Claudio Risé, da “Il Mattino
di Napoli” del lunedì, 12 maggio 2008,
www.ilmattino.it
Siamo nel tempo dei «figli
desiderati». I bambini vengono sempre più
accuratamente programmati in base all’età dei
genitori, la loro condizione economica, di lavoro,
le disponibilità di spazio, e mille altre
circostanze, compreso, a volte, il segno astrologico
del nascituro. Come stanno poi, però, questi nuovi
«figli del desiderio»? Che rapporto hanno con la
vita, gli altri, e con i loro genitori?
I dati forniti da statistiche, cronache e
osservazioni cliniche, sono sorprendenti. Uno dei
maggiori esperti di questo fenomeno, il sociologo e
demografo francese Yves Yonnet, ha spiegato due
giorni fa, in un convegno internazionale alla
Pontificia Università Lateranense (per i 40 anni
dell’enciclica Humanae vitae), che si tratta di un
vero mutamento antropologico.
Questi bambini, «figli del desiderio», e anche del
calcolo, appaiono diversi da quelli figli del caso,
o «dell’amore», come si diceva una volta. «Essere
stato desiderato, venire desiderati, credere o
sapere di essere stati desiderati», diventa per i
bambini di oggi, secondo Yonnet, il fatto centrale
«attorno a cui avviene la costruzione psicologica
dell’individuo».
L’osservazione psicoterapeutica di figli e genitori,
conferma questa osservazione del sociologo. Per
questi bambini essere oggetti di desiderio, e quindi
di approvazione, diventa l’aspetto che più influisce
sul loro umore, sul loro interesse per la vita,
sulle loro capacità di apprendimento, e sulle loro
relazioni col mondo. Se non si sentono
sufficientemente approvati, e desiderati, si
inceppano, si intristiscono, non «funzionano». È
come se l’approvazione, prova del desiderio che gli
altri hanno per loro, sia il principale
combustibile. Quando non ce n’è a sufficienza, i
«figli del desiderio», faticano a partire per la
vita. È una situazione del tutto nuova.
Ai bambini ha, certo, sempre fatto piacere essere
approvati. Questo bisogno così totale del sorriso e
dell’approvazione dell’altro finiva però nel primo
periodo della vita, caratterizzato dalla relazione
centrale con la madre. La fase appunto che la
psicoanalisi chiama del cosiddetto «narcisismo
primario», e deve sempre poter essere vissuta, e
soddisfatta. Una volta rassicurato dall’approvazione
(e soprattutto amore) materno, il bambino era più o
meno pronto per affrontare anche momenti di
critiche. Quelle dei fratelli (oggi rarissimi), dei
compagni che facevano dispetti, e magari
picchiavano, quelle dei maestri e insegnanti. E
anche quelle del padre, che non è mai stata una
figura dal consenso garantito, e neppure
indispensabile, anzi.
È proprio nel confronto-scontro con un padre che
pensava, anche, cosa diverse da te che si
strutturava la personalità. Oggi questo non è più
possibile. Non solo perché il padre spesso non c’è,
o non si sa come la pensi, oppure se la pensa
diversamente dal bimbo, e prova a condizionarlo (una
volta si diceva: educarlo), finisce sotto inchiesta
da qualche zelante Procura della Repubblica, come
abbiamo recentemente visto in questa rubrica. Ma
soprattutto perché il figlio desiderato non regge la
critica, che mette a rischio il pilastro cui si
costruisce la sua personalità:
l’approvazione-conferma del desiderio cui deve la
sua esistenza.
È come se la difficoltà e la fatica, che anche i
genitori hanno cercato di evitare calcolando
accuratamente il momento più opportuno per la
nascita, ancora meno possano essere affrontate da
questi «bambini desiderati», per i quali tutto ruota
attorno (appunto) al desiderio e all’approvazione.
Il resto, vale a dire gran parte della vita, è
«male», e li mette in crisi. Un bel guaio.