www.segnalo.it - Politica dei servizi sociali - Saggi e Articoli

HOME PAGE

FORMAZIONE    

BIBLIOTECA / CINETECA   

POLITICHE / LEGGI    

TRACCE / SENTIERI

 

la repubblica

MARTEDÌ, 29 NOVEMBRE 2005
 
Pagina 45 - Varie
 
Il dramma dei laici e dei cattolici
 
la polemica sulla legge e la pillola
 
 
 
Una conquista non priva di ombre, sulla quale i contrasti si sono riaccesi
Una scelta che la chiesa condanna e sulla quale la politica si è divisa trasversalmente
 
FILIPPO CECCARELLI

Aborto: classica piaga politica, scontro infinito, ricordi che si confondono, ormai, o sono anch´essi invecchiati come i protagonisti di quella storia.
Nel 1975 Carlo Casini, attuale presidente del Movimento per la Vita, era un giovane pubblico ministero di Firenze. Indagando su una cosiddetta "clinica degli aborti" mise le manette e fece trasferire alle Murate il segretario radicale Gianfranco Spadaccia. Scrisse allora Marco Pannella: «Dalle alture della sua città, dove riposa Ernesto Rossi accanto ai fratelli Rosselli, una voce calerà certamente stanotte per dare alla vostra preda il grazie che si deve dai padri al figlio che sa lottare, come loro ci chiesero. In Arno, in quelle ore, caleranno silenziosi, nel liquame, ammassi di feti squarciati - ci dava dentro Pannella - con il sangue copioso uscito dai ventri raschiati delle donne in lacrime che non hanno potuto voler essere madri».
Ecco, si capisce, il tema è massimamente emotivo. Ma quella prosa pannelliana, insieme solenne, macabra e fiammeggiante, oggi sembra quasi di riconoscerla, di ritrovarla, sia pure rovesciata, a trent´anni di distanza, nei siti dei cattolici pro-life che condannano l´aborto, "la strage degli innocenti", "l´uccisione degli esseri umani concepiti nel seno materno"; e di questo esito terribile, autenticamente apocalittico, accusano un po´ tutti, le madri, i padri, i fratelli e le sorelle, il tradimento dei politici, i media, la società.
Nel frattempo, più che all´aborto, l´Italia sembra essersi rassegnata non solo all´eterna contrapposizione, ma pure ai detriti, più o meno lievi, che questa lascia sul campo: dai rosari di don Benzi alla "Carta dei diritti del concepito"; dalle confessioni intime delle più illustri mogli ai monumenti ai feti che una certa "Armata bianca" va seminando nei cimiteri. Ombretta Fumagalli Carulli ha anche proposto uno speciale tamagochi che dovrebbe insegnare alle bimbe come ci si comporta, così come resta indimenticabile il battibecco Boniver-Pedrizzi a proposito di un kit abortivo che le Nazioni unite dovevano o meno distribuire nei campi profughi del Pakistan.
E tuttavia, per recuperare un minimo di sicurezza, fra il Pannella del 1975 e gli odierni teo-con varrà la pena di collocare e considerare la legge 194. La leggenda di Montecitorio tramanda che il titolo, "Norme per la tutela sociale della maternità e sull´interruzione volontaria della gravidanza", fu un´invenzione dei cattolici eletti alla metà degli anni Settanta nelle liste del Pci. Certo non ebbe, quella fatidica normativa, un iter semplice; né francamente glielo facilitarono le iniziative del pm Casini, che dopo aver fatto arrestare Adele Faccio al cinema Adriano, spiccò un mandato di cattura anche per quella giovanissima ragazza con i capelli ricci che si vede in una impressionante foto - comparve su Abc (direzione Sabelli Fioretti) e la ritirarono fuori nel 1999 i cattolici integralisti del Centro Lepanto, ai tempi della campagna "Emma for president" - mentre supervisiona un intervento con il metodo Karman.
A quei tempi Emma Bonino lavorava al Cisa, sigla che oltre all´aborto contemplava la sterilizzazione. Quest´ultima, praticata anche da alcuni radicali maschi che si sottoposero a complesse operazioni chirurgiche, era una forma estrema di contraccezione. Sul terreno dei metodi anticoncezionali c´è da dire che la Chiesa cattolica non è che avesse proprio la coscienza a posto. Li vietava e basta. Si arrangiassero le coppie con l´Ogino-Knaus. Non solo, ma fino al 1972 era addirittura vietato per legge (il codice Rocco) far pubblicità alla pillola o ai preservativi. In tale contesto l´aborto era "il reato di massa" per antonomasia. Già allora gli anti-abortisti mostravano terribili immagini di fetini fatti a pezzi, prova della dissoluzione morale dei loro avversari. Eppure uno dei primi slogan del Movimento delle donne suonava ragionevole: «Anticoncezionali per non abortire - scandivano per le vie e le piazze di quell´Italia - Aborto libero per non morire».
Libero, forse. Ma liberissimo, veramente, non fu mai. Né mai la sua conquista fu accolta con gioiosa esultanza. Anzi, per uno strano destino, ogni volta che si trattò di decidere sull´aborto, c´era sempre qualcosa di più importante di cui occuparsi. La legge 194, per dire, fu definitivamente approvata in Senato appena una settimana dopo l´uccisione di Aldo Moro. Più e più volte, con crescente sgomento, l´allora presidente del Consiglio Andreotti ha raccontato che pur di non controfirmare quel testo avrebbe preferito dimettersi. Non lo fece - così come non lo fece l´intera classe di governo democristiana, a partire dal presidente della Repubblica Leone - per non aprire una crisi in quel momento delicatissimo. Ma quell´omissione gli «riapre nel cuore una vecchia ferita» ha scritto poi; fu «uno dei momenti più tormentati della mia vita»; «la mia giornata più nera» (2000); «che Dio mi perdoni» (2003).
Il dubbio è che da tempo la Dc avesse sacrificato l´aborto sull´altare della stabilità, che è un modo elegante per dire il suo potere. In maniera quasi simmetrica, d´altra parte, il Partito comunista, un tempo assai restio, si avvicinava alle istanze del femminismo; e un po´ anche alle necessità del consenso, oltre che del buon senso. Ne Il paese mancato (Donzelli, 2003) Guido Crainz riporta alcune discussioni negli organi dirigenti: «Non c´è giorno - se ne esce la responsabile femminile Adriana Seroni - in cui qualche compagna non ci sbatta in faccia il problema dell´aborto». E quando i comunisti, alla Camera, votano insieme con la Dc e il Msi contro l´autodeterminazione della donna, nel partito è una specie di rivolta. In direzione Paolo Bufalini lamenta che su Rinascita, su quattro lettere pubblicate, tre sono contro le posizioni del Pci: «Ma quella a favore - gli ribatte il direttore Reichlin - l´abbiamo racimolata a fatica».
Nel maggio del 1978 l´approvazione; il 17 maggio del 1981 il referendum, anzi i due referendum (promossi uno dal Movimento per la vita e l´altro dai radicali). I partiti s´impegnano poco, e i democristiani meno del solito. Ma pure in questa occasione, più in generale, l´Italia è distratta: il 6 maggio scoppia lo scandalo della P2, il 13, a quattro giorni dal voto, sparano a Papa Wojtyla in piazza San Pietro. Come già accaduto tre anni prima per la legge, salutata in Parlamento con un tiepido applauso, la pur sonante affermazione dei No (68 per cento) si consegna agli archivi senza particolari rabbie o trionfalismi. Niente mimose, né esibizione di gambine o braccine di feti. Più che un diritto o un obiettivo di progresso, l´aborto resta per migliaia di persone una dolorosa esperienza individuale.
Così nessuno canta vittoria. Tanto meno il mondo cattolico per il quale, a un lustro dal referendum sul divorzio, sembra chiudersi un ciclo. Titola il Sabato: "Ricominciamo da 32", che sarebbe la percentuale ottenuta contro l´aborto, ma anche la promessa di un nuovo e diverso impegno. Non potendo più contare sul Parlamento, né sulla Dc e nemmeno sulla democrazia diretta, è da questo preciso momento che la Chiesa inizia a lavorare e a presentarsi come presenza autonoma, forza sociale che agisce senza mediazioni.
A pensarci a freddo, i contraccolpi di quell´evento così lontano arrivano fino ai nostri giorni. E infatti nessuna legge stenta a trovare pace come quella sull´aborto. Modificarla, non toccarla, smontarla, integrarla: acrobazie virtuose, plausibili assurdità. Ogni volta sembra la volta buona. O quella cattiva, dipende. Tra le questioni antiche e quelle post-moderne il confine rischia di farsi ogni giorno più evanescente.
Aborto: classica piaga politica, scontro infinito, ricordi che si confondono, ormai, o sono anch´essi invecchiati come i protagonisti di quella storia.
Nel 1975 Carlo Casini, attuale presidente del Movimento per la Vita, era un giovane pubblico ministero di Firenze. Indagando su una cosiddetta «clinica degli aborti» mise le manette e fece trasferire alle Murate il segretario radicale Gianfranco Spadaccia. Scrisse allora Marco Pannella: «Dalle alture della sua città, dove riposa Ernesto Rossi accanto ai fratelli Rosselli, una voce calerà certamente stanotte per dare alla vostra preda il grazie che si deve dai padri al figlio che sa lottare, come loro ci chiesero. In Arno, in quelle ore, caleranno silenziosi, nel liquame, ammassi di feti squarciati - ci dava dentro Pannella - con il sangue copioso uscito dai ventri raschiati delle donne in lacrime che non hanno potuto voler essere madri».
Ecco, si capisce, il tema è massimamente emotivo. Ma quella prosa pannelliana, insieme solenne, macabra e fiammeggiante, oggi sembra quasi di riconoscerla, di ritrovarla, sia pure rovesciata, a trent´anni di distanza, nei siti dei cattolici pro-life che condannano l´aborto, «la strage degli innocenti», «l´uccisione degli esseri umani concepiti nel seno materno»; e di questo esito terribile, autenticamente apocalittico, accusano un po´ tutti, le madri, i padri, i fratelli e le sorelle, il tradimento dei politici, i media, la società.
Nel frattempo, più che all´aborto, l´Italia sembra essersi rassegnata non solo all´eterna contrapposizione, ma pure ai detriti, più o meno lievi, che questa lascia sul campo: dai rosari di don Benzi alla «Carta dei diritti del concepito»; dalle confessioni intime delle più illustri mogli ai monumenti ai feti che una certa «Armata bianca» va seminando nei cimiteri. Ombretta Fumagalli Carulli ha anche proposto uno speciale «tamagochi» che dovrebbe insegnare alle bimbe come ci si comporta, così come resta indimenticabile il battibecco Boniver-Pedrizzi a proposito di un kit abortivo che le Nazioni Unite dovevano o meno distribuire nei campi profughi del Pakistan.
E tuttavia, per recuperare un minimo di sicurezza, fra il Pannella del 1975 e gli odierni teo-con varrà la pena di collocare e considerare la legge 194. La leggenda di Montecitorio tramanda che il titolo, «Norme per la tutela sociale della maternità e sull´interruzione volontaria della gravidanza», fu un´invenzione dei cattolici eletti alla metà degli anni settanta nelle liste del Pci. Certo non ebbe, quella fatidica normativa, un iter semplice; né francamente glielo facilitarono le iniziative del pm Casini, che dopo aver fatto arrestare Adele Faccio al cinema Adriano, spiccò un mandato di cattura anche per quella giovanissima ragazza con i capelli ricci che si vede in una impressionante foto - comparve su Abc (direzione Sabelli Fioretti) e la ritirarono fuori nel 1999 i cattolici integralisti del Centro «Lepanto», ai tempi della campagna "Emma for president" - mentre supervisiona un intervento con il metodo Karman.
A quei tempi Emma Bonino lavorava al Cisa, sigla che oltre all´aborto contemplava la sterilizzazione. Quest´ultima, praticata anche da alcuni radicali maschi che si sottoposero a complesse operazioni chirurgiche, era una forma estrema di contraccezione. Sul terreno dei metodi anticoncezionali c´è da dire che la Chiesa cattolica non è che avesse proprio la coscienza a posto. Li vietava e basta. Si arrangiassero le coppie con l´Ogino-Knaus. Non solo, ma fino al 1972 era addirittura vietato per legge (il codice Rocco) far pubblicità alla pillola o ai preservativi. In tale contesto l´aborto era «il reato di massa» per antonomasia. Già allora gli anti-abortisti mostravano terribili immagini di fetini fatti a pezzi, prova della dissoluzione morale dei loro avversari. Eppure uno dei primi slogan del Movimento delle donne suonava ragionevole: «Anticoncezionali per non abortire - scandivano per le vie e le piazze di quell´Italia - Aborto libero per non morire».
Libero, forse. Ma liberissimo, veramente, non fu mai. Né mai la sua conquista fu accolta con gioiosa esultanza. Anzi, per uno strano destino, ogni volta che si trattò di decidere sull´aborto, c´era sempre qualcosa di più importante di cui occuparsi.
La legge 194, per dire, fu definitivamente approvata in Senato appena una settimana dopo l´uccisione di Aldo Moro. Più e più volte, con crescente sgomento, l´allora presidente del Consiglio Andreotti ha raccontato che pur di non controfirmare quel testo avrebbe preferito dimettersi. Non lo fece - così come non lo fece l´intera classe di governo democristiana, a partire dal presidente della Repubblica Leone - per non aprire una crisi in quel momento delicatissimo. Ma quell´omissione gli «riapre nel cuore una vecchia ferita» ha scritto poi; fu «uno dei momenti più tormentati della mia vita»; «la mia giornata più nera» (2000); «che Dio mi perdoni» (2003).
Il dubbio è che da tempo la Dc avesse sacrificato l´aborto sull´altare della stabilità, che è un modo elegante per dire il suo potere. In maniera quasi simmetrica, d´altra parte, il Partito comunista, un tempo assai restio, si avvicinava alle istanze del femminismo; e un po´ anche alle necessità del consenso, oltre che del buon senso. Ne Il paese mancato (Donzelli, 2003) Guido Crainz riporta alcune discussioni negli organi dirigenti: «Non c´è giorno - se ne esce la responsabile femminile Adriana Seroni - in cui qualche compagna non ci sbatta in faccia il problema dell´aborto». E quando i comunisti, alla Camera, votano insieme con la Dc e il Msi contro l´autodeterminazione della donna, nel partito è una specie di rivolta. In direzione Paolo Bufalini lamenta che su Rinascita, su quattro lettere pubblicate, tre sono contro le posizioni del Pci: «Ma quella a favore - gli ribatte il direttore Reichlin - l´abbiamo racimolata a fatica».
Nel maggio del 1978 l´approvazione; il 17 maggio del 1981 il referendum, anzi i due referendum (promossi uno dal Movimento per la vita e l´altro dai radicali). I partiti s´impegnano poco, e i democristiani meno del solito. Ma pure in questa occasione, più in generale, l´Italia è distratta: il 6 maggio scoppia lo scandalo della P2, il 13, a quattro giorni dal voto, sparano a Papa Wojtyla in piazza San Pietro. Come già accaduto tre anni prima per la legge, salutata in Parlamento con un tiepido applauso, la pur sonante affermazione dei No (68 per cento) si consegna agli archivi senza particolari rabbie o trionfalismi. Niente mimose, né esibizione di gambine o braccine di feti. Più che un diritto o un obiettivo di progresso, l´aborto resta per migliaia di persone una dolorosa esperienza individuale.
Così nessuno canta vittoria. Tanto meno il mondo cattolico per il quale, a un lustro dal referendum sul divorzio, sembra chiudersi un ciclo. Titola il Sabato: "Ricominciamo da 32", che sarebbe la percentuale ottenuta contro l´aborto, ma anche la promessa di un nuovo e diverso impegno. Non potendo più contare sul Parlamento, né sulla Dc e nemmeno sulla democrazia diretta, è da questo preciso momento che la Chiesa inizia a lavorare e a presentarsi come presenza autonoma, forza sociale che agisce senza mediazioni.
A pensarci a freddo, i contraccolpi di quell´evento così lontano arrivano fino ai nostri giorni. E infatti nessuna legge stenta a trovare pace come quella sull´aborto. Modificarla, non toccarla, smontarla, integrarla: acrobazie virtuose, plausibili assurdità. Ogni volta sembra la volta buona. O quella cattiva, dipende. Tra le questioni antiche e quelle post-moderne il confine rischia di farsi ogni giorno più evanescente.