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IL CASO
Se la Costituzione si trasforma nel self service delle Regioni
ANDREA MANZELLA

da Repubblica - 13 novembre 2002

DALLA questione morale alla questione nazionale. Dopo la "Cirami", ecco al Senato la devolution di Bossi. Anche questa, come quella, arriva in Assemblea per diktat di maggioranza, senza che l´istruttoria legislativa in commissione sia stata completata. Secondo la maledizione cinese, il Senato s´appresta dunque a vivere altri "giorni interessanti".
È bene chiarire subito che questa devolution leghista non ha nulla a che fare con il sistema costituzionale regionale, messo in piedi con il referendum del 7 ottobre 2001. Al contrario, è un provvedimento che si pone contro quel sistema e lo ferisce a morte in tre modi diversi.
In primo luogo, perché ostacola, nei tempi e soprattutto nella sostanza, l´attuazione concreta di quell´ordinamento. È già pronto, infatti, lo specifico progetto governativo che puntualmente esegue e completa il disegno regionale. Non ci sono motivi - se non di malapolitica - perché la devolution passi avanti e prevarichi su questo adempimento, dovuto per Costituzione.
In secondo luogo, perché la devolution sfascia nella culla il meccanismo stesso di ripartizione solidale delle risorse fra le regioni. La sua è, infatti, una procedura di auto-attribuzione di compiti da parte delle stesse singole regioni. E questo significa accaparramento di crediti fiscali (le regioni ricche diventano così più ricche di competenze e soldi; le regioni povere, più povere di tutto).
SEGUE A PAGINA 14

Se la Costituzione diventa self-service delle Regioni

(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
ANDREA MANZELLA
In terzo luogo, perché la devolution scompagina i criteri di ripartizione delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni nelle tre grandi reti nazionali: la scuola, la sanità, l´ordine pubblico. Ma non affaccia un minimo criterio ricostruttivo della fisionomia culturale, assistenziale, di sicurezza interna della Repubblica.
Chi ha sotto gli occhi la conflittualità tra i governi territoriali già così vistosa in questi giorni di Finanziaria, capisce facilmente che questa devolution istituzionale è una cisterna di benzina versata su un incendio.
L´esatto contrario, insomma, di quel che deve essere fatto perché uno "Stato regionale articolato in comuni", come il nostro, abbia il suo quadro unitario d´ordine. Un ordine che si fonda su due pilastri già individuati dalla Costituzione. Un Senato della Repubblica in cui siedano, come vuole lo stesso concetto di Repubblica, anche i rappresentanti di regioni, province, comuni: la Camera nazionale di compensazione degli squilibri e delle tensioni territoriali. E un meccanismo che regoli la ripartizione delle risorse pubbliche; tenendo conto dei "territori con minore capacità fiscale per abitante": il criterio di solidarietà per cui una nazione si fa Stato.
La devolution volutamente smarrisce questi due pilastri di riferimento: il Parlamento, la perequazione fiscale. Con la Costituzione ridotta a self-service delle Regioni, senza controllo di Parlamento nazionale, si rende impossibile il concetto stesso di Repubblica "indivisibile". Con la Costituzione aggirata - sul punto cruciale della ripartizione delle risorse secondo la duplice regola di "promuovere la coesione e la solidarietà sociale" e di "rimuovere gli squilibri economici e sociali" - si rende impossibile il concetto stesso di Repubblica "una".
L´impianto istituzionale della devolution viene a corrispondere così perfettamente al "principio della regionalizzazione del reddito delle imprese" che è già stato introdotto nella Finanziaria, alla Camera dei deputati, come criterio per la devolution fiscale. Significa che le imprese pagano le tasse dove si produce. Ha scritto il Sole24 ore: "Un blitz che potrebbe anticipare una devolution fiscale radicale, rischiando di spaccare in due l´Italia". Ha scritto il Messaggero: "Se si mira a trattenere l´importo del reddito prodotto nelle singole regioni per compensarlo con crediti vantati verso lo Stato centrale, siamo alla sedizione minacciata". Ha scritto il Mattino: "Non hanno pudore né senso della misura".
I toni di queste "testate" giornalistiche sono sufficienti a spiegare quale profonda sensibilità nazionale sono arrivate a ferire le manovre "leghiste" del governo. Devolution istituzionale e devolution fiscale "vanno in coppia", come dice giustamente il ministro Bossi. E insieme vanno verso la disgregazione italiana. Dal momento che, nei fatti attuali e concreti che hanno sempre più forza delle astratte promesse future, la questione del Mezzogiorno è rinnegata come unica vera questione sociale del paese, come la vera questione nazionale.
Vale anche la pena aggiungere che queste sono posizioni totalmente al di fuori della comune cultura istituzionale europea: quella che si va affermando nei lavori della Convenzione di Bruxelles. Dove il necessario affievolimento di sovranità degli Stati a favore di un ordinamento sovrastatuale non tocca minimamente l´unità politica degli Stati-nazione. Solo da noi si riesce a sposare un "sovranismo" anti-europeo con una devolution anti-nazionale.
Finora si era parlato di scorie sub-culturali che, alla fine non avrebbero fatto breccia nella linea conclusiva di governo. Quando però il presidente del Senato si appresta ad aprire una seduta che ha all´ordine del giorno la devolution, il discorso cambia.
V´è un governo che, per sue ragioni interne, con un suo progetto di legge anti-italiana, ammaina la bandiera dell´unità nazionale. L´impensabile è stato così già pensato. E minaccia di correre con i grossi numeri della "dittatura di maggioranza". Ma ora che la corsa è contro chi vuole staccare le "Italie" dall´Italia e l´Italia dall´Europa, forse l´opposizione non sarà più tanto sola nel riprendere in mano quella bandiera