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Quattro sì per la vita, di
Livia Turco, L'Unità 16 maggio 2005
Il recente pronunciamento di esponenti di spicco del
centrodestra, a partire dai ministri Fini e Martino, a favore della
partecipazione al voto del referendum del 12 e 13 giugno prossimi ed a favore
del Sì sono un fatto molto importante per la vita democratica del nostro Paese.
È bene che prevalgano l'argomentazione e la persuasione reciproca al di là e
oltre gli schieramenti politici.
È bene che prevalgano, quando sono in gioco i valori fondamentali della dignità
umana, della salute, della libertà e della responsabilità nella procreazione,
come nella legge sulla fecondazione assistita. Perché sono questioni che in modo
inevitabile comportano il prevalere della responsabilità individuale e dello
scrupolo della propria coscienza. Quelle relative alla fecondazione assistita
sono però anche questioni propriamente politiche, che in quanto tali richiedono
una forte responsabilità. Dunque è importante che i leader politici si esprimano
in modo chiaro. L'avvio del dibattito dimostra che, quando esso offre
informazioni corrette, esprime tesi chiare ed argomentate, può essere fattore
decisivo per promuovere una crescita culturale ed anche una coesione etica del
nostro Paese proprio a partire dal pluralismo delle scelte e dei diversi punti
di vista. Al contrario, la scelta dell'astensione si manifesta sempre più come
rinuncia al confronto e al dibattito, come scelta di arroccamento, come
trincerarsi dentro un campo per evitare di misurarsi con la fatica della
pluralità di opinioni. Anziché ferma battaglia di principi e ideali,
l'astensione rischia di essere una scelta difensiva e di ripiego in cui di fatto
vale il motto “meno se ne parla meglio è così la gente non va a votare”. Questo
però è anche un trucco ai danni dei cittadini ed un modo di immiserire la
democrazia.
Faccio queste considerazioni pur essendo tra quelle persone che hanno sperato
fino all'ultimo che il Parlamento riuscisse a trovare una mediazione per
scongiurare il referendum, che resta sicuramente uno strumento inadeguato per
affrontare questioni così complesse. Il raggiungimento del quorum e la vittoria
dei Sì, in questo contesto, si configura anzitutto come un successo della
responsabilità, della democrazia argomentativa, della partecipazione attiva dei
cittadini al dibattito e crea il clima per riaprire nel merito una discussione
serena e restituire centralità al dialogo ed al Parlamento. Cosa che invece non
si verificherebbe se prevalesse il messaggio astensionista.
Hanno fatto bene i Democratici di Sinistra, con il traino e la conduzione
intelligente delle donne, ad indicare quale filo conduttore della nostra
campagna una concreta amorevolezza nei confronti della vita delle persone. Una
amorevolezza che si propone di sostenere il desiderio di maternità e paternità,
che tutela la salute delle donne, che riconosce e afferma la dignità umana
dell'embrione, che promuove la libertà di ricerca. Una amorevolezza concreta nei
confronti delle persone che si muove entro una trama di valori: la dignità
umana, la responsabilità, il rispetto, la promozione di una vita dignitosa per
tutti, la coscienza del limite.
A partire da qui si formulano i nostri quattro Sì. Sì all'abrogazione della
norma che parla di diritti del concepito, perché riteniamo che non ci possa
essere una equiparazione tra l'embrione ed il nato, così come prospettato nella
legge 40. Dico subito, però, per quanto mi riguarda, che sarebbe grave per la
sinistra mostrare indifferenza rispetto al tema della vita umana che è già
presente nel concepito. Per questo ritengo che una nuova legge debba introdurre
il concetto della “dignità umana” dell'embrione. La nozione di dignità umana si
riferisce alla possibilità e alla volontà di attribuire all'embrione, in quanto
primo inizio della vita umana, un preciso valore etico, che è relativo alla sua
specifica natura, e quindi non si oppone in modo assoluto ad ogni uso e
manipolazione dell'embrione, ma richiede che ogni uso e manipolazione siano
fatti solo per buoni motivi e dentro limiti certi e ben definiti. Sì
all'abrogazione delle norme che recano danno alla salute della donna. L'obbligo,
previsto dalla legge, di creare in vitro ogni volta tre embrioni, come numero
massimo, da trasferire in un'unica soluzione in utero non bilancia in modo
adeguato la tutela dell'embrione con la vita della donna, che è esposta in modo
irragionevole ai rischi legati alla iperstimolazione ovarica, o, al contrario, a
gravidanze plurigemellari con gravi pericoli di malformazione nonché ad un
notevole stress psicofisico per l'allungamento dei tempi della gravidanza. Anche
la proibizione della diagnosi preimpianto, vale a dire la possibilità di
valutare che l'ovulo inserito non sia portatore di gravi malattie - pur nel
condivisibile obiettivo di evitare soluzione eugenetiche - spinge poi all'aborto
terapeutico, consentito dalla legge 194, procurando un male maggiore di quello
che si intende evitare.
Sì, inoltre, al quesito sulla ricerca scientifica che pone il problema
dell'utilizzo degli embrioni soprannumerari per affrontare alcune gravi malattie
che al momento non trovano cure adatte. Non è l'unica linea di ricerca
perseguibile, ma il suo rifiuto aprioristico appare frutto di una rigida scelta
ideologica che concepisce in modo statico la tutela della vita. Quando gli
embrioni risultino irreversibilmente condannati ad un naturale deperimento, cosa
che deve essere evitata il più possibile, la rinuncia aprioristica ad
utilizzarli non salva la loro vita e nel contempo non aiuta la vita dei malati
che ne trarrebbero beneficio.
Più controversa è la questione relativa alla fecondazione eterologa, perché
coinvolge tematiche complesse relative ai diritti del nascituro, alla maternità
ed alla paternità, al rapporto di coppia, dove viene ad inserirsi un donatore
terzo. Voterò Sì anche a proposito di tale quesito, pur essendo contraria alla
pratica della fecondazione eterologa. Considero, infatti, una acquisizione
irrinunciabile la distinzione tra convincimento personale e regolazione
giuridico-legislativa. Penso pertanto che una nuova legge debba prevedere la
fecondazione eterologa, consentita in caso di sterilità o di infertilità
incurabile o di malattia trasmissibile per via genetica. La scelta del Sì a tale
quesito deve avere il coraggio di misurarsi con gli interrogativi che la pratica
della fecondazione eterologa propone. Innanzitutto il rapporto che viene a
stabilirsi tra maternità e paternità biologica e il legame materno e paterno.
Ovvero il rischio speculare - sia in chi ricerca la fecondazione eterologa, sia
in chi la rifiuta in nome del legame biologico - di riproporre la consanguineità
quale legame fondante la relazione umana, lasciando sullo sfondo quella cultura
della donazione che vuole superare ogni forma di rapporto proprietario
genitori-figli per esaltare invece l'incontro affettivo con una persona altra
che si vuole amare per il desiderio di amarla e non perché dello stesso sangue.
E al contempo, come non ascoltare la riscoperta da parte di tante donne della
bellezza della maternità proprio per la sua esperienza corporea e non solo per
la sua dimensione di responsabilità? Ma allora, questo corpo riscoperto non
dovrebbe anche ricordarci che esso va rispettato, che esso vuole siano
rispettati dei limiti rispetto alla invasività di tecniche e di un sapere medico
tante volte percepito come lontano ed imperscrutabile? E a questo proposito è
importante la riflessione di tante donne del femminismo che ci ricordano la
battaglia che abbiamo fatto per dirci che il figlio non è tutto, che la
maternità è anche un'etica, un sapere, una modalità di vivere, quella che mette
al centro la relazione con l'altro e l'apertura all'altro.
La fecondazione eterologa ci fa venire in mente lo sperma maschile. Ma essa
riguarda anche gli ovociti delle donne. Sui quali è attivo ormai un fiorente
mercato clandestino a scapito delle donne più deboli e povere del mondo. Lo
ricorda una recente risoluzione del Parlamento europeo sul commercio degli
ovociti umani. La fecondazione assistita è motivata dalla cura della infertilità
e dalla scelta responsabile di avere un figlio. Sento a questo proposito la
necessità che il dibattito in corso si interroghi in modo più puntuale su quali
sono le cause che determinano la infertilità e la sterilità. Quali sono le
ragioni per cui stiamo diventando una società più sterile e infeconda. Penso che
nessuno di noi voglia consegnare ai propri figli una società così poco
amichevole nei confronti della possibilità di generare in modo naturale i figli
che si desiderano. Gli epidemiologi dicono che due sono i filoni su cui
intervenire per mettere in campo politiche di prevenzione sul rischio
riproduttivo. Da un lato, i cosiddetti “interferenti endocrini”, ovvero sostanze
chimiche che interferiscono nel sistema endocrino e principalmente sul
funzionamento dell'apparto riproduttivo e che sono diffuse nell'ambiente, nel
cibo e negli oggetti che ci circondano. Dall'altro, i cambiamenti dei costumi
come ad esempio l'eccessivo posticipo della maternità che può esporre al rischio
della infertilità.
I nostri quattro Sì per l'abrogazione di norme crudeli e lesive della libertà di
ricerca si accompagnano alla costruzione di una società davvero amichevole e
accogliente nei confronti della maternità e della paternità, e dei figli che non
solo vogliamo mettere al mondo ma a cui vogliamo consegnare un mondo umano e
vivibile.