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L'embrione,
il dogma e il referendum
di Giuliano Amato da "il Corriere della Sera" ,
11 Aprile 2005
Quanto più si addensa in opinioni sempre più di frequente contrapposte e
ribattute nel ping pong dei confronti giornalistici e televisivi, tanto meno il
dibattito sulla fecondazione assistita è in grado di aiutare chi vuole capirne
di più. Devo dire, con rammarico, che sono soprattutto i difensori della legge
n. 40 a chiudersi a riccio, da un lato in petizioni di principio tenacemente
sottratte a ogni riscontro scientifico e fattuale, dall'altro nella
prospettazione di scenari apocalittici per il caso che quella legge venisse
soltanto scalfita e comunque modificata. Così facendo, non aiutano a capire i
termini della questione e concorrono essi stessi a rendere possibile ciò che
paventano, e che anch'io pavento. Possono cioè indurre una reazione di
irrigidimento nel fronte referendario che, in caso di vittoria, finirebbe magari
per dire: e ora fermi tutti, in nome del popolo sovrano, che ha deciso per
l'abrogazione, e non per la modifica, delle norme oggetto dei quesiti. Questo,
certo, potrebbe aprire la strada a conseguenze non auspicabili.
Ma conseguenze non auspicabili ha anche la legge com'è, e le ha proprio dal
punto di vista della tutela dell'embrione e della sua dignità umana, che tanto
sta a cuore ai difensori della legge e che io stesso condivido. Per questo essi
sbagliano due volte: sbagliano nel sovrapporre quello che è ormai un dogma a ciò
che ci dice la scienza sul nostro iniziale processo di vita e sulla formazione
nel corso di esso dell'embrione; e sbagliano nel difendere norme, che, volute
per azzerare l'esistenza di embrioni soprannumerari, si limitano a ridurne la
produzione, in modi che vanno a scapito della salute della donna, senza peraltro
impedire che altri se ne formino e rimangano; con l'effetto di voltare la testa
dall'altra parte davanti a quelli che appunto rimangono, e accada loro quello
che accade. Il libro che sta per uscire di Giorgio Tonini offre gli argomenti
semplici e pacati, che sono essenziali per aiutare gli altri a capire, giacché
di questo soprattutto c'è bisogno. E se si capiscono i termini della questione,
si capisce anche quanto questa sarebbe meglio affrontabile non sparandosi da
fronti contrapposti, bensì chiedendo a ciascun fronte di prendere atto delle
buone ragioni dell'altro (perché ci sono buone ragioni da entrambe le parti) e
di lavorare su equilibrate soluzioni comuni (perché si può arrivare a
equilibrate soluzioni comuni, che, di fronte alle storture della legge n. 40,
sono per chi si preoccupa dell'embrione, non compromessi deteriori, ma
miglioramenti importanti). Un primo punto sul quale il libro fa luce riguarda le
fasi che portano alla formazione dell'embrione.
C'è una documentazione americana che più volte è stata citata dai difensori
della legge n. 40 come attestazione scientificamente ormai indiscussa
dell'esistenza dell'embrione fin dalla iniziale fecondazione dell'ovocita. Il
libro di Tonini non si limita a citarla, ma ce la fa leggere per esteso e ci fa
scoprire che in essa non si dice affatto che l'embrione esiste fin da quel
momento. Si dice piuttosto che la fecondazione dell'ovocita è un processo in più
stadi e che solo a uno di tali stadi, ammesso che ci si arrivi, compare
l'embrione. E' una diversità nell'uso delle fonti che non commento, la lascio
alle valutazioni di chi legge. Sottolineo soltanto che a questo riguardo non
occorre neppure imbarcarsi nella discussione che di solito si fa quando si
discute di interruzione della gravidanza e quindi del valore da dare alle fasi
che seguono la formazione dell'embrione: quella cioè di annidamento nell'utero
materno e quella, più avanzata, di cerebralizzazione, con la quale inizia la
relazione con la madre. Ci si chiede a tale riguardo se l'individualità
dell'embrione possa considerarsi tale prima dell'annidamento (che è essenziale
alla sua vita) o addirittura prima dell' inizio della vita di relazione (che
pure è per i cattolici un connotato essenziale del nostro essere persona). No,
il punto qui non è il destino dell'embrione, è invece l'esserci o non esserci di
quell'entità cellulare individuale, munita dei cromosomi sia maschili che
femminili, in assenza della quale è assolutamente impossibile parlare della sua
stessa esistenza. Ebbene quell'entità non c'è all'atto della fecondazione dell'ovocita,
né c'è nelle ore successive, quelle che portano alla formazione dell'ootide, in
cui ancora i cromosomi paterni e materni non si sono congiunti. Ciò che io trovo
inaccettabile è che questo venga negato davanti all'evidenza scientifica che è
invece così.
Davvero sembra che si torni a prima di Galileo e a prescindere da ogni altra
valutazione io me ne sento offeso e umiliato. Così come trovo volgare e non meno
offensivo che si tratti da ciarlatano chi parla degli ootidi e ne sottolinea le
differenze dall' embrione. Non è questa, tuttavia, l'unica posizione. E c'è chi,
senza negare ciò che la scienza dice, si rifiuta di distinguere fra tutela del
processo di vita comunque iniziato con la fecondazione e tutela del'individuo-
embrione che ne scaturirà più tardi, in nome di un rigoroso tuziorismo etico. Ma
il tuziorismo, e cioè il principio di precauzione, non è un principio assoluto e
la sua applicazione è giusta quando previene danni peggiori di quelli che fa. E'
questo il caso? Io penso che agire sul processo di vita pre-embrione con
l'effetto di limitare la produzione artificiale di embrioni abbia senso; e che
una fecondazione assistita che inizia con l'espianto in una volta sola di tanti
ovociti quanti potranno servire a più impianti,ma prosegua con lo sviluppo dei
soli embrioni destinati all'impianto immediato e con la crioconservazione allo
stadio di ootidi degli ovociti fecondati residui, offra benefici che superano
l'indubbio ma minore costo morale dell'eventuale perdita più tardi di quegli
ootidi conservati. E di questo si dovrebbe pacatamente discutere a fronte degli
effetti che possono uscire dalla legge n. 40. Mi limito qui a un unico punto di
confronto: in base alla legge, si espiantano dalla donna tre ovociti alla volta
(sottoponendola a traumi pericolosi, ove l'espianto dovesse essere poi ripetuto
più volte) e li si fa subito sviluppare allo stato di embrioni. Nel caso che il
medico ritenga che due siano più che sufficienti, che ne è del terzo embrione?
Finisce in un lavandino o viene anch'esso impiantato per essere ucciso poco dopo
attraverso un'iniezione letale? Equi passo a un secondo punto cruciale. Pur
sapendo che altri embrioni oltre a quelli felicemente impiantati esistono e
continueranno a esistere, è moralmente ammissibile che nulla si dica di loro e
che si volti quindi la faccia dall'altra parte, quasi che il principio che nega
la legittimità della loro produzione artificiale possa anche negare la loro
esistenza? Anche questo è un ritorno a prima di Galileo. Ed è in nome di questo
che si rifiuta la soluzione proposta dal
disegno di legge che io ho firmato con Tonini e altri, secondo cui, con il
consenso dei genitori, l'embrione che sta per perire e che non sarà utilizzato a
fini riproduttivi, può almeno essere utilizzato per migliorare, con la donazione
delle sue cellule, la vita di altri. E non mi si risponda, davanti a questa
soluzione, che l'embrione non è un mucchio di cellule o una muffa.
Lo so, lo sappiamo e per questo lo trattiamo come il figlio pre-morto. Come
muffa lo tratta chi lo lascia morire per nulla. Si rivela qui, nel modo più
palese, il limite degli argomenti con cui viene difesa la legge n. 40. Esso
risiede nella loro derivazione da un principio di fondamentale e intransigente
contrarietà alla fecondazione assistita e alle connesse tecnologie, quasi che,
regolando il tutto così come si fa con quella legge, si potesse arrivare a un
mondo ideale, o fingere di essere in un mondo ideale, nel quale non ci sono e
non ci saranno più embrioni residui. Il risultato è che la finzione non cambia
la realtà e la realtà rimane, per gli embrioni residui, quella che è: si
continua a produrne, anche se meno, e li si elimina di nascosto o li si lascia a
morire nei frigoriferi. Sarebbe meglio allora porre in discussione questo stesso
principio di contrarietà alla fecondazione assistita, mettere a nudo la ragione
a cui risale (perché, ancora, l'intransigenza con cui viene affermato non
esclude affatto che una ragione vi sia) e costruire su tale ragione i confini
entro cui ammetterla e regolarla. La ragione sta, com'è noto, nel legame, che si
vuole inscindibile, fra la procreazione e l'amore coniugale. Ebbene, il libro di
Tonini sottolinea l'artificiosità di quel legame, quando si pretende di
coglierlo solo e soltanto nell'atto sessuale (nel quale spesso è invece
clamorosamente negato), e il senso che esso dimostra invece di avere se lo si
cerca non in quell'atto, ma nella relazione coniugale o di coppia.
E' qui che va cercato l'amore, è qui che lo si trova ed è qui che si esprime nel
desiderio di un figlio. Se di questo si prende atto, non ne scaturiscono
contestualmente, da un lato le ragioni che legittimano la fecondazione
assistita, dall'altro i limiti in cui queste stesse ragioni possono indurre ad
ammetterla (e cioè per le sole coppie e solo in caso di comprovata sterilità)?
Lo so, lo so che metterla in questo modo può significare, per la dottrina
cattolica, rinunciare al freno più consolidato nei confronti della lussuria, un
peccato capitale identificato con l'abbandono ai godimenti carnali insiti nei
rapporti sessuali non finalizzati alla procreazione. Il fatto si è che il freno
ha totalmente cessato di operare, che il confine della lussuria è sicuramente
altrove e che, mantenere il freno dov'è, frena l'amore e non la lussuria. Sono
fra gli ultimi a ritenere che la realtà vada accettata com'è.Mada essa dobbiamo
partire se la vogliamo davvero cambiare e orientare verso i valori in cui
crediamo. Solo così riusciremo nell'esercizio a cui quanto meno la politica è
chiamata quando la sua opera incontra coscienze, e quindi valori, che non
collimano: evitare che quei valori diventino dogmi, renderne possibile
l'incontro e far scaturire da ciò il rinsaldamento di un tessuto etico comune di
cui abbiamo un assoluto bisogno.