati
da sei università) conferma le caratteristiche della nuova
ondata di epidemia in Italia. «Dai dati Icona emerge che Hiv
colpisce soprattutto due diverse fasce d'età», spiega Mauro
Moroni, infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano e
coordinatore dello studio: «Ci sono i giovanissimi, i
frequentatori delle discoteche alle prime esperienze sessuali
che vivono nella presunzione di essere inattaccabili, anche
perché non sono più bombardati da informazioni sulla
prevenzione come era accaduto negli anni scorsi. Sono ragazzi
convinti che ormai il problema Aids non esista più, risolto:
l'epidemia ha fatto il suo tempo, ma ora tutto è cambiato, ci
sono i farmaci e le persone infette vivono a lungo».
Il risultato di questo atteggiamento sono 10-15 nuove persone
che si infettano ogni giorno in Italia, fa sapere Moroni, che
aggiunge: «Tra questi 10-15 nuovi casi al giorno non ci sono
solo i giovani, ma persone più mature: quaranta-sessantenni,
uomini e donne sposati, contagiati da rapporti sessuali
extraconiugali. Gli uomini si infettano prevalentemente
attraverso rapporti non protetti con partner occasionali,
spesso prostitute; mentre le donne contraggono il virus
prevalentemente dal partner fisso. Queste vittime ignare
rappresentano almeno il 40 per cento dei casi di Aids in
Italia».
Il calo di attenzione per il problema Aids, ritenuto da molti
un problema lontano che riguarda solo i poveri del mondo, ha
portato dunque a un aumento delle infezioni tra i giovani e i
giovanissimi che contraggono la malattia tramite rapporti
casuali non protetti, e tra la gente di mezza età, uomini
clienti di prostitute e le loro mogli ignare. Due gruppi
eterogenei che sembrano avere, sul piano dei mezzi di
contagio, pochi punti di contatto. Due flussi epidemici che
percorrono contemporaneamente l'Europa: da un lato lungo la
via più ovvia, quella che porta sulle nostre strade
prostitute da ogni angolo della Terra, in particolare dai
paesi dove Hiv colpisce più duro (Nigeria, Caraibi, Russia,
Ucraina); dall'altro lato attraverso la nuova promiscuità tra
venti e trentenni dei due sessi, non diversa da quella
sperimentata negli anni Settanta e Ottanta, quando Hiv era
sconosciuto e nessuno prendeva precauzioni. A rinforzare
quest'idea della nuova promiscuità arrivano anche i dati
sull'aumento delle malattie sessualmente trasmesse tra i
giovani colpiti da clamydia in Italia e in Svezia, sifilide in
Francia e Gran Bretagna, gonorrea in Olanda. Tutte malattie
che registrano tassi di infezione inediti, tra il 30 e il 50
per cento in più rispetto al decennio scorso e che sembrano
confermare i sondaggi inglesi su quanto poco i giovani siano
sensibili alla prevenzione: uno studio della City University
of London racconta che il 45 per cento dei ragazzi e il 49 per
cento delle ragazze ha rapporti con partner diversi dal
fidanzatino ufficiale, e lo fa senza prendere precauzioni,
mentre circa la metà degli adolescenti non ha mai sentito
parlare di Hiv.
Eppure l'Hiv è alle porte. Ed entra con una facilità
straordinaria. Un'équipe di ricercatori dell'Imperial College
di Londra presenterà alla conferenza di Barcellona uno studio
in cui si mostra chiaramente come il disastro che sta colpendo
la Russia, dove ci sono oggi 130 mila malati e dove nel giro
di cinque anni una persona su 20 porterà addosso Hiv, ha un
impatto fortissimo sui paesi della comunità europea. «Sappiamo
bene che Hiv si diffonde lungo le strade percorse dai camion e
dalle prostitute», commenta Nick Grassley, che ha condotto lo
studio: «Non abbiamo le cifre esatte, ma sappiamo che il
declino economico dell'Europa orientale fa sì che molti
lavoratori del sesso prendano la via dell'occidente». Lo
studio dell'Imperial College mette il dito sulla piaga: sono
le prostitute straniere, oggi, i nuovi untori inconsapevoli.
Diffondono all'interno dei nostri confini le piaghe dei paesi
d'origine, spinte dalla povertà, spesso vittime del racket,
totalmente subalterne, si portano dentro la peste che noi
pensavamo di avere sconfitto per sempre con la forza della
nostra civiltà: l'intelligenza della prevenzione e la potenza
dei farmaci.
Così basta dare un'occhiata ai paesi dove maggiore è il
flusso di prostitute straniere per vedere la coincidenza con
quelli dove avanza l'infezione. In Finlandia e in Svezia dove
arrivano migliaia di ragazze dalle regioni dell'ex Unione
Sovietica, bacino in cui vivono un milione di sieropositivi;
l'Olanda che è un vero e proprio centro di smistamento dove
arrivano prostitute da 45 paesi diversi, e dove il 90 per
cento della forza lavoro nel mercato del sesso è mobile; in
Francia, punto di approdo di ragazze dall'Est europeo e dove,
nella sola Parigi, lavorano cittadine di 40 diversi paesi.
Anche in Italia, aggiunge Mauro Moroni basandosi sui dati
dello studio Icona, «un ruolo importante nella diffusione del
virus ce l'hanno le prostitute straniere, soprattutto quelle
che vengono dall'Africa. A differenza invece delle ragazze che
arrivano dai paesi dell'Est che abitualmente giungono nel
nostro paese molto giovani, non ancora infette, e solo qui
vengono avviate alla prostituzione. E poi si ammalano. Anche
perché la maggior parte dei clienti non vuole ricorrere al
preservativo, e queste donne non hanno alcun potere
contrattuale per imporlo».
A conclusioni simili è giunto anche Camillo Smacchia
dell'Unità sanitaria locale di Verona Villafranca, che da sei
anni cura le ragazze al lavoro sulla Statale 11: offre loro
assistenza gratuita e fornisce informazioni sulle malattie
sessualmente trasmissibili come sulla contraccezione. Smacchia
riporta che tra le "sue" ragazze il virus dell'Hiv
è diffuso (con una prevalenza del 7-8 per cento) tra quelle
di colore mentre, fino ad oggi, tra quelle dell'Est europeo
non è stato riscontrato alcun caso di sieropositività.
Gli esperti, tuttavia, mettono in guardia dalle
generalizzazioni: se è vero che Hiv non conosce confini, è
anche vero che ogni paese povero ha una sua fisionomia
sanitaria. Così, oggi è molto evidente in Europa l'impatto
delle prostitute africane (dove Hiv da ormai oltre dieci anni
colpisce milioni di persone e ha fatto in tempo a diffondersi
a macchia d'olio) e dei transessuali sudamericani (solo a
Roma, raccontano al Centro Operativo Aids, la metà di questi
lavoratori della strada porta addosso Hiv), mentre non si
sentono, almeno in Italia, gli effetti dell'epidemia
dell'Europa orientale. Non si avvertono ancora, sarebbe meglio
dire, perché nell'ex blocco sovietico l'Aids è giovane: è
esploso negli ultimi tre anni e, affermano gli epidemiologi,
si espanderà a macchia d'olio nel corso del prossimo
decennio, causando un'ecatombe non diversa da quella africana.
Anche chi volesse continuare a bollare gli epidemiologi come
Cassandre e a sperare che in un qualche modo l'onda si
arresti, non può chiudere gli occhi di fronte ai dati:
l'aumento delle infezioni in Europa, a occidente come a
oriente, l'abbassamento della guardia e l'abbandono delle
pratiche di prevenzione da parte di giovani e meno giovani.
Anche gli italiani si sono talmente dimenticati del rischio
Hiv, racconta Giovanni Rezza del Coa, «che il 62 per cento
dei malati che arrivano nei nostri ospedali non sa di avere
contratto il virus. Lamentano già i sintomi dell'Aids senza
avere idea di essere stati contagiati».
Arrivare in ospedale con il virus dell'Aids conclamato
significa mettere una seria ipoteca sulla possibilità di
sopravvivere. Per questo sono scesi in campo anche i Medici di
famiglia (in 30 città italiane la Federazione si terrà corsi
di formazione che coinvolgeranno oltre mille medici di base).
«Sono gli unici che, per la familiarità e la conoscenza dei
propri assistiti, sono in grado di percepire le situazioni di
rischio e convincerli a fare il test», spiega Giampiero
Carosi, membro della Commissione nazionale Aids. L'obiettivo
è quello di far emergere il sommerso che è praticamente la
metà dei circa 110 mila sieropositivi italiani, che ancora
ignora di essere infetta. E di dirigerli ai centri per le
cure.
Perché di Aids, oggi, alle nostre latitudini, si sopravvive:
ci sono i farmaci, i test, le strutture. Diverso è nei paesi
poveri. Ma la nuova ondata di epidemia in Europa ci ricorda
che i poveri non possono essere lasciati soli, e riporta in
primo piano il grido di allarme delle Cassandre: attenti, Hiv
non conosce confini.
ha collaborato Riccardo Tomassetti
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