La Legge n. 335 del 1995 ha
rivoluzionato il sistema pensionistico italiano
introducendo il cosiddetto "metodo contributivo" per il
calcolo delle future pensioni. In base a tale metodo,
l’ammontare della pensione si ottiene moltiplicando il montante
contributivo maturato per un "coefficiente di
trasformazione" che dipende dall’età al momento del
pensionamento. La legge ha però evitato di rendere nota la
formula attuariale e le basi tecniche utilizzate nel calcolo dei
coefficienti. Questa discutibile decisione ha un duplice effetto
negativo. Oltre ad impedire la trasparenza e la comprensibilità
della riforma, essa rende problematici eventuali controlli e
le revisioni periodiche imposte dalla legge stessa.
Nasce quindi l’esigenza di
rivedere le formule attuariali implicite dietro gli attuali
coefficienti di trasformazione, aggiornando al tempo stesso i
parametri impiegati e verificando la qualità delle informazioni
statistiche utilizzate alla luce delle tendenze recenti della
demografia, della produttività e del mercato del lavoro. In
particolare, la caduta dei tassi di mortalità rispetto al quadro
demografico dei primi anni ’90, preso come riferimento dalla
legge 335/1995, rendono gli attuali coefficienti più elevati
(cioè più generosi) di quanto richiederebbe il principio
dell’equità attuariale che rappresenta uno dei fondamenti della
riforma (vedi tabella).
Tale generosità, unitamente a un’età minima di
pensionamento (57 anni) ancora troppo bassa rispetto agli altri
paesi europei, contrasta con l’obiettivo sottoscritto nel
2001 dal Governo italiano, e auspicato dal Presidente del
Consiglio nella recente conferenza stampa di fine anno, di
accrescere in modo sostanziale il tasso di attività della fascia
di popolazione tra i 50 e i 65 anni.
Necessità di uno
svecchiamento della documentazione
Per evitare il rischio che i
coefficienti vengano manipolati in sede di revisione, sono però
indispensabili rilevazioni e analisi ad hoc per
stimare in modo attendibile e aggiornato tutti i parametri
impiegati nel loro calcolo. Queste rilevazioni risultano
indispensabili per quei parametri che al tempo della riforma
furono desunti da documentazione obsoleta (quali le probabilità
di sopravvivenza dei vedovi e le probabilità di lasciar famiglia)
e per quelli che furono totalmente immaginati (quali le correzioni
dell'aliquota di reversibilità per il cumulo dei redditi).
Una migliore comprensione dei
problemi connessi al sistema pensionistico sarebbe oggi possibile,
in linea di principio, grazie all’ampio insieme di informazioni
statistiche raccolte attraverso una varietà di rilevazioni ed
elaborazioni sulle istituzioni e gli enti previdenziali. Non
sempre tuttavia alla quantità di informazioni raccolte
corrisponde una qualità soddisfacente dei dati rilasciati al
pubblico. Ciò è dovuto sia al sottoutilizzo delle
rilevazioni esistenti, sia all'utilizzo solo parziale di adeguate
classificazioni statistiche comparabili a livello internazionale.
Un ulteriore elemento di inefficienza nella produzione di
informazioni statistiche in campo previdenziale è il permanere di
molteplici rilevazioni condotte da enti diversi con obiettivi in
parte coincidenti. Ciò determina un aggravio degli oneri per le
istituzioni rispondenti e genera confusione sul dato statistico,
essendo molto spesso diverse le definizioni e le classificazioni
utilizzate.
Le tendenze di lungo periodo
Le carenze conoscitive maggiori
riguardano però le determinanti dell'evoluzione demografica
e dei trend di lungo periodo della produttività e del mercato del
lavoro. La riforma del 1995 ha addirittura comportato nuove
esigenze conoscitive, la prima delle quali riguardante la necessità
di tenere conto dell'intero profilo lavorativo e retributivo degli
individui nel determinare gli importi di pensione liquidati.
Inoltre, poiché il nuovo sistema lascia agli individui
considerevole libertà nella scelta del momento del ritiro dal
lavoro, la capacità di formulare previsioni circa l'età di
ritiro dei vari gruppi socio-demografici diventa essenziale
allo scopo di comprendere le tendenze di lungo periodo del
sistema.
Purtroppo, gran parte di queste
esigenze conoscitive sono oggi ben lontane dall'essere
soddisfatte. Ancora troppo poco si conosce circa gli effetti della
riforma sull'offerta di lavoro degli individui e sulle loro
decisioni di risparmio, e ancora minore è l'informazione
disponibile per valutare accuratamente gli effetti delle misure di
politica economica sul benessere della frazione rapidamente
crescente della popolazione costituita dagli anziani. In Italia manca
infatti un'indagine che consenta di analizzare le caratteristiche
economiche e sociali del pensionamento e le condizioni di vita
della popolazione anziana.
Trasversalità di
un’indagine sulla popolazione pensionata
L'avvio di un'indagine
longitudinale rappresentativa della popolazione pensionata o
prossima al pensionamento sarebbe quindi di grande importanza, sia
a scopo di ricerca che per esigenze di politica previdenziale e
sanitaria. Oltre alla tradizionale informazione di tipo
socio-demografico, questa indagine dovrebbe raccogliere
informazione sulle variabili di tipo economico (attività di
lavoro attuale e sue caratteristiche, storia lavorativa passata,
fonti e composizione del reddito, ricchezza reale e finanziaria,
eventuale copertura previdenziale privata e sue caratteristiche),
le condizioni di salute, i rapporti inter e intrafamiliari, e le
relazioni sociali. Sarebbe inoltre importante poter legare
l’informazione raccolta direttamente dall’indagine con dati di
tipo amministrativo, e poterla confrontare con quella di indagini
simili già avviate in altri paesi europei.
In assenza di un impegno in
questo senso da parte degli enti pubblici di ricerca, andrebbe
quindi riconosciuto e adeguatamente sostenuto lo sforzo fatto dal
gruppo di ricercatori italiani che partecipano al Survey of
Health, Ageing and Retirement in Europe (http://www.share-project.org),
coordinato a livello europeo dal Mannheim Research Institute for
the Economics of Aging e in parte finanziato dalla Commissione
Europea.
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