Sarà anche la riforma più importante del secolo. E sarà politicamente
scorretto provarne fastidio. Ma è proprio questa la sensazione per l´ennesimo
rilancio di riforme istituzionali.
Fastidio per qualcosa che somiglia ad un alibi o ad un errore o ad un
inganno. L´alibi della ricerca di una scappatoia all´incapacità di
governare. L´errore di puntare sul movimentismo istituzionale in un
sistema che invece ha finalmente bisogno di essere stabilizzato. L´inganno
di mascherare, con nuovi istituti, intenti politici di forzature
costituzionali.
Nasce questa complessa sensazione da una verità che chiunque può
constatare. Nel decennio 1993-2003 il sistema politico italiano è
cambiato sino ad essere irriconoscibile da allora. Ricordiamo appena
qualcosa di quel che è già avvenuto. Il passaggio dal sistema elettorale
proporzionale, imperniato sui partiti, al sistema maggioritario,
imperniato sulle coalizioni.
L´elezione diretta e personale dei governi territoriali: regionali e
locali.
L´indicazione sulla scheda elettorale degli aspiranti premier. La
rivoluzione federalista che ha fatto delle Regioni la fonte normale delle
leggi (e del Parlamento il legislatore dei soli principi e di poche
materie). L´ordinamento giuridico europeo che, prima ancora di chiamarsi
«costituzione» , ha già modificato le Costituzioni nazionali. La
privatizzazione di un sistema di imprese a partecipazione statale che era
il più vasto nel mondo occidentale.
Queste e altre sono state dunque le riforme istituzionali: che si sono
susseguite tumultuose e urgenti. Un paese normale si prenderebbe una
tregua per riflettere. Per adeguare quello che si è fatto al bisogno di
coesione di una società sconnessa. Per costruire nuovi equilibri tra quel
che è cambiato e quello che è necessità costituzionale perdurante.
Sarebbe questo il momento dell´ordine e della manutenzione.
Il novismo istituzionale è contro tutto questo e perpetua oggettivamente
la instabilità. O per incapacità di capire i meccanismi che ormai da
anni sono stati messi in azione. Oppure per accanimento terapeutico nella
ricerca di automatismi istituzionali, come pietre filosofali per il buon
governo.
Il lavoro sulle istituzioni non può essere più infatti lavoro di
architettura o di ingegneria. Deve essere lavoro modesto e minuto di
raccordi, di assemblaggi, di giunture. La stessa parola «riforma» è
meglio riservarla alle tante cose da fare in campo economico e sociale.
Ma se non ha l´ebbrezza dell´invenzione, il lavoro di rifinitura
istituzionale trova però la sua grandezza nella misura in cui riporta a
piena luce i vincoli e le regole degli equilibri democratici. Che sono poi
i principi fondamentali, il nucleo duro della Costituzione, la linea
ultima della sua difesa.
Ora, sono essenzialmente tre gli equilibri che, nell´affollarsi di
riforme del decennio, sembrano affievoliti o a rischio o addirittura
smarriti.
L´equilibrio tra maggioranza e opposizione. Quello tra governo e
Parlamento.
Quello tra centro e autonomie della Repubblica.
Per valutare qualsiasi lavoro istituzionale bisogna dunque porsi la
domanda: recupera esso, rispetta, migliora quei tre equilibri di fondo o,
invece, li peggiora? Il progetto governativo, appena approvato in tutta
solennità, non può perciò sfuggire a questo semplice esame. Vediamo.
Innanzi tutto, come è stata risolta la relazione di equilibrio tra
maggioranza e opposizione? In un sistema bipolare maggioritario dove chi
vince piglia tutto, e dove i numeri parlamentari sono ricaricati di un
surplus rispetto ai numeri elettorali, è questa relazione la «questione
democratica» per eccellenza. Ebbene, salvo la buona intenzione di
affidare al presidente della Repubblica la nomina delle Autorità
indipendenti, per il resto la garanzia è affidata ai regolamenti
parlamentari. Regolamenti che sono approvati da quella stessa maggioranza
che dovrebbe essere «temperata» . Non si è infatti previsto quello che
il buonsenso prima che la ragionevolezza costituzionale invocavano: la
elevazione del quorum necessario per adattare le regole di vita del
Parlamento (e, assieme ad esso: i quorum per eleggere il presidente della
Repubblica e i fondamentali presidenti-arbitri delle due Camere; e quelli
per le leggi costituzionali). Né si parla dell´attribuzione alla Corte
costituzionale dell´ultima parola sulle liti elettorali e sulle
incompatibilità. Né della costituzionalizzazione di quella volatile
prassi che assegna all´opposizione la presidenza di alcune commissioni di
garanzia. Si dimenticano cose che la Bicamerale aveva già approvato nel
1997, con il consenso di tutti. Mentre si aggrava il monopolio politico
televisivo, negazione della libera concorrenza tra partiti.
Manca, soprattutto, nel progetto il riconoscimento della coalizione di
opposizione come elemento essenziale del dialogo democratico in un
Parlamento bipolare. La recente questione delle inchieste parlamentari è
stata esemplare per chiarire la necessità di questo concorso dell´opposizione.
Anche lì, infatti, è emersa l´esigenza di una maggioranza più larga di
approvazione. Gli abusi ultimi hanno capovolto insomma l´opinione
corrente dei costituzionalisti. Non è più pensabile che l´opposizione
possa promuovere inchieste da sola, come in Germania. Ma almeno deve poter
partecipare alla loro creazione, come soggetto costituzionale
indispensabile (ed è ad essa - antagonista istituzionale - che spetta il
potere di veto, non certo ad un qualsiasi raggruppamento parlamentare...).
Il progetto tace perché in nessun momento è stato capace di cogliere lo
spirito animatore di un Parlamento maggioritario. Quello che si ritrova
proprio in un giusto rapporto maggioranza-opposizione, ora che la «garanzia»
proporzionale non c´è più.
Com´è stata, poi, risolta la relazione d´equilibrio tra governo e
Parlamento? Qui il progetto vuole introdurre in Costituzione la
formidabile accelerazione che al programma di governo proviene dal voto
bloccato sulle sue iniziative. E va bene. La madre di tutte le
Costituzioni maggioritarie, quella francese, prevede anche questo. Ma,
poi, a contrappeso, c´è in essa il potere della minoranza parlamentare
di sottoporre subito all´esame dei giudici costituzionali la legge che
nasce, prima dell´entrata in vigore. Come del resto avviene anche in
Germania, in Spagna, in Austria. Non vi è in Europa potere assoluto di
governo in Parlamento che non abbia a bilanciarlo una misura compensativa.
Questo progetto è invece monocolo: vede il governo, non vede il
Parlamento.
La stessa questione del potere di scioglimento delle Camere - spostato dal
presidente della Repubblica al premier per consentirgli di «tenere» la
sua coalizione - non può essere risolta come asettico teorema di
geometria costituzionale. Nel generale collasso delle garanzie (che il
progetto conferma e non si sogna di correggere) è utile cambiare
titolarità e natura al potere di scioglimento delle assemblee:
trasformandolo da meccanismo di garanzia in strumento di governo? Il punto
di equilibrio tra Parlamento e governo, già così difficile a fissare il
regime maggioritario si rafforza o si indebolisce? Sembra che anche di
questo il progetto non si preoccupi affatto.
Come è stata risolta, infine, la relazione di equilibrio, nella
Repubblica, tra Stato centrale e autonomie territoriali? È bene che si
sia cominciato a delineare quel Senato federale preannunciato nella
riforma del 2001. Ma questa stessa riforma aveva e ha urgente bisogno di
aggiustamenti nel riparto delle competenze. Alcune materie sembrano già
insostenibili per la sola dimensione regionale e locale. Altre sono
squartate tra Stato, Regioni e Comuni in modo poco ragionevole. Il
progetto non si preoccupa però di queste emergenze reali.
Esso guarda lontano: ad otto anni data. Ma la vera questione che l´assilla
è quella di contrabbandare la devolution della Lega Nord senza pagare il
dazio di un referendum isolato che l´affonderebbe di sicuro. Inventa
perciò una competenza «esclusiva» delle Regioni (una piccola bugia:
perché l´esclusività è esclusa dai vincoli che comunque la
condizionano). E vi ficca dentro la famosa trilogia: organizzazione
sanitaria, programmi scolastici, polizia locale.
Quella trilogia intesa da medici, da famiglie di studenti, da poliziotti e
carabinieri, come l´infallibile strumento di frammentazione dei sistemi
nazionali di sanità, scuola e polizia. Insomma, invece del riassetto e
del riequilibrio delle competenze fra Stato e autonomie, ancora una
forzatura unilaterale. L´uso congiunturale della revisione costituzionale
per risolvere un problema di coabitazione con l´inquilino prepotente
della coalizione.
Ora, certo, si dovrà discutere di tutto in Parlamento dove l´opposizione
dovrà stabilire il confine tra le cose accettabili e l´inaccettabile. Ma
forse fin d´ora si può dire che il progetto ha un vuoto d´anima che sarà
difficile colmare. Gli manca infatti l´anima degli equilibri
costituzionali per ricomporre ad unità repubblicana gli esiti della
nostra lunga transizione.
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