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PENSIONI
A RISCHIO OGGI E DOMANI
Livia
Turco Cesare Dannano, in l'Unità 12 gennaio 2002
Quando
Sergio Cofferati afferma che la riforma previdenziale proposta dal governo
"mette a repentaglio la pensione attuale o futura di milioni di
persone" coglie nel segno ed evidenzia la portata di tale riforma. D'altra
parte questa è la ragione alla base del giudizio negativo espresso unitariamente
da CGIL-CISL-UIL.
Infatti,
tagliare dal 3 al 5% i contributi per i nuovi assunti significa certamente
ridurre il costo del lavoro per le imprese, ma significa altresì ridurre le
entrate all'INPS rischiando di creare un buco nei conti e di mettere a
repentaglio la stabilità del sistema previdenziale pubblico
Questo
crea incertezza per il presente ed il futuro delle pensioni, quelle dei giovani
e quelle di coloro che stanno per andarci o lo sono già.
Non
a caso il cuore della riforma Dini, e quelle successivamente portate avanti dal
centrosinistra e dai sindacati, è stato quello di dare stabilità al sistema,
di metterne a posto i conti attraverso meccanismi capaci di ridurre i costi e
di contenere le spese Infatti, la stabilità finanziaria e ciò che può
consentire la certezza dei diritti e dunque l'equità sociale
I
successi in tal senso conseguiti dalla riforma dei governi Dini e Prodi nel 95 e
nel 97, sono confermati nella relazione della Commissione Brambilla, voluta
da questo governo, la quale afferma che "la dinamica della spesa complessiva
registra nel periodo considerato (1990-2000) un tendenziale rallentamento La
media degli incrementi annui delle prestazioni nel triennio precedente
l'inizio del ciclo delle riforme era pari al 12, 2% ed è poi sceso al 7,
3% nel periodo
1993-'97 ed al 3,
1% nel triennio
1998-2000".
È
il caso di ricordare che le riforme Dini-Prodi erano ispirate ad alcuni
principi generali: calcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo,
flessibilità nell'accesso al pensionamento, armonizzazione degli ordinamenti
pensionistici, diffusione delle forme pensionistiche complementari,
estensione della tutela pensionistica alle categorie che ne sono ancora
sprovviste, stabilizzazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL.
Ridurre i contributi per i nuovi assunti dal 3 al 5% significa colpire le
pensioni, soprattutto dei giovani, per due ordini di ragioni: il rischio che i
giovani vadano in pensione con il 20-30% del salario, e che la riduzione di
risorse pubbliche incida negativamente su tutte le prestazioni. Dunque, la
nostra non è una difesa ideologica della previdenza pubblica. Non a caso la
riforma Dini contemplava già l'uso del TFR a favore dei Fondi Pensione. Da
tempo affermiamo che bisogna mettere al centro del sistema
previdenziale
il cittadino e consentirgli la diversificazione del portafoglio pensionistico.
Non
solo dunque il sistema pubblico, ma anche la pensione integrativa attraverso
l'uso del TFR.
Ma
il pilastro pubblico resta fondamentale, soprattutto per i giovani che entrano
tardi nel mercato del lavoro e vivono percorsi lavorativi più incerti.
È
sorprendente che questo governo che si è eretto tante volte a paladino dei
giovani esclusi dalle cosiddette "garanzie" del lavoro dipendente,
promuova una riforma che inciderà negativamente soprattutto e proprio sulle
loro prestazioni pensionistiche.
E
suona come una beffa il fatto che le minori entrate derivanti dai minori
contributi pagati sui versamenti dei giovani neoassunti a tempo
indeterminato siano compensati dall'aumento dell'aliquota di quasi 4 punti
percentuali (dal 13 al 16,
9) dei giovani
lavoratori parasubordinati.
È
un aggravio molto consistente per i soggetti che con il lavoro dipendente
tradizionale condividono soltanto degli obblighi mentre partecipano alla
precarietà ed all'incertezza del lavoro autonomo, anche per quanto riguarda le
protezioni sociali.
In
realtà, il cuore della riforma previdenziale del governo non è quello della
ricerca di una risposta efficace alle questioni della stabilità finanziaria;
del rapporto tra prestazioni previdenziali, mutamenti della composizione
demografica del paese e mutamenti del mercato del lavoro;
dell'equità
tra le generazioni. Il cuore della riforma Maroni è solo un assunto
ideologico: ridurre il pilastro di
quella
pubblica senza valutazioni sulla efficacia del sistema e sulla qualità delle
prestazioni.
Non
a caso la delega del governo abbandona aspetti importanti come l'accelerazione
del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo - che è il vero
incentivo a rimanere più a lungo nel lavoro - e la separazione tra previdenza
ed assistenza.
Contrasteremo con fermezza i contenuti del progetto del governo proprio perché interrompe un percorso virtuoso di riforma (i cui risultati sono peraltro confermati dalla Commissione Brambilla) mettendo in questo modo a repentaglio la stabilità del sistema pubblico e i diritti presenti e futuri delle lavoratrici e dei lavoratori.