Di chi si sono presi cura Silvio Berlusconi e
Giulio Tremonti? A chi hanno pensato, il presidente del
Consiglio e il ministro dell'Economia, firmando la riforma
dell'Irpef, l'imposta sui redditi delle persone fisiche, la
tassa più importante per le casse dello Stato? La loro
risposta, ripetuta in ogni occasione, è sempre la stessa: ai
poveri e ai deboli. I quali, se la finanziaria verrà
approvata così come l'ha pensata il governo, dal prossimo
anno potranno contare su una soglia di esenzione ben definita,
chiamata "no tax area". In pratica, l'esenzione
sarebbe totale per i redditi imponibili inferiori a 7.500 euro
per i lavoratori dipendenti, a 7 mila euro per i pensionati e
a 4.500 euro per gli autonomi.
Berlusconi e Tremonti hanno battuto ripetutamente anche su un
altro tasto: grazie alla riforma, i cittadini meno ricchi nel
2003 pagheranno 5,5 miliardi di euro di Irpef in meno, pari a
10.650 miliardi delle vecchie lire. Una cifra, quest'ultima,
su cui il capo del governo ha insistito molto, inserendola nel
Patto per l'Italia firmato in estate con Cisl e Uil e
battezzando la riforma come «la più grande riduzione delle
tasse della storia». Ecco perché desta qualche stupore
leggere nella "Relazione tecnica" preparata dal
governo, che il provvedimento avrà sul fabbisogno dello Stato
un impatto di soli 3,7 miliardi di euro. Dove sta la verità?
E quanto finirà davvero in tasca ai cittadini più deboli?
"L'espresso" ha fatto alcuni conti.
La differenza tra i 5,5 miliardi di euro annunciati e i 3,7
miliardi di euro contabilizzati nella relazione tecnica è
dovuta al fatto che già il precedente governo, guidato da
Giuliano Amato, aveva programmato per il prossimo anno un
alleggerimento dell'Irpef. Ecco perché, per fare i calcoli su
quanto ci guadagneranno gli italiani con la riforma, il
confronto va fatto con le regole predisposte dall'ultimo
governo dell'Ulivo. Su questa base sono elaborati i calcoli
effettuati dal Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche
dell'Università di Modena (Capp), riassunti nelle tabelle
riportate in queste pagine. Questa elaborazione è importante
perché, a differenza di molte simulazioni teoriche, tiene
conto di quanto ogni famiglia italiana realmente guadagna, e
di quanto paga effettivamente in tasse.
Prendiamo le famiglie dove solo uno dei due coniugi lavora.
Quelle in cui il reddito imponibile si colloca fra i 10 e i 15
mila euro all'anno avranno il vantaggio massimo e pagheranno,
in media, 137 euro di Irpef in meno. Per le famiglie in cui il
capofamiglia guadagna di più, il risparmio scende rapidamente
e scompare, in media, quando il reddito imponibile supera i 25
mila euro all'anno. Andrà un po' meglio alle famiglie dove
tutti e due i coniugi lavorano: se il loro reddito imponibile
totale è compreso fra i 15 e i 20 mila euro all'anno, il
risparmio raggiungerà i 300 euro in media, per scendere
progressivamente e scomparire quando l'imponibile supera i 50
mila euro l'anno.
Contando con le vecchie lire, le famiglie più fortunate
avranno in tasca 600 mila lire in più, le altre meno. Non è
poco: secondo l'Istituto di studi e analisi economica (Isae),
un certo numero di famiglie potranno in questo modo superare
la soglia di povertà. È però altrettanto vero che, mentre
mostrano di comportarsi come novelli Robin Hood, Berlusconi e
Tremonti tacciono su tre questioni che, a ben vedere,
rischiano di rovesciare il senso della loro riforma.
Il primo punto riguarda il dimenticatoio nel quale è caduto
il recupero del fiscal drag, ovvero la maggiore imposta che i
contribuenti pagano solo per effetto dell'inflazione, e non
per l'aumento del reale potere d'acquisto degli stipendi. Su
questo tema Tremonti aveva dovuto difendersi già lo scorso
anno, quando aveva sostenuto che nella finanziaria 2002 il
recupero del drenaggio fiscale, pari a un valore stimato in
750 milioni di euro, non era previsto in quanto già inserito
dal governo Amato nell'alleggerimento dell'Irpef. L'anno
scorso Tremonti non aveva però dato corso al taglio delle
imposte già previsto da Amato: abolendone in pianta stabile
il recupero, il fiscal drag rischia di ritorcersi in maniera
continuativa sui redditi delle famiglie.
«La riforma Tremonti dell'Irpef diventa conveniente rispetto
a quella del governo Amato solo escludendo l'effetto del
recupero del fiscal drag, che è tuttora previsto dalla legge
e che, magari non direttamente ma con contributi mirati ad
esempio per i familiari a carico, è sempre stato garantito»,
osserva Massimo Baldini, economista del Capp di Modena: «Si
può calcolare che in media ogni famiglia pagherà con le
nuove norme 5.607 euro di Irpef, rispetto ai 5.560 euro che
avrebbe versato se si considerano i tagli previsti da Amato più
il recupero del drenaggio fiscale».
C'è di più. Il secondo interrogativo che mina la credibilità
della riforma dell'Irpef è il suo costo occulto. Perché con
la finanziaria è forte il sospetto che il governo dia con una
mano solo per togliere con l'altra. Nella legge di bilancio è
infatti previsto il congelamento per il prossimo anno delle
addizionali Irpef che, in molte regioni, gli italiani stanno
già pagando. Più in generale la legge di bilancio per il
2003 rappresenta un vero colpo alla capacità di spesa degli
enti locali, che per questo sono scesi sul sentiero di guerra
contro il governo.
L'Anci, l'associazione dei comuni italiani, ha calcolato che,
se la finanziaria venisse approvata così com'è, i sindaci
avrebbero da spendere in servizi 1,73 miliardi di euro in
meno, ovvero la metà di quanto il governo concede
effettivamente con la riforma dell'Irpef. «Solo per Torino si
tratterebbe di circa 25 milioni di euro in meno, vale a dire
più dei 15 milioni di euro che il Comune spende in cultura o
la metà dei 50 milioni di euro che garantisce invece per i
servizi di assistenza», sottolinea il sindaco torinese Sergio
Chiamparino, responsabile della finanza locale dell'Anci. Il
rischio è che, in molte città, a causa anche del
contemporaneo blocco alle assunzioni, finiscano nel mirino
servizi come le mense scolastiche, l'assistenza agli anziani o
i servizi di polizia effettuati dai vigili urbani.
«Le addizionali Irpef che sono state congelate avevano
l'unico pregio, tutto sommato, di essere almeno progressive:
ogni cittadino paga a seconda delle proprie possibilità»,
spiega Chiamparino: «Al contrario, non è stata bloccata l'Ici,
l'Imposta comunale sugli immobili, che invece colpisce un bene
di prima necessità come l'abitazione. A Torino quest'anno
l'abbiamo ridotta, per la prima casa, dal 5,75 al 5,25 per
cento, ma ora una nuova riduzione è difficilmente
immaginabile».
Il vero segno di classe della loro riforma Berlusconi e
Tremonti l'hanno in mente per il futuro. Basta fare un po' di
attenzione alle cifre. Le novità del 2003 costano 5,5
miliardi di euro e riguardano, a detta di Tremonti, la «stragrande
maggioranza dei contribuenti». Eppure, sostiene sempre il
governo, si tratta solo del primo passo di una riforma che
costerà molto di più e che, in futuro, coinvolgerà solo i
redditi più elevati, che il ministro dell'Economia si propone
di beneficiare con la riduzione dell'aliquota Irpef dal 45 al
33 per cento, quando i conti pubblici lo permetteranno. «Il
costo complessivo di tutta la riforma è stimato in circa 20
miliardi di euro, come lo stesso governo ha calcolato», dice
l'economista Paolo Bosi, fondatore del Capp: «Questo
significa che, se un quarto del costo della riforma va a
beneficio dei più poveri, i tre quarti andranno a favore dei
più ricchi».
07.11.2002
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