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Devolution o Senato delle Autonomie?
Stefano Ceccanti
05-12-2002
La devolution proposta dal Ministro Bossi prevede il trasferimento alle Regioni della competenza esclusiva in tre ambiti: polizia locale, assistenza e organizzazione sanitaria, e organizzazione scolastica.....

 

 

La devolution proposta dal Ministro Bossi prevede il trasferimento alle Regioni della competenza esclusiva in tre ambiti: polizia locale, assistenza e organizzazione sanitaria, e organizzazione scolastica.

Polizia locale

Che cosa significa? Non è più la vecchia "polizia locale urbana e rurale" dell’art. 117 della Costituzione prima della riforma del Titolo V, cioè vigili urbani e guardie campestri, perché quella polizia è già passata alle Regioni. È un nuovo ed ulteriore sesto corpo di polizia, creato così senza alcuna forma di coordinamento con quelli già esistenti? O è la regionalizzazione dell’attuale PS che per intero si trasferirebbe alle Regioni? Se prendiamo l’intervento più recente del Ministro Bossi (15 ottobre - Commissione Questioni Regionali), abbiamo la seguente risposta: "Secondo me la storia - che è una cosa seria - riempirà di contenuto questo nuovo principio". Tradotto: intanto lo scriviamo non sapendo cosa vuol dire e poi vedremo.

Sanità

Quanto alla sanità già il testo voluto dall’Ulivo comporta un assestamento delicato. Con la dizione "tutela della salute" la sanità sarebbe in prima istanza materia di legislazione concorrente, in cui il Parlamento fa leggi di principio e il resto è demandato alle Regioni. Tuttavia l’art. 117 fa anche intervenire una competenza esclusiva dello Stato (quella che fissa i "livelli essenziali delle prestazioni"). La proposta Bossi non tocca in nulla questi due aspetti e si limita ad aggiungerne un terzo, esclusivo regionale, "assistenza e organizzazione sanitaria", di cui non è affatto chiaro il significato. È certo solo l’aumento del contenzioso tra Stato e Regioni.

Scuola

Lo stesso problema riguarda la scuola. Il testo voluto dall’Ulivo è anche qui molto complicato perché l’istruzione è materia di competenza concorrente "salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche", mentre allo Stato spettano in via esclusiva "norme generali sull’istruzione". Al di là delle incertezze, esso tende però ad andare in una direzione chiara: allo Stato spettano gli standard formativi comuni che garantiscono l’unitarietà del sistema scolastico I singoli istituti rendono flessibile l’offerta rispetto alle specificità del territorio, mentre le regioni si dovrebbero occupare della "macchina" (organizzazione e personale). Anziché rendere più veloce l’attuazione della riforma, sburocratizzando il sistema col ridimensionamento del ministero e responsabilizzando le Regioni, la Riforma Bossi le coinvolge nella gestione degli istituti e sui programmi. Su questi ultimi interverrebbero quindi tre soggetti: Stato, istituti e ora anche le Regioni. La materia dei programmi, soprattutto, non merita la probabile compressione dell’autonomia funzionale dei singoli istituti a favore di impostazioni ideologiche di "scuola padana" e simili.

Come se non bastasse, fino ad oggi si era capito che queste competenze sarebbero scattate solo a favore delle Regioni che lo avrebbero richiesto: la recente audizione di Bossi, invece, ha improvvisamente teorizzato che andrebbero a tutte. Ciò dovrebbe realizzarsi con risorse aggiuntive, di cui però il testo non parla. L’art. 116 voluto dall’Ulivo, invece, consente in modo più semplice e razionale forme di diversificazione, collegate al federalismo fiscale: si tratta di realizzare un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata e poi di trasformarla in una legge da approvare a maggioranza assoluta in entrambe le Camere.

Se davvero vi è un bisogno simile perché non seguire quella strada, applicando la riforma già varata, anziché produrre una nuova modifica più lenta e confusa, anche se forse criticata dall’opposizione con argomenti e toni eccessivi?

La necessità di una riforma del Senato

Caso mai c’è da lavorare sul vero difetto della riforma del Titolo V: un modello di federalismo adatto a uno stato sociale contemporaneo è necessariamente fondato sullo snodo delle competenze concorrenti, ma esse non si possono esercitare bene senza una responsabilizzazione delle Regioni per il loro ruolo nazionale. Quindi abbiamo bisogno di riformare composizione e ruolo del Senato. Sul primo aspetto la soluzione migliore mi sembra un modello simil-americano che preveda l’elezione popolare diretta di tutti i senatori contestualmente all’elezione di ciascun Consiglio regionale. Per i seggi da attribuire, ferma restando l’opportunità di ridurli a 200 circa, si potrebbe prevedere una norma transitoria in cui per la prima legislatura si tenga il tetto di 315 e i 115 "transitori" sarebbero membri del Senato uscente rieletti dai senatori attuali (1 su 3 manterrebbe la carica). È un meccanismo analogo a quello adottato da Blair per convincere i Lords ereditari a accettare il cambiamento di composizione della Camera dei Lords: una parte, eletti dai loro Pari, sono transitoriamente rimasti.

Rispetto al procedimento legislativo, il bicameralismo potrebbe restare paritario per la revisione costituzionale e per i princìpi della legislazione concorrente. Diventerebbe ineguale sul resto con decisione finale della sola Camera, analogamente a quanto accade nelle altre democrazie parlamentari organizzate secondo i canoni federalisti.

Anche in questo caso, come in molti altri, non basta dire "No", magari con toni sovraeccitati. Il no alla devolution è credibile solo tenendo conto delle difficoltà del sistema attuale e della via maestra alternativa: la riforma del Senato.

 

 

 


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