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«Le
scelte difficili della nuova sanità»
di:
GUIDO COGGI
preside facoltà Medicina Università Statale
in Corriere della Sera 10 aprile 2003
C
'
è una
atmosfera di perplessità che sembra coinvolgere la Sanità lombarda. Com
'
è noto,
la Regione ha assegnato a ogni ospedale un «tetto», cioè un limite massimo di
prestazioni a carico del Servizio Sanitario: si tratta di un provvedimento
dettatodalle ben note motivazioni economiche: e fin qui nulla (o quasi) da
ridire. Ciò che lascia perplessi è il fatto che il provvedimento non sembra
essere documentato sotto il profilo sanitario. In sostanza: è importante
conoscere i dati di tipo sanitario che giustificano la riduzione delle
prestazioni che appare di fatto generalizzata: essa, infatti, equivale a dire
che si fanno ^troppe» prestazioni, «troppi» ricoveri, «troppi» interventi.
Perché,
se un ospedale deve ridurre la propria attività, bisogna che si dica in che
cosa quell
'
ospedale ha ecceduto. Ha fatto
troppi interventi (rispetto alla popolazione) del necessario? A parità di
indicazione, si è comportato diversamente da altri ospedali? Ha ricoverato
più del necessario? Ha fatto dei by-pass non necessari? Ha fatto dei ricoveri
non necessari? In-somma, perché deve ridurre la propria attività? Ci deve
essere una ragione, che non sia meramente eco-* nomica.
Si badi
bene: qui non si sostiene che gli ospedali siano tutti perfetti: è possibile
che in alcuni ospedali sia invalsa la pessima abitudine dell
'
«overtreatment», cioè dell
'
erogazione di prestazioni che,
secondo le procedure internazionali, sono da considerare ridondanti: ma
allora bisogna dirlo con chiarezza, per non penalizzare quegli ospedali (e ce
ne sono, in Lombardia, mi si creda) in cui, invece, ogni prestazione viene
puntualmente e scrupolosamente valutata sulla base degli effettivi bisogni del
malato e non sulle esigenze di bilancio.
Se gli
ospedali devono comportarsi come aziende (sottolineo il come, che non
equivale a una identificazione) allora le decisioni vanno prese con
responsabilità, agendo con metodologia analitica, sulla base di precise
informazioni, rilevate in maniera tecnicamente inoppugnabile, e non "forfettariamente".
Se questi dati non vengono subito resi pubblici, la gente non capirà cosa sta
succedendo, e i medici an-cor meno. Inoltre, se si deve ridurre, si riduca: ma
allora si dicano anche i criteri, cioè si stabilisca non tanto il tetto
economico, ma il tetto sociale. Ma allora si deve anche avere il coraggio di
dire che un certo tipo di intervento, in certe condizioni (età, censo,
quant
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altro) non può essere sostenuto dal sistema: durissima scelta, e
ripugnante alla coscienza. E dunque, se non si vuole, e spero proprio che non
lo si voglia, percorrere questa strada, allora è giocoforza scegliere
quella della razionalizzazione del sistema. Il che vuole dire, con parola
moderna, "ottimizzare": e allora, si cominci a identificare, nella
rete degli Ospedali lombardi, i punti nodali, quelli su cui
"concentrare" gli sforzi e le risorse.
Si dica
chiaramente ai cittadini che andando in questi centri identificati si facilita
il risparmio della spesa ospedaliera e si è curati bene. Si costringano
questi ospedali a una rendicontazione qualitativa dei loro comportamenti molto
rigorosa. Li si stimoli a trovare i modi per erogare prestazioni (cioè
"produrre", che brutta parola in medicina!) a minori costi e a
pari qualità^
È utopia?
A mio avviso, no. È giunto il momento di trovare il coraggio di riconoscere
che soltanto potenziando i grandi Ospedali si può mantenere la qualità e
garantire a tutti tutte le prestazioni che oggi vengono richieste, al miglior
livello possibile (perché controllato) e al minor costo possibile: i cittadini
se lo meritano, i medici se lo aspettano, i tempi (grami) lo impongono.