www.segnalo.it - Politica dei servizi sociali, segnalazioni bibliografiche
HOME PAGE |
Apologia della
spesa pubblica
MARIO PIRANI
la Repubblica - 23 dicembre 2004
LA POLITICA fiscale appare allo stato dei fatti il terreno su cui si giocherà la
partita decisiva. Berlusconi, di fronte al sentore di una possibile sconfitta è
riuscito a imbastire una controffensiva che sarebbe sciocco sottovalutare o
irridere. Se è vero che la "svolta epocale" contrabbanda una patacca poiché gli
sgravi corrispondono o a tagli niente affatto indolori alla spesa o ad entrate
aleatorie, è anche evidente che l´effetto d´annuncio un qualche risultato lo ha
raggiunto. Innanzi tutto perché quei "pochi, maledetti e subito" che i
contribuenti, chi più chi meno, si troveranno in tasca costituiscono, pur
tuttavia, la riprova di una volontà politica imposta dal premier agli alleati
riluttanti e all´Europa diffidente.
In secondo luogo il premier, grazie anche al dominio mediatico e ad una
soggezione culturale dei suoi avversari, è riuscito ad imporre un disvalore che
il centrosinistra farebbe bene, invece, a rovesciare: quello secondo cui la
spesa pubblica equivale in toto a spreco e a denaro mal speso.
Non si può purtroppo affermare che l´opposizione si sia dimostrata finora capace
di difendere la natura universalistica del Welfare, di proporre le riforme per
assicurarne la compatibilità economica, di affermarne il valore unificante e
redistributivo del reddito in una società altrimenti frammentata e marcata da
ingiustizie accentuate. Il terzo successo che la destra potrebbe incamerare
risiede nello slogan appioppato al centro sinistra di "partito delle tasse", che
Berlusconi ha cominciato a far rimbombare.
Risposta troppo debole appare quella di suggerire un taglio fiscale, analogo per
dimensione a quello berlusconiano ma diversamente modulato, così che un
vantaggio differenziale si rifletta sui ceti deboli. Non apparirà mai credibile
una opposizione che insegua, pur con qualche correzione, la maggioranza sul suo
stesso terreno.
Apologia della spesa pubblica
Solo
se è in grado di prospettare una strada alternativa il centrosinistra sarà in
grado di competere con una credibilità convincente. Prima di ogni altra cosa va
riproposto il valore etico della tassazione progressiva e proporzionale, del
significato che essa ha per un Paese che aspiri ad educare i suoi cittadini,
curarne il diritto alla salute, garantirne la vecchiaia, amministrarne la
giustizia, assicurarne l´ordine pubblico, esaltarne il ruolo internazionale e la
sua sicurezza, proteggerne la natura e il patrimonio artistico. Tutto questo
implica una spesa ? la spesa pubblica, appunto ? cui corrisponde il contributo
fiscale le cui dimensioni e suddivisioni sono democraticamente decise dal
Parlamento.
Frasi di scontata retorica repubblicana, potrà dire qualcuno e forse un tempo
avrebbe avuto ragione. Ma quella retorica, quelle frasi scontate si son fatte
ormai desuete e difficili da pronunciare. Sconciate prima da Tangentopoli, che
piegò la spesa pubblica a fini clientelari e corruttivi, svillaneggiate poi dal
finto liberismo berlusconiano, esse son finite fuori corso, quasi
inavvertitamente. Con la conseguenza che il centrosinistra, assieme alle parole
si è lasciato sfuggire i valori che vi corrispondevano, senza più distinguere
tra le critiche indispensabili ai difetti e alle storture che si erano
sviluppati nella spesa pubblica e nel Welfare e la campagna distruttiva che mira
a sradicarli. Così si sono assimilate parole e concetti che non le
appartenevano: "aziendalizzazione" quale metro di misura di sanità e scuola;
oppure "federalismo" in luogo di "unità nazionale".
È, dunque, indispensabile che l´universo riformista recuperi anche nel
linguaggio e nei contenuti le proprie radici e i propri valori. La spesa
pubblica vi appartiene di diritto. L´etica fiscale ne deriva. Faccio un esempio.
Gli pseudoliberisti e i loro emuli di sinistra si affannano a ripetere che la
spesa sanitaria pubblica è eccessiva e fuori controllo. A Porta a Porta sere
orsono Bruno Vespa ha ripetuto senza che nessuno lo contraddicesse che in questo
campo si consumano sprechi enormi. Si può convenire su alcune e specifiche voci
ma nell´assieme non è così. La spesa pubblica in questo settore rientra nella
fascia media dei paesi europei (poco più del 6% del Pil) e lo squilibrio
finanziario che essa genera va misurato avendo ben presente che lo stanziamento
è in partenza troppo basso in rapporto alle esigenze. I veri mali di cui soffre
il nostro Servizio sanitario risalgono al controllo partitocratico della sua
gestione, ai tagli nei magri bilanci e alla mancanza cronica di fondi. La
"malasanità" costituisce l´eccezione che fa notizia, non la regola del giorno
per giorno. Se la sinistra non si fosse innamorata dell´"aziendalizzazione"
dovrebbe porre al centro del suo operare un rilancio forte della sanità pubblica
allargandola alla sua maggiore carenza: il sostegno e l´assistenza quotidiana
agli anziani non autosufficienti il cui numero cresce esponenzialmente con il
prolungarsi dell´età media e che oggi gravano in grandissima parte sulle
famiglie. Uno schieramento politico che si ponesse questo obbiettivo potrebbe
chiedere ai cittadini la reintroduzione motivata di una imposta per la salute,
proporzionale al reddito. Ecco cosa intendo per recupero di una etica fiscale
riformista.
Per contro non posso nascondere il timore che prevalga nel centrosinistra la
proposta di inserire nel programma elettorale una imposta patrimoniale e il
recupero di quella sull´eredità. Anche esiziale sarebbe il lasciare la questione
in sospeso tra il sì e il no, rinviando la decisione a dopo l´eventuale
vittoria. Sol che in questo caso la sconfitta sarebbe scontata in partenza tale
il giustificato timore della stragrande maggioranza delle famiglie di venir
colpite non nel reddito prodotto, come è giusto, ma attraverso una
taglieggiamento che impoverirebbe anno per anno il patrimonio e i risparmi, con
la prospettiva della stangata finale ai figli cui tutti aspirano lasciare i
frutti di una vita.
Se questa idea fosse solo di Bertinotti essa mi preoccuperebbe per il permanere
in una frazione non trascurabile della sinistra di una visione della società
italiana, fossilizzata e irrigidita nelle strutture uscite dal XIX secolo: una
stragrande maggioranza di proletari, braccianti e contadini poveri che
possiedono solo le loro braccia, da un lato, un sottile strato di borghesia
impiegatizia e professionale in mezzo e, dall´altro capo della piramide, lor
signori (agrari, industriali, finanzieri) dediti allo sfruttamento delle plebi e
all´accumulo di ricchezza. Così non è più. Secondo il dato più recente (Rapporto
Censis 2004) l´83% delle famiglie vive in casa di proprietà. La corsa
all´acquisto si è accentuata negli ultimi anni ad un ritmo superiore alle
800.000 abitazioni all´anno in rapporto anche alle incertezze del risparmio in
titoli. Inoltre, "stante la criticità degli affitti, la spinta all´acquisto,
diffusa fra i ceti medi, tende ad allargarsi verso le fasce più basse. Più della
metà dei 4 milioni di famiglie indebitate lo è per mutui accesi a questo fine".
Orbene la patrimoniale mira a colpire gli immobili, i risparmi in titoli,
depositi, azione, gli eventuali beni di consumo durevoli (auto, barche, ecc.).
Va tenuto presente che questi beni, quando sono dichiarati (se non lo sono
continuerebbero a restare esenti di fatto), vengono già gravati di imposta, sia
di tipo patrimoniale (Ici, spazzatura) sia per il reddito prodotto (per es. gli
affitti, i dividendi, i profitti sui titoli, i depositi in c/c sono anche
tassati, se pur in modo difforme). Inoltre mentre le singole proprietà sono
individuabili e valutabili attraverso il catasto, le grandi proprietà
immobiliari fanno capo a società per azioni in genere non quotate e tassate in
quanto tali. Mi sembra evidente che una patrimoniale suonerebbe come
persecutoria per la stragrande maggioranza del popolo italiano. Sarebbe
devastante per i ceti medio bassi, irrilevante e di scarso peso per i veri
ricchi, ininfluente per chi già evade il fisco. Analogo il discorso sulla
reintroduzione d´una imposta ereditaria che, con la rivalutazione degli estimi
catastali, cadrebbe anche su chi lascia tre camere e cucina. Oltre al
portafoglio verrebbero colpiti anche i sentimenti più profondi e radicati degli
italiani.
Vi è, peraltro, chi, come Eugenio Scalfari, suggerisce di introdurre la
patrimoniale non certo per vetero classismo ma in seguito al fatto che
l´incremento dei valori avrebbe creato una ricchezza patrimoniale statica.
Di qui l´esigenza di "prelevarne una quota". Sono quasi sempre d´accordo con
Scalfari ma questa volta mi corre l´obbligo di esprimere una profonda
perplessità, sia per le obiezioni già esposte (sono beni già tassati e di
larghissima fruizione), sia perché non sono affatto convinto che la diffusione
della proprietà edilizia non produca effetti produttivi sia diretti (quand le
bâtiment va tout va) sia indotti, dagli elettrodomestici all´arredamento.
Comunque se simili idee seguiteranno ad aleggiare attorno ai programmi del
centrosinistra i primi a rallegrarsene saranno ? come ha scritto un´agenzia
economica svizzera ? i banchieri elvetici che vedranno i capitali italiani
riprendere la via delle Alpi.
Esiste un´altra strada per alimentare le finanze pubbliche: colpire l´evasione e
colmare la macroscopica divaricazione tributaria tra paese apparente e paese
reale.
È stato Tremonti che recentemente ha ricordato come in Italia risultino solo
1181 persone che dichiarano un reddito pari o superiore ad un milione di euro (2
miliardi di lire) e solo 16.000 (per l´esattezza 15.953) con un reddito di
300mila euro (600 milioni di lire). Una cifra ridicola, paragonata, ad esempio,
alla immatricolazione lo scorso anno di 220.000 grandi imbarcazioni da diporto e
superstrada di grossa cilindrata.
L´Agenzia delle entrate valuta che sfuggano al fisco almeno 100 miliardi di
euro. Ci si potrebbe chiedere se questa macroscopica evasione costituisca un
fenomeno della natura contro cui i governi imprecano ma nulla possono. In
realtà, poiché la fuga dal fisco si colloca nel grande bacino delle cosiddette
attività autonome, basterebbe attivare almeno i controlli sulle dichiarazioni
compilate in base agli "studi di settore", inventati da Augusto Fantozzi, quando
era ministro delle Finanze di centrosinistra, per contrastare efficacemente
l´evasione. Si tratta di un metodo di calcolo incrociato del rapporto tra
fatturato, magazzino, numero dei dipendenti, metri quadri, vetrine, energia
consumata, collocazione dell´esercizio od ufficio.
Su questa base il contribuente, inserendo i dati nel computer, ricava il
"reddito lordo congruo" da cui dedurre le spese documentate. Se, però, i dati
che inserisce non rispondono al vero, il reddito risulta più basso. Qui
scatterebbe l´obbligo di controlli di massa, facilitati dalla computerizzazione,
ad opera della Guardia di Finanza.
Il peso politico delle categorie interessate a una applicazione distratta degli
"studi di settore" è però tale che la destra preferisce abbondare in condoni e
predicare il taglio delle tasse, mentre la sinistra lascia libera circolazione a
minacce di patrimoniale, tasse sulle "grandi ricchezze", imposte sulle
successioni ed altri armamentari di varia demagogia.