In più occasioni, negli ultimi
tempi, il Presidente del Consiglio ha riconosciuto la necessità
di intervenire sul sistema previdenziale, ma ha mostrato di
volerne in qualche modo ribaltare l’iniziativa e la
responsabilità sull’Unione Europea.
Incongruenze
A stretto rigore, la
previdenza sociale non ricade tra le competenze dell’Unione;
non sembrano quindi esservi fondamenti giuridici per questo
rinvio. Tuttavia sotto un certo profilo è sorprendente che
l’autonomia degli stati in questa materia sia compatibile con un
Trattato il quale prevede, tra gli stati aderenti, "la
creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento
della coesione economica e sociale e l’instaurazione di
un’unione economica". E’ sorprendente che l’Unione non
possa intervenire su un campo che ha tanta rilevanza, tra
l’altro, sulle scelte tra consumo e tempo libero, sulla
stipulazione e sulla risoluzione dei contratti di lavoro, sui
saldi del bilancio pubblico, sull’equità intergenerazionale.
Indipendentemente dalla
formulazione del Trattato, quindi, appare inevitabile considerare
i sistemi previdenziali dei diversi paesi come un aspetto
fondamentale della loro vita associata. E domandarsi sino a che
punto le ricordate finalità possano essere raggiunte in presenza
di ordinamenti tanto diversi. Alcuni paesi, come l’Italia e la
Spagna, hanno generosi sistemi pubblici a ripartizione, mentre
altri (come la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e l’Olanda) si
appoggiano più significativamente sul secondo pilastro (fondi
pensione) e sul terzo (polizze di assicurazione). Inoltre, alcuni
paesi usano la previdenza sociale a scopi redistributivi
tra o entro le generazioni; o a fini di politica industriale
(quando il pensionamento anticipato viene utilizzato a fini di
ristrutturazione): oppure con un obbiettivo politico, alla
vigilia di una tornata elettorale, quando le promesse sono fatte
senza tenere conto del loro costo. In altri paesi, il sistema è
meno redistributivo nei suoi scopi, con aliquote più basse e
formule pensionistiche più vicine all’equità attuariale.
Effetti dei diversi sistemi
Queste differenze hanno effetti
profondi e ramificati. Il più noto e dibattuto è l’effetto
sul saldo finanziario di ciascun sistema, in molti paesi
squilibrato in parte per l’invecchiamento della popolazione, ma
anche in conseguenza di regole stabilite con insufficiente
attenzione alle loro conseguenze di lungo periodo. Altrettanto
importanti sono gli effetti sull’offerta di lavoro, in
alcuni paesi fortemente scoraggiata, per le classi di età matura
(indicativamente: oltre i 55 anni), da una forte tassazione
esplicita e implicita. Infine, senza dimenticare che le aliquote
contributive devono almeno in parte considerarsi una forma di
risparmio (sia pure forzato), una loro eccessiva differenziazione
può avere effetti distorsivi sul costo e sulla domanda di
lavoro.
In un’area che si sta
velocemente integrando, la sostenibilità dei singoli sistemi
previdenziali non può più essere trattata come problema
meramente nazionale. Le politiche previdenziali influenzano
indirettamente, ma in misura rilevante, la crescita e
l’occupazione non soltanto del paese che le adotta ma
dell’intera Unione. Il summit tenutosi nel 2001 a Göteborg
ha infatti posto le pensioni in primo piano tra le questioni di
interesse comune.
Tutti i paesi debbono perciò
guardare a misure convergenti, come quelle che allungano la durata
della vita lavorativa o promuovono lo sviluppo delle pensioni
private. Le formule pensionistiche devono essere riviste in
direzione dell’equità attuariale, così che i lavoratori
vicini all’età pensionabile non siano indotti al ritiro
anticipato. Al tempo stesso, meritano appoggio le soluzioni
miste che combinano, se pure in proporzioni diverse, la
componente pubblica a ripartizione e la componente privata a
capitalizzazione.
E, tornando all’Italia, se il
quadro generale è quello sopra descritto; se parecchi problemi
sono comuni a molti paesi; se, al tempo stesso, istituzioni
previdenziali troppo diverse l’una dall’altra possono
rappresentare un ostacolo al funzionamento del mercato comune; se
tutto ciò è vero, appare fondata l’attesa di un orientamento
comunitario. Non sarebbe la prima volta che il nostro paese adotta
una politica virtuosa sotto lo stimolo delle indicazioni
provenienti dall’Europa. Né sarebbe la prima volta che misure
implicanti un qualche sacrificio per una parte della collettività,
e come tali da essa avversate, vengono successivamente
riconosciute come un passo necessario verso un obbiettivo di
interesse comune.
Per saperne di più:
Una fonte per
l’approfondimento di questi problemi su base comparata è
offerta dagli atti di un convegno tenutosi presso il CeRP (un
centro di ricerca indipendente operante in collaborazione con
l’Università di Torino, http://Cerp.unito.it),
di prossima pubblicazione presso Edward Elgar (Pension Policy
in an Integrating Europe).
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