SI È posto al centro della polemica politica, intorno ad esso è
addirittura fiorita una vera e propria simbologia. Vale quindi la pena di
riferire i precedenti ormai remoti, invero, di questo contestatissimo
articolo 18 che fa corpo con lo statuto dei lavoratori. A dir la verità
lo statuto è molto più ampio, ma l´articolo 18 ne costituisce uno degli
elementi più qualificanti.
Come nacque lo statuto molti non lo ricordano, ma esso fu voluto da Pietro
Nenni come effetto di una lontana polemica che vide al centro Di Vittorio,
che nel congresso della Cgil, se non erro nel 1945, aveva posto, anche se
in maniera molto generica, l´idea di uno statuto dei diritti dei
lavoratori.
Di Vittorio si riferiva al tema delle discriminazioni e di tutti quegli
analoghi problemi che all´epoca erano molto acuti e molto sentiti nella
classe operaia, e costituivano effettivamente un vero e proprio attacco
alla democrazia nel momento in cui, di fatto, dominava una soluzione
centrista impersonata in maniera eccessiva dall´allora famoso ministro
dell´Interno Mario Scelba.
SEGUE A PAGINA
15
Ecco come possiamo uscire dalla trappola dell´articolo
18
Che sia necessario qualche ritocco alle vecchie norme non c´è dubbio,
ma né il governo né la Confindustria possono dimostrare che la riforma
aumenterà l´occupazione
Lo statuto dei lavoratori fu voluto da Pietro Nenni e varato nel 1966, ma
solo nel 1970 fu introdotto l´obbligo di reintegrazione in assenza di
giusta causa
Questa è l´origine
dell´articolo 18. I suoi successivi sviluppi, che ne arricchiscono molto
il contenuto rispetto alla modesta enunciazione formulata a suo tempo da
Di Vittorio, sono costituiti da una vera e propria legge introdotta nel
1966 dall´allora governo di centro sinistra. Essa presentava limiti
piuttosto cospicui rispetto al successivo statuto dei diritti dei
lavoratori del 1970. E´ vero che si chiamò sin dall´inizio con lo
stesso nome, ma il breve tempo intercorso tra il primo ed il secondo aveva
segnato una presa di distanza notevole.
Lo statuto dei diritti dei lavoratori fu fortemente voluto da Giacomo
Brodolini, ministro del Lavoro, il quale, peraltro già in gravi
condizioni fisiche, morì alla fine degli anni ´60 e dunque prima di
vederne la conclusione. La sua opera fu portata a termine dal
democristiano Carlo Donat Cattin.
La legge Nenni, chiamiamola così, riguardava solo il licenziamento e
prevedeva soltanto il risarcimento nella forma di alcune mensilità di
retribuzione, ma è nello statuto di Brodolini, e poi di Donat Cattin, che
venne introdotto l´obbligo della reintegrazione nel caso di mancanza di
giusta causa (il famoso articolo 18 di cui oggi si discute).
Poiché svolgevo le funzioni di capo dell´Ufficio legislativo del
ministero del Lavoro, nominato dal socialista Brodolini, ebbi la ventura
di occuparmi di questa legge in ragione delle mie conoscenze tecniche, ma
fu di Brodoloni, e poi di Donat Cattin, la volontà politca.
Accanto all´articolo 18, lo statuto introdusse un ulteriore fattore di
grande importanza, costituito da un´altra norma molto particolare, l´ancor
più famoso articolo 28, che introdusse un mezzo innovativo di tutela, il
quale valse, tra l´altro, a produrre nuovi e positivi effetti sulla
procedura civile, e che influenzò molto ampiamente anche il contenzioso
nascente dall´articolo 18. Infatti l´articolo 28, dando luogo ad un
autentico rinnovamento della procedura civile, regolò una forma di
procedimento d´urgenza, che permise di scavalcare i processi civili in
materia di lavoro, fino ad allora operanti sulla base di vecchie norme che
prevedevano la prevalenza del procedimento scritto su quello orale.
Il nuovo statuto ebbe all´inizio una vita travagliata, con momenti di
acuta tensione soprattutto nel corso degli anni '70. Poi vi fu una lunga
fase di assestamento, che forse non avrebbe generato ulteriori problemi di
attuazione, se non fossero emersi nel frattempo richieste di riforma, ed,
in particolare, il mutamento più profondo del cambio di maggioranza del
governo. E qui siamo al giorno d´oggi.
Che l´articolo 18 fosse passibile di un "ritocco" l´ho sempre
affermato, se non altro per l´ovvia ragione che nulla, neanche le norme
di legge, devono ritenersi immutabili, meno che mai una legge così legata
all´influenza dell´attualità. Tuttavia la riforma non può essere
giustificata da ragioni connesse agli effetti positivi che la modifica di
questa norma produrrebbe sull´occupazione. Infatti, nonostante la diversa
opinione della Confindustria e del governo, l´articolo 18 non ostacola
una situazione di quasi piena occupazione al nord e non impedisce una
crescita di posti di lavoro a tempo indeterminato in tutto il paese, come
dimostrano i recentissimi dati Istat del gennaio 2002.
Oggi dopo trent´anni di attuazione, e lasciando da parte le ipotesi
dirompenti dovute alle parole improvvide di alcuni ministri, i tempi
apparirebbero maturi per alcune modifiche, non però quelle che hanno
generato violente reazioni così nel mondo politico come anche in quello
sindacale. Da questo punto di vista, occorre affermare una volta per tutte
che l´articolo 18, stretto in un comune destino con l´articolo 28,
riguardante la soppressione dei comportamenti antisindacali, potrà e dovrà
essere "ritoccato" ma assolutamente non cancellato.
Che cosa fare di questo tormentato pezzo dello statuto? Ad avviso di chi
scrive, esso non solo va mantenuto, ma deve esser potenziato nei suoi
effetti, rendendolo, per quanto possibile, accettabile sia dai lavoratori
che dagli imprenditori. A questo riguardo, esso presenta due punti deboli:
l´uno, che è quasi un luogo comune, è l´eccessiva durata dei
procedimenti, l´altro, ed è un aspetto della stessa medaglia, il fatto
che, se per i lavoratori la perdita del posto può equivalere ad una
tragedia umana, dall´altra parte l´imprenditore, specie se di piccole
dimensioni, può trovarsi di fronte ad un danno anche spropositato e, in
termini economici, a volte persino rovinoso. In queste settimane molte
voci si sono levate e non per sopprimere l´articolo 18, ma per attenuarne
almeno l´operatività.
Vari e diversi tentativi di correzione emergono, concernenti l´entità
dell´indennità sostitutiva: ma sono tutte mezze misure. Il problema
riguarda il fatto in sé. E cioè il se del licenziamento, se sia ritenuto
ammissibile o meno.
In ordine a questo, la soluzione più ragionevole apparirebbe quella di
operare su due lati: adottare un sistema processuale modellato in qualche
misura ad imitazione del famigerato articolo 28, e cioè un procedimento
ultra rapido anticipatorio della causa e del suo esito, che del resto
aveva già dato un buon risultato dopo che si era attenuata l´ondata
degli anni '70, l´epoca dei "pretori d´assalto", ormai
scomparsi. Tutto questo resta nell´ambito della procedura civile, in
questo caso d´urgenza.
Ma un passo ulteriore consisterebbe nella riduzione del ricorso dinanzi al
giudice, e della sua sostituzione con l´arbitrato volontario, già del
resto sperimentato, sia pure con estrema prudenza, nel 1947 con accordi
sindacali (auspici Di Vittorio e Angelo Costa). Le due soluzioni non sono
sostitutive, ma affiancate una all´altra. In tal modo si darebbe una
scrollata al regime di licenziamento, ma allo stesso tempo si
realizzerebbe una efficace azione di rottura, rinnovando la procedura
civile. L´arbitrato, tuttavia, per poter decollare, dovrebbe vedere la
partecipazione di tecnici del diritto e non dovrebbe avere costi
eccessivi, che dovrebbero essere in larga parte sostenuti dallo stato e,
in misura molto inferiore, dal datore di lavoro.
L´uno e l´altro sistema potrebbero dare una spinta definitiva alla
gestione di un problema certamente serio, ma anche ingigantito dalle
polemiche in corso.
|