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Come
funziona lo “spoils system” all’italiana |
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Negli anni tra la fine del XX secolo e
gli inizi di quello successivo, nella storia della Costituzione
italiana, caratterizzata da una grande continuità, si è prodotta una
frattura: prima si poteva dire che, come in tutti i principali Stati, i
governi passano, la burocrazia resta; in Italia, ora le parti si sono
invertite, perché i governi sono diventati stabili, la burocrazia
transeunte. Due norme, una del Governo di centro sinistra (1998), una
del Governo di centro destra (2002) hanno, da un lato, fatto cessare i
dirigenti pubblici in carica; dall’altro, stabilito che i dirigenti
pubblici durano in carica per una durata inferiore a quella dei governi.
Se, prima, l’alta funzione pubblica era poco sensibile alla politica e
formalistica, ora essa è posta alla mercé della politica, quindi
indebolita. Il contenuto delle norme Vediamo in estrema sintesi il
contenuto delle norme. Nel 1998-1999, è stato stabilita, in primo
luogo, la cessazione degli incarichi dirigenziali esistenti, che
dovevano essere confermati entro novanta giorni. In secondo luogo, che i
quaranta incarichi dirigenziali più alti (segretari generali dei
ministeri e capi di dipartimento) potevano essere confermati, revocati,
modificati o rinnovati entro novanta giorni dal voto sulla fiducia al
Governo. In terzo luogo, che tutti gli incarichi dirigenziali dovevano
essere conferiti a tempo determinato, per una durata non inferiore a due
e non superiore a sette anni. In quarto luogo, che per il 5 per cento
dei posti sia di dirigente generale, sia di dirigente, i ministri
potevano nominare persone scelte dall’esterno. Nel 2002, è stato stabilito, in primo
luogo, la cessazione degli incarichi dirigenziali generali (direttori
generali), che vanno attribuiti "ex novo" (alla stessa persona
o ad altri), e di quelli dirigenziali non generali (capi divisione), che
sono confermati se non sono attribuiti ad altra persona entro novanta
giorni. In secondo luogo, che i quaranta incarichi dirigenziali più
alti cessano dopo novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. In
terzo luogo, che tutti gli incarichi dirigenziali sono a tempo
determinato, per una durata massima di tre anni per i dirigenti generali
e di cinque per gli altri. In quarto luogo, che per il 10 per cento dei
posti di dirigente generale e per l’8 per cento di quelli di dirigente
possono essere nominati esterni all’amministrazione. Già disposizioni precedenti (del
1992-1993) avevano stabilito una distinzione tra governo ed alta
funzione pubblica, assegnando al primo l’indirizzo e il controllo e
alla seconda la gestione. Si disse, quindi, che i dirigenti avevano
compiti propri di cui dovevano essere responsabili; che i ministri
dovevano stabilire obiettivi e direttive, poi valutare alla loro stregua
la gestione fatta dai dirigenti, ed essere, quindi, liberi di dismettere
i dirigenti che non avessero raggiunto gli obiettivi o rispettato le
direttive. Tutto ciò, però, non spiegava né la cessazione
generalizzata, né la durata determinata dell’incarico. Infatti,
sarebbe bastato stabilire l’obbligo di valutazione dell’attività e
la dismissione dei dirigenti per mancato raggiungimento degli obiettivi
o inosservanza delle direttive. Che la spiegazione non tenesse è
dimostrato dal fatto che i ministri non hanno fissato obiettivi, né
dato direttive, né, infine, fatto controlli. Quali sono i fattori che hanno
provocato un cambiamento così radicale? La spiegazione data inizialmente in
sede ufficiale è la seguente: la burocrazia italiana è un mondo
cristallizzato, poco mobile, scarsamente sensibile all’innovazione,
interessato alla carriera e ai piccoli privilegi interni più che al
rendimento. Dunque, occorre introdurre mobilità e responsabilità. Questa spiegazione non regge: essa
parte da una diagnosi giusta e propone un obiettivo anch’esso giusto.
Ma il mezzo prescelto, e cioè il ricambio per nomina politica dei
dirigenti e la loro precarizzazione non è l’unico strumento per
raggiungere l’obiettivo, e neppure quello più efficace. Infatti, più
mobilità e maggiori rendimenti si sarebbero potuti ottenere con la
selezione sulla base del merito e non dell’anzianità (e, quindi,
istituendo un "fast stream" per l’accesso, anche
dall’esterno, dei più meritevoli al vertice amministrativo) piuttosto
che "azzerando" la dirigenza e rimettendo la sostituzione a un
giudizio del governo, e con un sistema imparziale di valutazione
periodica, seguito dalla dismissione in caso di giudizio negativo,
piuttosto che limitando dall’inizio la durata nella carica dei
dirigenti. Il vero fattore del cambiamento va
cercato altrove, nei mutamenti prodottisi nel sistema politico. Negli
anni ’90 del XX secolo, vi è stata una generale stabilizzazione degli
esecutivi. Al centro, questa è stata prodotta dalla introduzione del
metodo elettorale maggioritario. In periferia (regioni, province e
comuni), la stabilizzazione è stata prodotta dalla introduzione della
elezione diretta dei presidenti delle giunte regionali e provinciali e
dei sindaci. Questo rafforzamento della politica,
nel senso di stabilizzazione dei partiti nei governi e della loro
durata, è avvenuto in un decennio di "quarantena della
politica", di privatizzazioni (che hanno fortemente diminuito il
settore pubblico industriale e le amministrazioni "parallele"
dominate dal patronato politico) e di affidamento di compiti prima
governativi ad autorità amministrative indipendenti dal governo. Quali le conseguenze Le conseguenze di questi cambiamenti
concomitanti si sono subito fatte sentire. La durata media dei governi,
prima di un anno, è divenuta (tendenzialmente) quella della
legislatura, quindi quinquennale. I partiti al governo si sono
finalmente sentiti sicuri e padroni, perché hanno alle spalle una
solida maggioranza parlamentare. E sono stati subito ripresi dalla
"passion des places", più forte per la cura dimagrante fatta
in precedenza e più difficile da soddisfare per essersi i governi degli
anni ’90 spogliati di posti e di poteri, con le privatizzazioni e la
istituzione di autorità indipendenti. Dunque, il ricambio per nomina
politica e la precarizzazione non rispondono ad esigenze funzionali
della gestione dello Stato, bensì a esigenze interno di un corpo
politico, come quello italiano, che ha sempre avuto fame di posti per
sistemare propri clienti e che vuole per questa strada assicurarsi la
fedeltà politica della burocrazia. E’ paradossale che quello che né
il fascismo, né il lungo "regno" della Democrazia cristiana
avevano fatto, sia stato, invece, fatto, in così breve tempo e con
tanta coerenza, dai due governi di opposta tendenza del maggioritario. Un’ultima osservazione riguarda le
politiche legislative. Nel breve giro di quattro anni, due diverse
maggioranze si sono dotate di leggi per regolare la dirigenza. Ogni
governo si è fornito di poteri "ad hoc", lungo la stessa
direzione, ma con accenti diversi. Questa generale "manipolabilità"
di un assetto che dovrebbe essere stabile, induce a previsioni
pessimistiche sul futuro, che potrebbe essere ancora peggiore,
rafforzando il dominio della politica sull’amministrazione. La
continuità dello Stato sarà, dunque, assicurata meno da un corpo di
professionisti scelti sulla base dei loro meriti, che da una classe
politica di "amateurs" selezionati secondo il criterio del
successo elettorale. (anticipazione da un articolo in corso
di pubblicazione sul Giornale di diritto amministrativo, n.12/2002 edito
dall’Ipsoa) |
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