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Devolution
o Senato delle Autonomie? |
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La devolution
proposta dal Ministro Bossi prevede il trasferimento alle Regioni della
competenza esclusiva in tre ambiti: polizia locale, assistenza e
organizzazione sanitaria, e organizzazione scolastica. Polizia locale Che cosa
significa?
Non è più la vecchia "polizia locale urbana e rurale"
dell’art. 117 della Costituzione prima della riforma del Titolo V,
cioè vigili urbani e guardie campestri, perché quella polizia è già
passata alle Regioni. È un nuovo ed ulteriore sesto corpo di polizia,
creato così senza alcuna forma di coordinamento con quelli già
esistenti? O è la regionalizzazione dell’attuale PS che per intero si
trasferirebbe alle Regioni? Se prendiamo l’intervento più recente del
Ministro Bossi (15 ottobre - Commissione Questioni Regionali), abbiamo
la seguente risposta: "Secondo me la storia - che è una cosa seria
- riempirà di contenuto questo nuovo principio". Tradotto: intanto
lo scriviamo non sapendo cosa vuol dire e poi vedremo. Sanità Quanto alla sanità
già il testo voluto dall’Ulivo comporta un assestamento
delicato. Con la dizione "tutela della salute" la sanità
sarebbe in prima istanza materia di legislazione concorrente, in cui il
Parlamento fa leggi di principio e il resto è demandato alle Regioni.
Tuttavia l’art. 117 fa anche intervenire una competenza esclusiva
dello Stato (quella che fissa i "livelli essenziali delle
prestazioni"). La proposta Bossi non tocca in nulla questi
due aspetti e si limita ad aggiungerne un terzo, esclusivo regionale,
"assistenza e organizzazione sanitaria", di cui non è affatto
chiaro il significato. È certo solo l’aumento del contenzioso tra
Stato e Regioni. Scuola Lo stesso problema
riguarda la scuola. Il testo voluto dall’Ulivo è anche qui
molto complicato perché l’istruzione è materia di competenza
concorrente "salva l’autonomia delle istituzioni
scolastiche", mentre allo Stato spettano in via esclusiva
"norme generali sull’istruzione". Al di là delle
incertezze, esso tende però ad andare in una direzione chiara: allo
Stato spettano gli standard formativi comuni che garantiscono
l’unitarietà del sistema scolastico I singoli istituti rendono
flessibile l’offerta rispetto alle specificità del territorio, mentre
le regioni si dovrebbero occupare della "macchina"
(organizzazione e personale). Anziché rendere più veloce
l’attuazione della riforma, sburocratizzando il sistema col
ridimensionamento del ministero e responsabilizzando le Regioni, la
Riforma Bossi le coinvolge nella gestione degli istituti e sui
programmi. Su questi ultimi interverrebbero quindi tre soggetti: Stato,
istituti e ora anche le Regioni. La materia dei programmi, soprattutto,
non merita la probabile compressione dell’autonomia funzionale dei
singoli istituti a favore di impostazioni ideologiche di "scuola
padana" e simili. Come se non
bastasse, fino ad oggi si era capito che queste competenze sarebbero
scattate solo a favore delle Regioni che lo avrebbero richiesto: la
recente audizione di Bossi, invece, ha improvvisamente teorizzato
che andrebbero a tutte. Ciò dovrebbe realizzarsi con risorse
aggiuntive, di cui però il testo non parla. L’art. 116 voluto
dall’Ulivo, invece, consente in modo più semplice e razionale
forme di diversificazione, collegate al federalismo fiscale: si tratta
di realizzare un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata e poi di
trasformarla in una legge da approvare a maggioranza assoluta in
entrambe le Camere. Se davvero vi è un
bisogno simile perché non seguire quella strada, applicando la riforma
già varata, anziché produrre una nuova modifica più lenta e confusa,
anche se forse criticata dall’opposizione con argomenti e toni
eccessivi? La necessità di
una riforma del Senato Caso mai c’è da
lavorare sul vero difetto della riforma del Titolo V: un modello
di federalismo adatto a uno stato sociale contemporaneo è
necessariamente fondato sullo snodo delle competenze concorrenti, ma
esse non si possono esercitare bene senza una responsabilizzazione delle
Regioni per il loro ruolo nazionale. Quindi abbiamo bisogno di riformare
composizione e ruolo del Senato. Sul primo aspetto la soluzione
migliore mi sembra un modello simil-americano che preveda l’elezione
popolare diretta di tutti i senatori contestualmente all’elezione di
ciascun Consiglio regionale. Per i seggi da attribuire, ferma restando
l’opportunità di ridurli a 200 circa, si potrebbe prevedere una norma
transitoria in cui per la prima legislatura si tenga il tetto di 315 e i
115 "transitori" sarebbero membri del Senato uscente rieletti
dai senatori attuali (1 su 3 manterrebbe la carica). È un meccanismo
analogo a quello adottato da Blair per convincere i Lords ereditari a
accettare il cambiamento di composizione della Camera dei Lords: una
parte, eletti dai loro Pari, sono transitoriamente rimasti. Rispetto al
procedimento legislativo, il bicameralismo potrebbe restare paritario
per la revisione costituzionale e per i princìpi della legislazione
concorrente. Diventerebbe ineguale sul resto con decisione finale della
sola Camera, analogamente a quanto accade nelle altre democrazie
parlamentari organizzate secondo i canoni federalisti. Anche in questo
caso, come in molti altri, non basta dire "No", magari con
toni sovraeccitati. Il no alla devolution è credibile solo tenendo
conto delle difficoltà del sistema attuale e della via maestra
alternativa: la riforma del Senato. |
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