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La distribuzione territoriale della spesa
pubblica M. Flavia Ambrosanio 13-11-2002 Uno dei punti critici della manovra finanziaria per il 2003 riguarda gli interventi (o i non interventi) per il Mezzogiorno; le proposte del Governo hanno infatti suscitato reazioni ..... |
Uno dei punti critici della manovra finanziaria per il 2003 riguarda gli interventi (o i non interventi) per il Mezzogiorno; le proposte del Governo hanno infatti suscitato reazioni, anche molto negative, da parte di quanti si aspettavano un impegno concreto (nel senso di maggiori flussi di risorse) per il rilancio delle regioni meridionali. Ma esiste effettivamente, e quanto è grande, il divario Nord-Sud, in termini di spesa pubblica? Spesso il dibattito, soprattutto quello politico, è condotto senza che sia ben chiaro il quadro quantitativo di riferimento. Può allora essere utile fornire al lettore alcune informazioni sull’attuale struttura territoriale delle principali spese pubbliche. In altri termini, quanto della spesa pubblica complessiva è localizzata, per le diverse funzioni e categorie, in ciascuna delle tre macro-aree, Nord, Centro e Sud? Quanta spesa pubblica riceve un abitante del Sud, rispetto a uno del Centro o del Nord? Per offrire qualche elemento di valutazione, presentiamo di seguito alcune tavole, che contengono i dati relativi alla spesa pubblica complessiva (quella dell’aggregato delle Amministrazioni pubbliche) ripartita per aree territoriali. Ricordiamo che la spesa pubblica comprende tre grandi comparti: le spese per consumi finali, che includono i beni e servizi non destinabili alla vendita (sia di tipo individuale - come istruzione e sanità - sia di tipo collettivo - come difesa e ordine pubblico) e gli acquisti di beni e servizi erogati alle famiglie a titolo di prestazioni sociali in natura; i trasferimenti, come le pensioni; gli investimenti e i trasferimenti in conto capitale. La Tavola 1 illustra la spesa pubblica pro-capite per consumi finali dal 1995 al 2000 e mostra una distribuzione abbastanza uniforme sul territorio nazionale, con il Centro un po’ al di sopra della media; mette anche in evidenza che non si sono manifestate variazioni di rilievo durante il periodo di tempo considerato. Questo vale per l’aggregato, ma indicazioni più interessanti si ottengono se si considera la spesa pro-capite, secondo la classificazione funzionale (tavola 2). Come c’era da aspettarsi, le spese per ordine pubblico e difesa sono uniformemente distribuite sul territorio nazionale. Per i servizi generali, si osserva invece una maggiore spesa pro-capite al Sud, che probabilmente può essere spiegata con la maggiore incidenza di uffici e dipendenti pubblici. Se si considera invece il comparto della pubblica istruzione, la spesa per abitante al Centro e al Sud risulta molto più elevata che al Nord. Questa differenza dipende da molteplici cause, tra cui la maggiore incidenza della popolazione in età scolare, la percentuale molto bassa, rispetto al Nord, di studenti iscritti alle scuole private, la maggiore incidenza del personale di ruolo docente e non docente sul totale del personale. Lo scenario cambia se si considera la spesa per la sanità, con una spesa pro-capite più bassa al Sud. Anche in questo caso il differenziale di spesa va ricondotto a diversi fattori, ma certamente cattura due fenomeni: innanzitutto rispecchia le differenze nella composizione della popolazione (l’indice di vecchiaia è al Sud molto più basso che al Centro e al Nord) e quindi nei bisogni di servizi sanitari; in secondo luogo riflette i flussi migratori dal Sud verso il Centro e il Nord, infatti al netto degli effetti della mobilità, i differenziali si riducono. La spesa per affari economici comprende interventi di varia natura, quali quelli nel campo del settore energetico, dei trasporti, dell’agricoltura, delle comunicazioni e non stupisce che sia più elevata al Centro e al Nord. Infine le altre spese includono gli interventi a tutela dell’ambiente, nel campo delle abitazioni e dell’assetto territoriale, nel settore delle attività ricreative e culturali e gli interventi di protezione sociale in natura. Qui il Sud è il fanalino di coda, con 274 euro per abitante, contro i 314 del Nord e i 424 del Centro (ovviamente il dato del Centro risente della presenza di Roma). I consumi finali rappresentano circa il 48% della spesa pubblica corrente al netto degli interessi. L’altra grande voce di spesa corrente è costituita dalle spese previdenziali (pensioni erogate da INPS, INPDAP e da altri enti; rendite da infortuni erogate dall’INAIL; trattamenti di fine rapporto; altre prestazioni, quali assegni al nucleo familiare, trattamenti di cassa integrazione, disoccupazione, malattia, maternità e mobilità). Le Tavole 3 e 4, mostrano con grande chiarezza che la spesa previdenziale è diretta principalmente al Nord e al Centro Italia (il Sud riceve solo il 28% della spesa complessiva). Questo accade essenzialmente per due ragioni: innanzitutto il Sud è destinatario di un numero di prestazioni che è meno della metà di quelle erogate al Centro-Nord; in secondo luogo, l’importo medio delle prestazioni è al Sud più basso che nel resto d’Italia (Tavola 5).
In conclusione, il quadro che si trae dai dati relativi alla ripartizione territoriale della spesa pubblica corrente presenta le seguenti caratteristiche: a) le spese per i servizi collettivi, quali difesa, ordine pubblico e sicurezza, sono abbastanza uniformi su tutto il territorio nazionale; b) i differenziali tra Sud, Centro e Nord delle spese pro-capite per l’istruzione e la sanità riflettono soprattutto le diverse caratteristiche della popolazione residente; c) la spesa previdenziale si concentra al Centro-Nord, dove sono minori i tassi di disoccupazione e più elevate le retribuzioni medie. Infine, è opportuno un cenno alla spesa per investimenti, anche alla luce del dibattito seguito alla presentazione del disegno di legge finanziaria. La Tavola 6 riporta i dati relativi agli investimenti fissi lordi (sono quindi esclusi i trasferimenti in conto capitale) per abitante, delle Amministrazioni pubbliche, con l’eccezione di quelli nei settori dell’istruzione e della sanità (le statistiche disponibili non forniscono dati completi sulla ripartizione territoriale delle spese per investimenti). Ma, sia pure con approssimazione, si vede che il Sud riceve flussi di investimenti minori e che il divario è aumentato tra la metà e la fine degli anni ‘90. Che cosa possiamo trarre da questo scenario? Esso fornisce almeno due spunti di riflessione. Innanzitutto, risulta abbastanza chiaro che gli interventi in materia di spesa pubblica non comportano solo effetti redistributivi tra diverse classi di individui (ad esempio, dai ricchi ai poveri o dai giovani agli anziani), ma implicano anche redistribuzione di risorse a livello territoriale. Gli effetti redistributivi (dal Sud al Nord o viceversa) sono inoltre diversi a seconda dei settori interessati. Ad esempio, una politica di contenimento del disavanzo pubblico, basata su misure di contenimento della spesa pensionistica (da più parti invocate, anche in sede di Unione Europea), vedrebbe penalizzato soprattutto il Nord; al contrario, tagli nel settore della pubblica istruzione manifesterebbero i loro effetti soprattutto al Centro-Sud. La discussione sulle misure di politica di bilancio dovrebbe tenere esplicitamente conto di questi effetti. Il secondo spunto di riflessione concerne le conseguenze dello sviluppo futuro del sistema di federalismo fiscale. Il divario Nord-Sud in termini di spesa pubblica, e questa non è una sorpresa, è molto meno accentuato di quello che sussiste dal lato delle entrate. Il punto cruciale è quindi se e in che modo le regioni del Sud potranno finanziare autonomamente gli attuali livelli di spesa pro-capite. |