Il Governo rilancia in due mosse sulle gestioni associate negli
enti locali. La prima mossa, più strutturale, è contenuta nella
bozza di delega sul Codice delle Autonomie, dove si prevede che
per molte funzioni (da definire) la gestione associata sia
obbligatoria per i Comuni sotto i 3mila abitanti e per quelli
fra 3mila e 10mila che non riescano ad assicurare precisi
livelli di qualità, indicati da un'Authority del Viminale. La
norma interessa una platea potenziale di 6.944 Comuni, cioè
l'86% del totale. Più immediate le disposizioni del Ddl
Finanziaria 2007, che promette trasferimenti aggiuntivi e
incentivi ai dirigenti dei Comuni che uniscono le forze per
tagliare i costi.
La strategia del Governo si inserisce però in una realtà già
dinamica. Da sei anni, cioè dall'entrata in vigore del Dlgs
267/2000, la spinta dal basso ha portato alla creazione di 277
Unioni, che interessano 1.217 Comuni, e 355 Comunità montane,
cui si aggiunge una foresta intricata di ambiti, consorzi e
associazioni tra enti che attende solo di essere razionalizzata.
E per farlo la Finanziaria punta sulla concorrenza, in primo
luogo fra Unioni e Comunità. Gli enti che danno vita a Unioni
non potranno appartenere anche a Comunità, e i Comuni che oggi
indossano la doppia casacca avranno sei mesi di tempo per
scegliere da che parte stare.
La concorrenza, però, rischia però di creare qualche
distorsione, perché si applica fra enti diversi. Le Comunità
sono nate nel 1971 per valorizzare la montagna soprattutto dal
punto di vista infrastrutturale (con interventi come i programmi
di sviluppo, i piani territoriali e il sostegno al turismo), e
nella loro evoluzione hanno avviato anche servizi unificati,
mentre l'associazione delle forze per garantire i servizi ai
Comuni che da soli non ce la fanno è la missione istituzionale
originaria delle Unioni. Se gruppi di Comuni scegliessero di
abbandonare le Comunità per le Unioni, si avrebbero zone montane
prive dell'ente nato per tutelarle.
Le Unioni, infatti, funzionano a prescindere dalla tipologia di
territorio, e nascono per aiutare i Comuni più piccoli. Il primo
servizio che di solito trova una gestione associata è la polizia
municipale, secondo modalità che consentono di alternare i vari
corpi comunali sul territorio dell'Unione. «Ma l'evoluzione
delle Unioni - sottolinea Mario Guerra, coordinatore Anci del
settore - si misura soprattutto con l'associazione dell'ufficio
tecnico, dell'ufficio tributi e del settore urbanistica, cioè
delle parti più interne alla macchina comunale».
Circa il 10% delle Unioni è riuscito ad associare l'intero
personale, mettendo a segno anche importanti risparmi in fatto
di risorse umane (ad esempio azzerando il turn over), mentre
nella maggioranza assoluta delle esperienze il personale passato
dal singolo Comune all'Unione oscilla tra il 50 e l'80 per
cento. Le difficoltà principali riguardano i servizi anagrafici,
più complessi dal punto di vista normativo e a stretto contatto
con il cittadino.
Non sono solo i temi ordinamentali, però, a dominare le attese
degli amministratori. La riforma degli incentivi è in agenda da
tempo, ma ancora più urgente, sottolineano i presidenti, è
correggere le storture legate alla disciplina sul personale.
Alle Unioni si applicano le stesse misure previste per i piccoli
Comuni, ma a differenza di questi ultimi l'Unione può (deve)
crescere e finisce inevitabilmente per sforare i parametri (si
veda l'intervento a fianco). Un paradosso non da poco, se si
ritiene davvero che lo sviluppo delle Unioni sia strategico.