Come ogni sistema di governo ispirato dal culto del capo, al fine di
potersi radicare durevolmente nel paese il berlusconismo ha assoluto
bisogno di indebolire sindacato. Nel regime verso il quale il suo governo
pare voler condurre il paese, nessuna forma di rapporto sociale
organizzato si deve frapporre tra la persona del capo e gli individui.
Quali sedi in cui si costruivano pressoché giorno per giorno rapporti
sociali profondi, quelli che all'occasione fan sentire la propria
identità personale rinsaldata in una identità collettiva, i partiti
politici sono andati in crisi per conto loro. La chiesa, da questo
specifico punto di vista, non sembra stia molto meglio, anche se una
importante funzione sussidiaria continuano a svolgerla le associazioni
cattoliche. Le organizzazioni non governative stanno crescendo, ma
esercitano una presa ancor debole nella società politica. Resta in prima
fila, ad impedire che i messaggi del capo arrivino direttamente alla mente
e al cuore degli individui, il sindacato. Dunque è necessario ridurlo
all'impotenza.
Nell'attacco al sindacato le strategie adottate dal governo Berlusconi
sono principalmente due. La prima, sviluppata in sintonia con i ceti
sociali che lo sostengono, consiste nell'etichettarlo instancabilmente
come residuo premoderno, istituzione demodé, struttura in ritardo
irrimediabile sui tempi. È una strategia che sin dagli Anni '80 è stata
attuata con successo in Gran Bretagna e, con altrettanto fragore seppure
finora con minor successo, in Francia, specie ad opera dell'associazione
padronale. Il sindacato, predica tale strategia, è un ostacolo alla
modernizzazione del paese. Chi lo sostiene, compresi i lavoratori che
ancora vi credono e ad esso si iscrivono, è un nemico della libertà e
del nuovo che si affaccia prepotentemente nel mondo. Da siffatta ideologia
della modernità ha scritto recentemente Laurent Joffrin, caporedattore
del Nouvel Observateur, in un graffiante saggio su "Le gouvernement
invisible" deriva che viene «reputato moderno ciò che risponde ai
criteri dell'ideologia liberale libertaria. Tutto il resto si trova
respinto nelle tenebre dell'arcaismo. Così, sotto la copertura della
novità, della modernità, la scala dei valori è brutalmente cambiata: la
libertà fa premio sull'eguaglianza, l'individuo sulla collettività, la
società civile sulla società politica e il mercato sullo Stato».
Non bastasse la poderosa offensiva del berlusconismo, le difficoltà per
il sindacato italiano sono accresciute dal fatto che l'ideologia della
modernità ha fatto presa anche su una parte significativa della sinistra.
Si veda quel che è accaduto in occasione dell'ultimo congresso dei Ds. La
mozione in cui più chiaramente si parlava di questioni di interesse
effettivo per la vita di tante persone, come le conseguenze della
globalizzazione, le nuove povertà, l'occupazione, i salari che in termini
reali sono fermi da oltre un decennio, era quella di Berlinguer. Essa fu
sconfitta non da ultimo perché in molte sezioni del partito essa venne
presentata dai dirigenti o dai segretari locali come un insieme di idee
vecchie, superate, non all'altezza dei tempi. I tempi chiedono, essi
assicuravano i presenti, che si proceda per la strada della
modernizzazione. Che è un tema, a ben guardare e ricordare, ch'era di
moda, ed allora aveva sì dei contenuti reali e comprensibili per le
persone, intorno agli anni '60. Nella misura — amplissima — in cui
dette questioni hanno dei risvolti sindacali, la sconfitta della mozione
Berlinguer, non tanto per la cosa in sé, ma per il modo in cui è stata
costruita in nome dell'ideologia della modernità interpretata da
sinistra, è stata una sconfitta anche per il sindacato. E non soltanto
per la Cgil.
L'altra strategia che il governo Berlusconi sta perseguendo allo scopo di
drasticamente ridurre il peso del sindacato sta scritta in tre documenti,
il "Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia" predisposto
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; il documento in cui si
propone la "Delega al Governo in materia di mercato del lavoro",
e la "Relazione di accompagnamento" alla proposta stessa. In
tutto sono 137 pagine fitte di analisi, di misure da adottare, di
programmi e di procedure da porre in essere. Sicuramente ben pensate e ben
costruite. Dirette ad uno scopo che, arrivati alla centotrentasettesima
pagina, e dopo qualche rilettura, emerge con la massima chiarezza.
Insieme con l'avvio della demolizione dell'art. 18 dello Statuto dei
lavoratori, tale scopo si può compendiare in una sola frase: il regime
che avanza punta tutto sulla individualizzazione dei rapporti di lavoro.
Sul mercato del lavoro l'individuo, il lavoratore, deve essere e sentirsi
solo. Con le sue competenze professionali, la sua voglia di fare, la sua
disponibilità ad accettare — se disoccupato — qualsiasi lavoro e
salario gli venga offerto. Messo di fronte dalla legge ad una varietà di
tipologie di lavoro tra cui scegliere ch'è semplicemente impressionante:
lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale,
accessorio, intermittente, a prestazioni ripartite, a tempo parziale
verticale od orizzontale, oppure con contratto a tempo determinato che
diventa indeterminato se l'impresa — grazie alle modifiche dell'art. 18
— acquista il diritto di porvi termine quando crede. Però un individuo
sospinto sempre più lontano dalle tutele sindacali, grazie anche alla
prevista riduzione della portata dei contratti nazionali a favore di
quelli aziendali. Ciascuno per sé, e il capo del governo per tutti.
Perché soltanto un capo onnisciente e pressoché onnipotente può
pensare, e riuscire a far credere, di poter assicurare un lavoro decente,
un futuro prevedibile, la possibilità di costruirsi una vita, a
lavoratori che il sindacato non potrà più sostenere perché in una
medesima azienda saranno presenti dieci tipologie di lavoro, venti aziende
subappaltatrici differenti, centinaia di contratti individuali ed un
livello salariale minimo affidato non ad un contratto nazionale, bensì al
mercato del lavoro locale.
La società non esiste, esistono soltanto gli individui, diceva vent'anni
fa la signora Thatcher. Quello che ci viene proposto dal regime emergente,
attraverso le modifiche che vuole introdurre in materia di mercato del
lavoro, va dunque ben al di là di questo e della posizione del sindacato.
È un modello di nonsocietà nel quale gli innumeri fili della devozione
di ciascun individuo nei confronti d'una personalità carismatica —
della quale cioè si crede che sia dotata di poteri all'incirca sovrumani
— sostituiscono la maggior parte delle strutture sociali intermedie che
hanno per generazioni conferito identità e dignità alle persone, e
contribuito a trasformare la debolezza del singolo in una forza relativa,
anche se pur sempre impari a confronto della controparte. Se un simile
modello di convivenza si affermerà, per di più – come risulta finora
— con un ampio consenso popolare, gli storici del futuro avranno il loro
da fare per comprendere un enigma: in che modo gli abitanti d'un grande
paese abbiano potuto consegnarsi ad esso, l'uno descrivendolo con
compiacimento all'altro come una genuina forma di progresso rispetto alle
bassure d'una democrazia che tra i suoi pilastri aveva anche il sindacato.
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