La vera domanda: perchè non
siamo come Erika e Omar?
Il coraggio di non uccidere
2 dicembre 2001
di Barbara Spinelli
Sono
Il perché dell'odio, se fu odio; dell’estasi
dionisiaca, se fu estasi; di una noia furente, se fu noia. Non lo sapremo mai, e
forse sarebbe utile cominciare a dirselo: al di fuori dei tribunali non è
possibile dare risposte, e anche quest’articolo non vuol azzardare
spiegazioni, anche il processo che sta concludendosi al tribunale di Torino non
renderà completamente chiaro quello che è oscuro. E non è male che la
voragine resti quella che è: nera cavità senza motivo, mera epifania del
crimine, del nulla. Buco che deve restare tale, perché la realtà del delitto
non venga edulcorata, eufemizzata, contestualizzata
Lo diceva già Dante, alle porte dell’Inferno: per
descrivere il «succo» del male, per evocare l'orrore del conte Ugolino che
divora i propri figli, non bastava «la lingua che chiami mamma o babbo»,
ovvero la lingua quotidiana. Occorreva un’eloquenza che noi giornalisti,
periti, consulenti, non abbiamo: «S’io avessi le rime aspre e chiocce, come
si converrebbe al tristo buco, (..) io premerei di mio concetto il suco più
pienamente» (
Non c’è infatti movente alcuno che spieghi le novantasette coltellate, ed è inutile cercare un conforto infarcendo il vuoto con corte, ridicole giustificazioni: i rapporti così difficili con la mamma, i padri di oggi che sono così nascosti e le madri così iperprotettive, la paura di Omar di perdere Erika e la paura di Erika di passare giorni troppo imprigionanti, ordinari, dentro una stanzetta descritta invariabilmente come troppo piccola e insomma talmente soffocante da suscitare quasi naturalmente la voglia di matricidio, di fratricidio, e anche di parricidio se il caso non avesse voluto che Francesco De Nardo, padre di Erika, fosse fuori casa nelle ore di sangue.
Sono tutte parole ridondanti, e nessuna comunque è all’altezza delle poesie sulla bellezza del male e della trasgressione liberatrice composte da Jim Morrison che Erika e Omar adoravano. Nella gara vincerà sempre il cantante maledetto dei Doors, e Erika lo ha fatto capire nel processo: «C'è una cosa su cui sono d'accordo con lui - ha detto - ed è che la morte è la fine di ogni sofferenza».
Nell’arte di escogitare il movente, Morrison sarà
sempre più forte di noi. Non ha rime aspre, ma ha pur sempre rime da offrire:
«Lo sai quanto pallida e pazzamente tesa e sospesa/ giunge la morte in un’ora
strana/ come un terrificante ospite in eccesso di amicizia/ che ti sei portato a
letto./ La morte ci rende tutti angeli/ e ci mette le ali/ dove avevamo le
spalle». Erika amava tutto questo, con Omar. Era interessante, una morte così
glorificata. E dalle prigioni dell'esistenza non c’era modo di uscire se non
quello di divenire, appunto,
Quando le hanno chiesto se lo rifarebbe, al processo
di Torino, la sua replica è stata: «Non lo so». Di fronte a simili risposte
non resta dunque che il mutismo, a meno di smettere questo nostro arrancare
dietro le spiegazioni e porci la vera, l’unica domanda legittima. Non
Ce ne sono tante, di adolescenti come Erika, tante che
adorano i Doors e il satanismo di Morrison, tante che anelano la libertà di cui
chiacchierano in questi giorni gli imputati di Novi Ligure: perché tutti
costoro non ricorrono alla lama, non l’infilano cento volte nel corpo di
parenti, maestri? Per tali indagini vale la pena usare le rime aspre e chiocce
che abbiamo a disposizione. Giacché solo questo conta, e aiuta: sapere perché
Ogni giorno trasgrediamo la nostra normalità bestiale
e
Chi vive rispettando codici etici porta addosso abiti dal tessuto ben più fragile di quello vestito da Erika: un tessuto più difficile, che si chiama civilizzazione. Qualcuno l’ha denominata: una pellicola sottilissima, presidiata a fatica da tabù e divieti, stesa sulla barbarie dell’uomo. Il tabù stesso si erge contro un male sempre pronto a rifarsi vivo. Un male che ci sta allato, nostra ombra. Che porta il coltello, come Erika e Omar, e seguendo il più naturale degli istinti incita a questo: uccidere, disonorare il padre e la madre, realizzare nell’estasi del crimine - privato o terrorista che sia - il proprio sogno di libertà e di fuga. Qualsiasi tipo di libertà e di fuga: dalla barbarie nella civiltà, ma anche dalla civiltà nella barbarie