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Fini:
diseducativo spingere all’astensione
«Sono cattolico però difendo i miei tre "sì". Stiamo parlando della legge
di uno Stato laico» «Partiti spregiudicati, hanno strumentalizzato il
voto. Invece di discutere si è usata la clava»
ROMA - Da un’ora difende la sua scelta sui referendum, quella dei «tre sì e un
no» che ha spiazzato il suo partito, riempito di meraviglia le gerarchie
ecclesiali, sovvertito schemi ed equilibri politici. Da un’ora Gianfranco Fini
spiega che «non c’è contraddizione tra il sostegno espresso in Parlamento alla
legge 40 e la volontà di modificarla», che «una legge andava approvata per porre
fine al far west», che «è falsa la tesi secondo cui se vincessero i sì
torneremmo all’assenza di regole o peggio apriremmo la via all’eugenetica. In
realtà le regole permangono, evitano pratiche come l’utero in affitto, o che ci
siano altre nonne-mamme». Ma a un certo punto il leader di An devia su un tema
soltanto all’apparenza laterale, perché si è sentito «al pari di tanti altri,
vittima di attacchi. E denigrare posizioni diverse dalla propria con
argomentazioni che prescindono dal merito, offende. Invece di discutere si è
usata la clava. Proprio su un tema in cui i politici avrebbero dovuto fare un
passo indietro, è accaduto il contrario. La furia degli opposti estremismi non
ha risparmiato nemmeno il Pontefice, strumentalizzato dai pasdaran di entrambi
gli schieramenti. I favorevoli al referendum lo hanno accusato insieme al
cardinal Camillo Ruini di essere un capo-partito. I contrari sono arrivati -
senza vergogna - a pubblicare dei volantini con su scritto "Benedetto chi si
astiene"». Fini ricorda i giorni aspri dello scontro seguito alla sua presa di
posizione, poi però torna ad affrontare il nodo della scelta referendaria,
«anche perché non voglio alimentare una campagna di demonizzazione su un tema
che divide il mondo della scienza, della cultura, che anima un dibattito persino
nel mondo cattolico, che attraversa la coscienza del Paese. Io vorrei ragionare,
altrimenti vien meno la credibilità della classe dirigente: si rischia di
allargare il fossato tra la politica e i cittadini, che parlano in modo molto
appropriato del problema. Quando Rocco Buttiglione e Marco Follini dicono di non
voler cambiare la legge sull’aborto io ci credo, rispetto la loro posizione.
Mentre se io annuncio di votare sì al quesito sulla ricerca, vengo tacciato di
essere un seguace di Mengele. Mi chiedo perché. E allo stesso modo me lo chiedo,
per esempio, quando i radicali annunciano di voler denunciare i preti che
invitano all’astensione».
Non pensa fosse inevitabile, visto che questo clima si era già respirato in
Parlamento durante l’esame della legge sulla procreazione assistita?
«È vero, ma in quest’ultimo periodo è stato come se l’Italia fosse tornata al
1948 o al 1974. Bisognava avvicinarsi in punta di piedi a così rilevanti
questioni, sapendo di non avere né autorità morale nè scientifica, invece è
parsa una delle tante campagne elettorali, col trionfo dell’invettiva,
dell’insulto. Il Paese è molto più maturo e saggio, mentre la politica ha perso
una buona occasione per dare una lezione di stile, per entrare in sintonia con
quella parte della società che vuol capire».
Qual è stato il percorso che l’ha portata a cambiare opinione sulle legge 40?
«Ho affrontato una questione così complessa con tutta l’onestà intellettuale
possibile, chiedendomi se la risposta data con la legge era la più idonea, se
non fosse invece opportuno garantire una maggiore sintonia con le norme degli
altri Paesi europei, e una maggiore coerenza con altre leggi nazionali. Faccio
un primo esempio: in Italia è possibile l’espianto di organi da persone
clinicamente morte, per salvare o migliorare la vita di altre persone. La legge
40 invece vieta che la scienza usi cellule staminali degli embrioni prodotti in
sovrannumero - e dunque destinati alla distruzione - per tentare di salvare o
migliorare altre vite affette da gravi patologie. Un’altra contraddizione: la
Commissione nazionale di bioetica, all’unanimità, compresi quindi gli scienziati
cattolici, ha espresso parere favorevole all’uso scientifico delle cellule
staminali dei feti abortiti. Per cui sulle cellule dei feti abortiti si può dar
corso a sperimentazioni, mentre sulle cellule staminali degli embrioni no. Sono
domande a cui non riesco a trovare delle risposte logiche. Di qui la mia
scelta».
I parlamentari di An ricordano però che proprio lei li aveva esortati a votare
la legge.
«L’ho convintamente sostenuta, perché l’alternativa era l’assenza di ogni legge,
il far west. Tuttavia, nel corso del dibattito, dissi anche che il provvedimento
andava migliorato per evitare i referendum. Non trovai sostenitori. Ricordo che
Giuliano Amato mi appoggiò, ma in quel clima di opposte tifoserie non fu
possibile trovare un compromesso. Già allora ritenevo che certe parti della
legge andassero rimodulate».
Il Foglio ha riesumato le sue lettere pubblicate sul Corriere , in cui si
schierava a difesa della vita, sottolineando che lei era dunque parte di uno dei
due schieramenti.
«A parte il fatto che le lettere sono antecedenti al dibattito in Parlamento
sulla legge 40, è chiaro che non rinnego ciò che ho scritto. Ma il provvedimento
approvato, a mio avviso molto restrittivo, pone un problema di coerenza
legislativa con altre leggi dello Stato. A partire dalla legge che regola
l’aborto. Il comitato che si oppone al referendum ha coniato lo slogan "sulla
vita non si vota". Rispetto questa posizione, però mi chiedo: il principio della
sacralità della vita è tutelato integralmente nella nostra legislazione? Come
far finta di nulla dinnanzi alla legge 194 e alla possibilità di interrompere la
gravidanza in certi casi? Ecco la contraddizione insanabile: se l’embrione è
vita, non lo è ancor di più il feto?».
Teme che se non passasse il referendum sarebbe a rischio la 194?
«Nel fronte astensionista in tanti giurano che quella legge non si tocca. Credo
a quanto dicono Buttiglione e Follini, ma se per davvero pensano che la 194 non
va toccata, rispondano a questa semplice domanda: com’è possibile che due leggi
stiano in così stridente contraddizione tra loro? La 194 consente l’aborto
quando la salute fisica e psichica della donna è a grave e provato rischio. La
legge 40 vieta invece la diagnosi dell’embrione prima dell’impianto, e così
facendo espone la donna a rischio di un successivo aborto, se il feto è affetto
da grave malattia genetica. Le donne sono le più convinte su questo punto: non
si può chiedere loro di abortire perché una legge vieta attraverso una diagnosi
pre-impianto di verificare se il feto è affetto da una grave malattia di tipo
genetico. Se la campagna referendaria fosse stata più onesta intellettualmente,
il nodo del rapporto tra la legge 40 e la 194 avrebbe dovuto essere il tema
dominante. Perché c’è un’evidente contraddizione giuridica, c’è una legislazione
schizofrenica. Chi tiene gli occhi chiusi dinnanzi a questa palese
contraddizione è in una condizione di scarsa coerenza. Ma c’è una cosa che
produce in me fastidio».
Quale?
«L’opportunismo e la spregiudicatezza di quanti hanno preso posizione quasi
unicamente nella speranza di lucrarne un vantaggio politico. È indubbio, almeno
ai miei occhi, che il trionfo del tatticismo c’è stato soprattutto tra coloro
che invitano all’astensione, nella speranza di ricevere consensi dalle gerarchie
cattoliche, per presenti o future manovre politiche più o meno centriste. E dico
centriste, non democristiane, perché la Dc aveva ben altra prudenza e ben altra
lungimiranza».
Si riferisce per caso a Francesco Rutelli?
«Io rispetto la posizione del presidente della Margherita. Ma quando un
esponente politico che stimo, come il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi,
arriva a dire che la dichiarazione astensionista di Rutelli apre prospettive
politiche inaudite... Come si può non stigmatizzare le manovre partitiche?».
Veramente anche di lei si dice che abbia voluto posizionarsi sul fronte laico.
«Nessuno si permetta, non ho partecipato al risiko di Palazzo».
Si rendeva almeno conto che le sue scelte avrebbero avuto ripercussioni
politiche?
«Certo, se per politica si intende porsi il problema di un rapporto tra scienza
e morale. Ma qui ormai la politica non c’entra nulla. Sono in atto manovre
evidenti e strumentali di tipo partitico, atteggiamenti tattici. È una guerra di
posizionamento».
A proposito di rapporti con la Chiesa, le sue relazioni con le gerarchie
ecclesiali hanno subito dei contraccolpi?
«Io ho sempre avuto grande rispetto verso la Chiesa, nè intendo polemizzare con
chi - nel nome dei valori in cui crede - cerca di indirizzare le coscienze dei
cattolici. Ma nello stesso momento in cui esistono contraddizioni così palesi, o
si segue l’insegnamento della Chiesa di vietare l’aborto e la pillola del giorno
dopo, oppure si deve intervenire. E noi stiamo parlando della legge di uno Stato
laico».
Benedetto XVI si è ripetutamente schierato a difesa della vita che nasce, contro
chi vuol sopprimerla o manometterla. È stata l’ennesima, chiara allusione contro
i referendum.
«Il Papa, con linearità e coerenza, svolge il suo ruolo. Ha il diritto-dovere di
essere la guida morale dei cattolici, e io che sono cattolico sento il valore
del suo insegnamento. Ma ci sarà un motivo se 88, tra scienziati e premi Nobel,
dicono che la legge 40 rischia di impedire alla scienza - cui vanno posti dei
paletti - di aiutare la qualità della vita? Se tutte le associazioni dei malati
invitano il legislatore a entrare in sintonia con la normativa europea? E sia
chiaro che difendo il ruolo della Chiesa da quanti, nostalgici di Porta Pia, la
accusano di ingerenza nelle questioni della politica. La Chiesa adempie al suo
magistero, il cittadino decide in base alla propria coscienza».
Considera una truffa l’astensione, e truffaldino chi la sponsorizza?
«Non ho dubbi sulla legittimità dell’astensione, opzione cui tanti hanno fatto
ricorso in passato per altri referendum. Tuttavia sull’eterologa voterò no
perché voglio che la mia motivata decisione non si confonda con l’ignavia di chi
non ha opinione, o di chi non vota perché rinuncia a esercitare la cittadinanza
attiva. Politicamente l’astensione è segno di debolezza, è finalizzata solo al
mancato raggiungimento del quorum. Sarà pur legittima ma a mio avviso è
diseducativa, favorisce la deresponsabilizzazione del cittadino, allarga il
fossato tra il Palazzo e il Paese. Un conto è la Chiesa, che ha come obiettivo
evitare la modifica della legge. Un altro sono i politici: e io mi chiedo come
esponenti politici che dovrebbero avere a cuore la partecipazione motivata degli
elettori, invitino all’astensione. Naturalmente ne comprendo le ragioni, visto
che in qualche modo danno ascolto alla preghiera della Cei».
Se vincerà il fronte astensionista, lei verrà annoverato tra i perdenti. Se
vincerà il fronte referendario, verrà accusato di aver contribuito alla sua
vittoria. Ha calcolato questi rischi?
«A parte il fatto che non sono pessimista sul raggiungimento del quorum, stiamo
parlando di referendum non di elezioni».
Sarà, ma con un documento la maggioranza dei parlamentari di An si è schierata a
favore dell’astensione: lo considera un atto di sfiducia verso di lei?
«An si è mostrato un partito liberale in questa circostanza, lasciando libertà
di coscienza. Sarebbe stato un errore legare la mia posizione personale al mio
ruolo. Perciò non considero quel documento un atto di sfiducia. Naturalmente se
chi lo ha preparato volesse considerarlo tale, dovrà motivarlo».
Pensa che la sua leadership sia minacciata? Che qualcuno miri al ricambio
generazionale dentro An?
«Per la posizione che ho preso sui referendum, non credo. Poi, se ci sono altre
motivazioni, sono pronto a confrontarmi».
Francesco Verderami