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La vostra salute è
già nelle mani di Lea , Corriere della sera economia, 27 maggio 2002
SANITA’ I nuovi
Livelli essenziali di assistenza iniziano a essere operativi. Obiettivo,
limitare i maxideficit regionali del settore
La corsa ai risparmi
locali si fa disordinata Il ministro Sirchia vuole ridisegnare la rete di
ospedali
L a qualità,
innanzitutto. Ma anche il risparmio. Sono questi i due occhi strabici di uno
spettro, quello della sanità pubblica, che si aggira per l'Italia nel tentativo
di far quadrare conti che non tornano mai. Uno spettro ormai senza volto, che
talvolta assume le sembianze del ministro Girolamo Sirchia, ma sempre più
spesso quelle dei rispettivi governatori regionali, incoronati dalle
responsabilità del federalismo. Di fronte a un maxideficit sanitario regionale
che ha raggiunto nel 2001 la cifra stratosferica di quasi tre miliardi di euro,
da aggiungersi al pingue incremento di risorse di oltre tre miliardi di euro
concesso dal governo con il patto di stabilità dell'8 agosto scorso (che ha
portato le dotazioni complessive del fondo sanitario 2001 a quota 71,2 miliardi
di euro), la corsa ai risparmi delle regioni si sta facendo affannosa e sempre
più disordinata, fra ticket che rinascono, balzelli locali, centralizzazione
degli acquisti e soprattutto riduzione del peso degli ospedali. E' in questo
quadro che va letto il nuovo piano sanitario nazionale 2002-2004, figlio della
legge taglia-spesa di metà novembre 2001, che mette proprio il federalismo al
centro della strategia futura per la tutela della salute in Italia. «La
maggiore novità rispetto ai piani sanitari precedenti - spiega Marco Campari,
consigliere del ministro Sirchia e partner Kpmg - è proprio la grande
concretezza data dalla devolution. Tradizionalmente ci si muoveva sul piano dei
principi, ma ora che sono le Regioni a dover garantire i servizi e lo Stato ha
già definito i finanziamenti da erogare, è la prima volta che ci troviamo a
lavorare su un budget preciso. Questo stimola enormemente a razionalizzare gli
interventi e anche a rispettare gli impegni presi». Ma rischia, secondo i
critici, di minare il concetto di uniformità delle prestazioni sul territorio
nazionale. Se è vero, infatti, che due Asl su tre sono in deficit (come si
legge da uno studio condotto da Saniteia per il ministero dell'Economia), è
anche vero che sono la Campania e il Lazio - con Napoli e Roma in testa a tutte
le città - a detenere 14 dei venti peggiori risultati di bilancio ed è il
Centro-Sud, da Roma alla Sicilia, ad occupare i posti più bassi della
graduatoria nazionale. Una fotografia che rischia di essere perpetuata dalla
devolution.
Malgrado le critiche, Campari spara alto: l'obiettivo è ridisegnare la rete
ospedaliera e creare centri di eccellenza a prova di concorrenza europea,
tagliando la testa al mostro della burocrazia per abbattere le liste d'attesa,
spostando le risorse sul territorio con servizi a domicilio per anziani e
disabili, con medici di famiglia a disposizione 12 ore al giorno, sette giorni
su sette, con un occhio finalmente di riguardo per la prevenzione e un uso molto
più prudente dei medicinali, con investimenti mirati soprattutto sulla
formazione del personale sanitario e sulle tecnologie innovative. La battaglia
si annuncia epica e gli operatori del settore si apprestano ad affrontarla
armati dei Lea, i nuovi Livelli essenziali di assistenza entrati in vigore il 23
febbraio, con cui scremeranno le prestazioni inappropriate per concentrarsi su
quelle necessarie.
Tra gli obiettivi dei Lea c'è la riduzione dei ricoveri ospedalieri classici,
in cui l'Italia è campione europeo: una lunga serie di patologie attualmente
trattate in regime di degenza ordinaria devono essere trasferite in day hospital
o in ambulatorio. «Per ora - spiega Campari - ne abbiamo identificate 43 (su
circa 500) che vanno senz'altro trattate diversamente, perché in regime di
degenza la qualità del servizio è più bassa e i costi sono maggiori: già da
quest'anno l'operazione porterà un risparmio complessivo di oltre un miliardo
di euro». Ma la mannaia dei Lea colpirà anche le cure sul territorio,
escludendo senza appello le medicine alternative, la chirurgia estetica e
moltissime altre prestazioni giudicate sostituibili con altre più appropriate o
meno dispendiose.
A compensazione dei tagli, il piano punta sulla prevenzione (dal 3,5 al 5% delle
risorse), la riqualificazione e l'efficienza. Perché è inutile avere
l'ospedale sotto casa se poi, al momento giusto, non ci si fida a farsi
ricoverare lì e si finisce nella clinica privata del luminare. Quindi
formazione, ricerca e largo alle tecnologie. I centri di eccellenza vanno
distribuiti strategicamente sul territorio, i servizi d'emergenza vanno
concentrati sulle vere urgenze evitando gli accessi impropri al pronto soccorso
e creando ambulatori attigui che si occupino dei casi più banali. Ma la sfida
più ardua sarà affrontare il rapido invecchiamento della popolazione italiana.
«Per far fronte alle nuove esigenze - spiega Campari - l'unica soluzione è
differenziare al massimo. Da un lato bisogna ridurre la quantità dei posti
letto e migliorare il livello degli ospedali, che si devono concentrare
esclusivamente sui casi acuti. Dall'altro bisogna estendere e riqualificare le
reti di assistenza territoriale, che devono farsi carico della categoria sempre
più estesa dei polipatologici cronici. E questo è un compito completamente in
mano alle Regioni».
La ricetta, tutta da inventare, è l'assistenza il più possibile a domicilio o
nei centri specifici, all'occorrenza ricorrendo anche ai privati. In sostanza, i
non autosufficienti non devono più restare sulle spalle dei propri cari o
abbandonati a se stessi.